IL COMMENTO E’ tempo di cultura itinerante
DI MICHELE ROMANO
Nel trambusto fatuo e orripilante di uno scenario socio-politico cannibalesco che investe la nostra collettività nazionale, dentro la quale sono state del tutto espulse le sofferenze, le angosce, le frustrazioni, le tragedie, sia dei singoli sia dei nuclei familiari, delle molteplici etnie tanto da fare respirare una puzzolente atmosfera di disumanità, ci ha raggelato leggere tale notizia: Rifiutato da famiglia perché autistico un bambino di 11 anni, perché, al di là del crollo psico-fisico dei genitori, è venuto meno il supporto delle istituzioni, l’aiuto necessario a una famiglia per affrontare la dura disabilità. Nel frattempo è affidato al Tribunale dei Minori. Tutto ciò accade in una realtà, presumibilmente, socio-economica molto avanzata, come il Trentino, dove almeno c’è una generosa fondazione, con le sue limitate forze, a supportare tale drammaticità esistenziale. D’altra parte, cosa possiamo pretendere noi che viviamo, nella nostra quotidianità, in una realtà dove il servizio socio-sanitario, rannicchiato tutto nella sua entropica inerzia fatta di egocentriche autoreferenzialità senza una guida autorevole e spesso esposta al tradimento del giuramento di Ippocrate.
Comunque, al di là di questa particolare considerazione, bisogna mettere in risalto l’attuale fallimento della politica, nella sua interezza, collassata sul piano dell’etica della responsabilità nel dare risposte forti e concrete alla realizzazione del diritto alla vita degli indifesi, degli inermi, dei disabili degradando e scivolando verso una maleodorante e malsana atmosfera di disprezzo. Ecco perché, dentro una permanente quotidianità il cui punto basilare è diventato la natura grezza, rudimentale, incivile, truce di una parte notevole del comportamento umano tanto da incidere nei profili istituzionali degli Stati, è tempo di intraprendere un coraggioso cammino culturale, riappropriandosi della metodologia degli antichi come Talete a Mileto, Eraclito a Efeso, Democrito ad Abdera, Socrate ad Atene, Epicuro a Samo, in gran parte luoghi che, noi, nativi della meravigliosa polis micaelica, possiamo senz’altro assimilare all’atmosfera micenea della Chiaiolella e alla cornice araba della Corricella. Vi chiederete: dove si trova la peculiarità del loro metodo? Ebbene semplicemente nel fatto che hanno istituito la cultura itinerante camminando, dialogando con marinai, giovani, contadini, donne, anziani, credenti, non credenti, intorno ai principali valori che devono guidare la nostra esperienza esistenziale. Tutto ciò accadeva dentro una dimensione enigmatica di candore, stupore e meraviglia.
Ecco perché, per i tempi bui, opachi, pregnanti di odio, in cui si sta smarrendo l’orientarsi, la visione del come procedere, è necessario ed utile andare oltre le mura del tempo accademico, delle aule sempre più vuote di sostanza formativa, delle biblioteche inerti ed inaccessibili, della cattiva televisione, dei talk strillati che generano mostri travestiti con le forme dei politici. Per esempio, per quanto ci riguarda, non stare lì fermo e rigido a studiare filosofia ma fare filosofia, intesa come pedagogia di servizio, non come un sovversivo, ma come un cittadino a cui stanno a cuore le sorti della città, partecipando alla costruzione di un’opera moralizzatrice fondamentale che armonizzi l’attenzione della gente tra i beni materiali (esteriori) e quelli dell’animo (interiori) in modo tale che nulla impedisca di dialogare con tenerezza, delicatezza, con arricchimento reciproco tanto da imboccare la via d’uscita dal mal di vivere in cui siamo maldestramente caduti nell’attuale avventura esistenziale.
* FILOSOFO