LE OPINIONI

IL COMMENTO I Presidenti della Repubblica Italiana

Essendo nato nel 1947, posso dire di aver convissuto con tutti i Presidenti della Repubblica Italiana (ben dodici). Ovviamente non posso avere ricordi diretti di Enrico De Nicola, Presidente dal luglio 1946 al maggio 1948, e di Luigi Einaudi, Presidente dal maggio del ’48 al maggio del ’55. Avevo solo 8 anni alla fine della presidenza Einaudi. Ma ho il ricordo, abbastanza nitido, di tutti gli altri, a partire da Giovanni Gronchi (Presidenza dal 1955 al 1962) e poi di Antonio Segni (dal 1962 al 1964). Questo nel tempo in cui, sul fronte religioso cattolico, dal 1953 al 1963, Papa Roncalli, Giovanni XXIII, emozionava il mondo con la sua umanità e la sua empatia con credenti e non credenti: “Quando tornate a casa, fate una carezza ai vostri bambini” memorabile frase che contrastava fortemente con la freddezza istituzionale di Giovanni Gronchi e Antonio Segni. Per un utile termine di paragone, si tenga presente che le prime trasmissioni televisive datano 1954, e che, nei primi anni, pochi possedevano un televisore. Questo significa che, al di là del fatto che ero troppo piccolo per i primi due Presidenti, comunque solo dal terzo Presidente in poi è subentrato l’ausilio della televisione per rendere visivamente presente in famiglia la figura del Presidente della Repubblica. Anzi, dirò di più: ho maggiore ricordo di Gronchi attraverso la Settimana Incom, trasmessa metodicamente a cinema, prima della proiezione del film della serata, che attraverso la televisione.

Sandro Pertini
Sandro Pertini

Amavo il cinema fin da bambino e, approfittando del fatto che mia nonna era socia con i fratelli Antonio e Guido Castagna, per la sala all’aperto del “Giardino d’Italia”, sul corso Vittoria Colonna, vedevo, nel periodo estivo, due film a sera (il secondo film lo vedevo all’Arena Pineta, di fronte, sempre gestita dai Castagna). E in quel periodo era di prassi la proiezione a cinema della Settimana Incom, prodotta dall’Istituto Luce. Erano documentari generalmente propagandistici e pieni di retorica nazionalistica (anche il tono roboante dello speaker lo era) che sembrava più retaggio del passato che nuova fonte di giornalismo moderno repubblicano. Di Gronchi e di Segni ( arriviamo al 1964) non ho insomma un buon ricordo. Mi sembravano personaggi troppo austeri e distaccati, avvertivo una eccessiva “distanza” dal popolo. Oltre al cinema, amavo i giornali: i quotidiani e i settimanali, tra i quali ultimi prediligevo la Domenica del Corriere, di cui conservo ancora qualche copia in originale. Memorabili gli articoli di Indro Montanelli (sul Il Corriere e la Domenica) . Montanelli diede molto spazio a Giovanni Gronchi (che era stato Sottosegretario all’Industria nel Governo Mussolini) dedicandogli un suo volume storico: “XX secolo. L’Italia dei due Giovanni” con riferimento a Papa Giovanni XXIII oltre che a Gronchi. Per me, allora ragazzo tredicenne, Gronchi fu il Presidente che inaugurò le Olimpiadi di Roma. Ma del 1960, molto più che Gronchi, ricordo il maratoneta Abebe Bikila, i pugili Cassius Clay e Nino benvenuti, il velocista Livio Berruti. No, di Gronchi e poi di Segni ho un ricordo non entusiasmante. Dopo Segni, fu la volta di Giuseppe Saragat, capo del Partito Socialdemocratico (1964). La sua elezione fu l’inevitabile epilogo di una lotta interna alla DC che si spaccò tra i sostenitori di Giovanni Leone e quelli che volevano Amintore Fanfani. Il candidato democristiano ufficiale era Giovanni Leone, ma una fronda interna gli contrapponeva Fanfani. I socialisti erano per Nenni, i comunisti, prima contrari, poi accettarono di votare Saragat, per l’esplicita apertura che Saragat (a richiesta dei comunisti) aveva fatto a “tutti i democratici ed antifascisti”. Sette anni dopo si ripeté la scena di difficoltà interna alla DC, a ruoli invertiti (candidato ufficiale Fanfani, contrastato da Giovanni Leone che lo batté sul filo di lana), grazie anche all’appoggio della destra monarchica e missina.

