LE OPINIONI

IL COMMENTO Generazioni contro

Tra i tanti temi che stanno appassionando il popolo ischitano dei social, c’è lo scontro tra generazioni. Facciamo un po’ il punto e una breve storia del gap generazionale: negli anni ’60 s’incominciò a parlare, in termini più espliciti, di “conflitti generazionali” tra la generazione dei baby boomers e quella dei loro genitori, data l’enorme differenza culturale tra di esse, anche se conflitti tra generazioni ci sono sempre stati, in ogni epoca. Ma a quel tempo, lo iato è sembrato maggiore, in quanto venivano introdotti elementi laceranti, come uno stravolgimento della musica, la droga, l’estremismo politico, un capovolgimento dei canoni della moda. Ma già negli anni ’20, la generazione che aveva combattuto la prima guerra mondiale mal digeriva che negli “anni ruggenti” i giovani andassero a divertirsi nelle balere al suono della musica jazz. Ancora, negli anni ’50, nacquero i cosiddetti baby boomers (io, nato nel 1947, ne faccio parte a tutti gli effetti) chiamati così perché l’euforia del dopoguerra e il miglioramento delle condizioni di vita spinsero le famiglie italiane a un vero e proprio boom demografico. Per cui mi sento figlio dell’entusiasmo, figlio della pace, figlio dell’esaltazione familiare. Arriviamo agli anni ’80 e alla generazione cosiddetta MTV, a cavallo tra la generazione X degli anni ’70 e la generazione Y degli anni ’90. La generazione degli anni ’80 fu caratterizzata dall’avvento della TV via cavo, che propose una cultura alternativa. Gli anni ’90 furono caratterizzati dalla rivoluzione telematica. Da allora ad oggi è stato tutto una rapida evoluzione dei mezzi di comunicazione attraverso la Rete.

Oggi esiste una simultaneità intercognitiva delle esperienze collettive senza precedenti. Si può, indistintamente, comunicare “one to many” (uno a molti), “one to one” (uno a uno) e “many to many (molti a molti). Per fare un esempio isolano concreto: a seguito della scomparsa del caro amico e grande divulgatore scientifico Pietro Greco, si è acceso su FB un fecondo dibattito su come meglio ricordare l’illustre compaesano. Si è scelto di piantare un ulivo nella piazza di Barano,dopo un lungo e laborioso confronto se fosse meglio un ulivo o una sequoia e su come dovesse essere scritta la lapide a ricordo. Insomma un dialogo “many to many” di grande suggestione anche se con qualche esasperazione di distinguo e sottigliezze. Voglio ancora sottolineare che oggi, grazie anche al distanziamento sociale a cui tuttora ci costringe la pandemia, si va riducendo il gap tecnologico intergenerazionale, per la necessaria corsa degli anziani all’apprendimento digitale, per non restare tagliati fuori. Anche nei social si sta verificando un’infiltrazione generazionale degli anziani che, forse, apporterà nel dibattito, una maggiore “ponderazione” rispetto alla naturale intemperanza giovanile, una minore istantaneità di giudizio, un confronto più pacato.

