IL COMMENTO Francesco, una voce che non si spegne

Di Giorgio Di Dio
C’è un’ ombra di incertezza che avvolge l’Europa che si arma. Si arma perché capisce che soffiano venti di guerra e sa che deve potersi difendere. Fino a quando non si è ammalato, la voce di Papa Francesco è stata un faro che spazzava tutta l’Europa. Poi si è ammalato e la sua voce è diventata più flebile. In quest’epoca dove avanzano nazionalismo, populismo, disinformazione, xenofobia, disuguaglianza economica e autoritarismo la mancanza di quella voce forte lascia un vuoto incolmabile. Mentre il Papa ancora debole e malato torna a casa, nel panorama europeo aumenta l’estremismo, che trova terreno fertile nelle crisi economiche, mentre l’Europa cerca di rafforzare la sua sovranità e di creare una difesa comune che ci possa difendere dalle crescenti tensioni geopolitiche. Il futuro appare oscuro e incerto, la convivenza civile minata dalla sfiducia e dalla mancanza di prospettive. La politica europea è fatta di personalismi e di ogni stato che guarda il suo orticello privato. In questo scenario, è ovvio che la speranza si accompagna al timore di un declino irreversibile.
Eppure, il messaggio del Papa ha saputo trascendere le barriere sociali, culturali e di orientamento, promuovendo un senso di unità che abbraccia ogni individuo. Papa Francesco ha enfatizzato l’importanza di un umanesimo fraterno e solidale, che valorizza la diversità come ricchezza e non come ostacolo alla coesione sociale. Nella storia che stiamo vivendo oggi, il papa ha espresso dei dogmi che sono fondamento della chiesa e che vanno contro quello che fanno i potenti della terra, a cominciare da Trump e dalla sua idea di deportazione della popolazione di Gaza, ma anche di quelli che fanno la guerra agli immigrati. Papa Francesco ha sottolineato che deportare individui che hanno lasciato la loro patria a causa di condizioni estreme come povertà, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o disastri ambientali, danneggia profondamente le nostre dignità di cristiani. Ha anche affermato che una coscienza ben formata non può che criticare ogni provvedimento che associa tacitamente o apertamente lo status di migrante irregolare a quello di criminale. Lo Stato di diritto si realizza solo quando tutte le persone, specialmente le più vulnerabili, ricevono un trattamento dignitoso.
Inoltre, è importante considerare che la dottrina sociale della Chiesa promuove un equilibrio tra il diritto di migrare e il dovere degli Stati di regolare i flussi migratori per il bene comune. Questo equilibrio è cruciale per evitare che le politiche migratorie si trasformino in strumenti di esclusione, anziché di integrazione e protezione dei più deboli. Io penso che per raggiungere questo equilibrio, sarebbe utile implementare programmi di formazione e sensibilizzazione che aiutino a comprendere le cause profonde della migrazione e a sviluppare politiche più inclusive e rispettose dei diritti umani. La chiesa è “un ospedale da campo” ha detto il Papa. Un luogo di cura fisica, ma anche un rifugio per la guarigione spirituale e sociale che accoglie quelli che soffrono, mettendo in campo la forza di una vicinanza genuina e autentica. Questa visione riflette la necessità di una Chiesa che sia più presente e coinvolta nella vita quotidiana delle persone, capace di offrire non solo supporto spirituale, ma anche un sostegno concreto e tangibile a chi è in difficoltà. In un mondo caratterizzato da crescenti disuguaglianze, cambiamenti sociali rapidi, la Chiesa deve essere in grado di adattarsi e rispondere alle esigenze spirituali, etiche e intellettuali di una società in continua trasformazione. La situazione globale attuale pone di fronte Trump e Papa Francesco. Solo il papa può opporsi a un mondo dominato da tendenze pericolose come il nazionalismo e il populismo, che caratterizzano l’ideologia di Donald Trump. Solo lui può affrontare con forza temi complessi come la disuguaglianza economica, la xenofobia e l’autoritarismo, e promuovere un approccio più umanitario. Solo il papa può alzare la sua voce contro le politiche di Trump, come quelle relative alle deportazioni di massa e alla rappresentazione negativa degli immigrati.Papa Francesco rappresenta una guida morale che incoraggia l’umanità a perseguire il bene comune e a resistere alle forze divisive. Sono troppo nette la differenza tra Francesco e Trump. Francesco è un umile pastore abituato a camminare tra i poveri, a sfiorare con la sua veste la polvere, ad avere sempre sulle labbra un sorriso che consola, a stringere mani per lavare il dolore. Francesco vorrebbe costruire ponti e abbattere muri.
Trump è una torre di vetro, un pugno chiuso contro il mondo, abituato a dominare, a minacciare con le armi, a distruggere ponti e a costruire mura. Francesco abbraccia l’umanità, Trump la sfida. Che succederà ora che la voce del papa è sempre più sommessa, sempre più debole? Non ci sarà più una voce contro i potenti della terra? Io non credo. Quando le voci si abbassano, il loro eco può risuonare ancora più forte. La voce di Francesco, ora più sommessa, continua a guidarci nella sua «assenza». Ci invita a riflettere sul potere della presenza anche quando essa diventa intangibile. Francesco, simbolo di guida spirituale e umana, rappresenta quell’energia che, pur non manifestandosi più con forza, continua a orientare i cuori e le menti. L’assenza non è mai vuoto, ma spazio per l’interiorizzazione. È il momento in cui le parole e gli insegnamenti si fanno radici profonde, capaci di nutrire il cammino futuro. Come un faro che illumina da lontano, Francesco ci ricorda che la guida non è solo nel parlare, ma anche nell’essere esempio silenzioso. In un mondo spesso dominato dal rumore, la sommessa voce di Francesco diventa un invito a riscoprire il valore dell’ascolto interiore e della memoria viva. La sua assenza si trasforma così in una presenza che continua a ispirare e a condurre verso orizzonti di speranza.