Sergio Mattarella
Sergio Mattarella

Leone era un eminente giurista e fu oggetto di ingiuste campagne giornalistiche diffamatorie, che riguardavano anche la vita privata e familiare (famosi gli attacchi che subì dalla giornalista Camilla Cederna che, alla fine, chiedette scusa per gli errori commessi). Leone si dimise a seguito dello scandalo Lockeed. Quella di Sandro Pertini (luglio 1978- giugno 1985) fu la Presidenza di un socialista della Resistenza, forse non amato da tutti i socialisti, ma certamente amato dal popolo italiano, di cui seppe interpretare sentimenti ed aspirazioni. Montanelli fu duro con lui, lo sospettava di “demagogia” ma riconobbe che ogni suo gesto odorava di pulizia, di lealtà e sincerità. Iniziò con Sandro Pertini la prassi di una graduale forzatura del protocollo presidenziale e la conquista, di fatto, di un ampliamento dei poteri presidenziali. Da allora, i costituzionalisti parlano di “Costituzione materiale” contrapposta alla Costituzione formale. E questo indirizzo continuò con Francesco Cossiga (luglio 1985- aprile 1992) con le sue fatidiche “picconate” (forti richiami istituzionali) e poi, a distanza, da Giorgio Napolitano (maggio 2006- aprile 2013). In mezzo a Cossiga e Napolitano, ci furono le presidenze di Oscar Luigi Scalfaro, che non ha lasciato segni particolari nella storia quirinalizia e Carlo Azeglio Ciampi (maggio 1999-maggio 2006) ex Governatore della Banca d’Italia, grande economista, sulla scia di Einaudi e apripista della tradizione di cultura bancaria, proseguita e sviluppata poi da Draghi a livello europeo e a livello governativo italiano.

Della presidenza Ciampi ricordo anche il ruolo avuto dalla moglie Franca che più volte ruppe il protocollo rigido, come quando, al cospetto della Regina Elisabetta d’Inghilterra, a Buckinham Palace, se la tirò da parte e le disse: “Venga, parliamo tra donne e lasciamo gli uomini da soli” La Regina era Capo di Stato e, da protocollo, non poteva essere toccata. Ma, a parte l’aneddoto, Franca Ciampi dimostrò l’importanza che la moglie di un Presidente può avere. E se le donne sanno interpretare il ruolo di first lady, come lady Franchezza Ciampi (così fu soprannominata) non si capisce perché non potrebbero parimenti ricoprire il ruolo di Capo di Stato autorevole e competente. E infine Sergio Matterella (febbraio 2015- febbraio 2022) del quale non c’è bisogno di riassumere le qualità, i tratti umani e l’equilibrio istituzionale. Mi concedo una sola annotazione su di lui: c’è chi assegna alla “capacità comunicativa” il ruolo principale per il successo di un vertice politico o istituzionale. Mattarella è stato l’esempio di chi non ha bisogno di spiccate e moderne tecniche comunicative. Si può entrare in empatia col popolo anche col solo esempio di rigore, compostezza, equilibrio, amore per il proprio paese e per una comunità più grande come quella europea. Si può essere amato dal popolo anche semplicemente nominando Cavaliere della Repubblica cittadini normali (ma generosi e attaccati al dovere del proprio lavoro) come fu per l’ischitano Gino Iacono o, come più recentemente ha fatto, dando a Renzo Arbore, il più ambito riconoscimento della Repubblica (Cavalier di Gran Croce) per i suoi meriti artistici e di innovatore musicale e televisivo, esportando il modello in tutto il mondo.

Che cosa ci aspetta, dopo questa carrellata? I segnali sono pessimi: il centro destra converge, almeno per ora, sulla auto candidatura di Silvio Berlusconi (e già il fatto di autocandidarsi rompe la prassi secondo cui il Presidente non si candida ma viene indicato), che rappresenterebbe un’indubbia frattura nel popolo italiano. La speranza è che, abolito il “catafalco” (quella specie di baldacchino, introdotto da Scalfaro quando era Presidente della Camera dei Deputati, per meglio difendere la segretezza del voto) i deputati, i senatori e gli eletti dalle Regioni mostrino, depositando il loro voto, serietà e attaccamento alla Repubblica più che ai giochini di lobby. Alla sua morte, il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha riscosso l’ammirazione e la stima di tutti i settori, tanto che molti auspicano che l’elezione del Presidente della Repubblica avvenga sui valori e sul prototipo umano e istituzionale di Sassoli. Ma siamo sicuri che se Sassoli fosse stato in vita, sarebbe stato indicato come candidato al Quirinale e avrebbe riscosso lo stesso consenso che ha raccolto da morto? Penso di no, a conferma che i giochi prescindono, quasi sempre, dall’effettiva caratura dei candidati e rispondono a calcoli e interessi di partito o di gruppi. Oltre al prestigio morale, alla solida preparazione giuridica o economica o sociale, il prossimo Presidente dovrebbe avere l’empatia col popolo (Geist der menchen direbbero i tedeschi) come l’ha avuta Pertini e, in maniera diversa,Mattarella.

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