Ma qual è l’attuale scontro generazionale? Mettiamola così: non c’è uno scontro tra diverse generazioni che difendono ciascuna la propria. E’, paradossalmente il contrario; sembra che giovani e anziani si autocolpevolizzino, facendo a gara nel confessare di quali colpe si è macchiata la propria generazione. Secondo questi paradigmi prevalenti, io ultrasettantenne dovrei sentirmi colpevole di tutti i fallimenti: dall’istruzione che non funzione alla politica affaristica, dalla giustizia incancrenita alla mancanza di lavoro, dalla rapina del territorio al disastro ecologico. E, sempre secondo questi paradigmi, un trentenne, un quarantenne dovrebbe – a sua volta – sentirsi colpevole di abulia, scarsa iniziativa, consumismo, cinismo e infine conformismo. Siamo ormai una società “tormentata” dai sensi di colpa. E gli anziani fanno a gara a convincere i giovani che loro sono vittime e noi i carnefici e i giovani fanno a gara a segmentare la propria generazione in cittadini ventenni, trentenni, trentacinquenni, quarantenni, evidenziando che la distanza anche di soli 5 anni tra giovani, determina differenze incolmabili e “incomunicabili” tra loro. Non so se costituisco un’eccezione, ma io non mi sento affatto colpevole né d’altronde ritengo che un attuale trentenne sia più colpevole di un quarantenne o di un settantenne. Credo che ogni tempo abbia un normale conflitto generazionale che può sfociare in esiti positivi o negativi, dipendendo ciò dal “combinato disposto” casualità-qualità delle persone in gioco. Noi degli anni’40-’50 non siamo solo i figli dei fiori o sessantottini, come gli attuali giovani sono sì “ nativi digitali” ma non “automi o rotelle del globalismo imperante”. E dobbiamo tutti sentire il dovere di sfatare questo debilitante e paralizzante mantra dell’autodafé. Qui non ci attende alcuna abiura, alcuna condanna e alcuna prigione. Rifiuto l’idea che avremmo “consegnato un mondo di nequizie ai giovani” come rifiuto l’idea che i giovani stiano dilapidando un patrimonio di valori costruiti dai padri e dai nonni. Questo serve a frammentare e scollare una società ,per altri motivi ,già scarsamente coesa. Noi saremmo stati egoisti nel voler a tutti i costi guadagnare una tutela e uno Statuto dei diritti dei lavoratori, una decente previdenza e assistenza e avremmo così determinato un impoverimento dei giovani? E cosa avremmo dovuto fare, consegnarci alla volontà dell’imprenditore pubblico o privato, sperando in una loro benevola comprensione? Ma perché non riusciamo a concepire che quei diritti reclamati e strappati sono sacrosanti e che i giovani devono anch’essi goderne a pieno, anzi di più, perché le esigenze di libertà, istruzione, assistenza aumentano con la maggiore civiltà della società moderna? Il disastro ecologico?

Tutto vero. Ma non è colpa di questa o quella generazione. I padri e i nonni ischitani non vanno visti solo come i “costruttori abusivi” che hanno (sbagliando) violato leggi troppo vincolanti, per allargare e migliorare le condizioni di vita per sé, la famiglia e i discendenti. Essi hanno praticato – con amore – anche l’agricoltura, l’amore per i frutti della terra o la pesca e la caccia con mezzi leggeri, non distruttivi, limitati e non da sterminio di massa. E i giovani estrinsecano il loro amore per la natura viaggiando, come non abbiamo potuto fare noi da giovani. Ma, nello stesso tempo, nella rincorsa al benessere, al godimento, alla scalata sociale, tutti – giovani e anziani – abbiamo commesso errori di sottovalutazione, di disattenzione, di superficialità. E insieme dobbiamo rimediare, porre un freno, invertire una rotta che ci porta a sbattere. E quando diciamo “insieme”, vogliamo intendere che giovani e anziani devono sentirsi su una stessa barca, che approda agli stessi lidi. E l’intero corpo sociale deve, a sua volta, non sentirsi “res nullius”, disgiunto dalle istituzioni che ci rappresentano.. E’ una follia quella di condannare tutta la classe dirigente nazionale (per non dire europea), politica e non politica, contrapponendovi i “cittadini”. Non esistono cittadini separati dalle istituzioni, non funzionano le società a compartimenti stagni. Chi (e purtroppo a Ischia, sui social, stanno battendo questa strada sbagliata anche persone da cui non te lo aspetti) predica una “reazione di massa” contro l’inettitudine di “tutta” la classe dirigente, compie un grave errore di valutazione. Questa strada (peraltro già praticata con insuccesso) porta da una parte sola: uno sterile populismo. Il paradosso è che vengono coinvolti in questo “giudizio universale” anche forze, come il M5S, che era nato e cresciuto (eccome) proprio in nome dell’antipolitica, dello slogan “i partiti sono tutti uguali”. Adesso, ironia della sorte, viene esso stesso inglobato in questo giudizio anticasta inappellabile. Questi stessi novelli populisti, alla lettura di questo articolo, probabilmente grideranno al “ benpensantismo”, al politically correct. Ad essi rispondo con la frase, malferma nella lingua italiana, che Papa Woityla pronunciò il 16 ottobre 1978, all’atto del suo insediamento: “Se mi sbaglio, mi corrigerete! “. Intanto, senza essere Papa, mando la mia benedizione urbi et orbi, alla città d’Ischia e al mondo, ai nostri giovani come ai nostri anziani.

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