LE OPINIONI

IL COMMENTO I tre shock degli isolani: la solastalgia

Di recente è uscito un libro di Sebastiano Maffettone, illustre filosofo napoletano contemporaneo, dal titolo: “il quarto shock”. E quali sono questi quattro shock? Copernico ci ha detto che la Terra non è al centro dell’Universo; Darwin ci ha dimostrato che discendiamo dalle scimmie; Freud ci ha rivelato che non siamo in grado di controllare, con la nostra volontà, le azioni. Il quarto shock – secondo Maffettone – lo ha provocato la pandemia, mettendoci di fronte ai gravi limiti dell’umanità (scienza compresa). Tanto che possiamo, a questo punto, dividere le ere storiche (come abbiamo fatto con Cristo): a.C. E d.C. (prima del Covid e dopo del Covid). I mutamenti dell’umanità, che si attendevano a seguito della pandemia, è vero che – per adesso – non si sono verificati (anzi – per certi versi – i nostri difetti si sono accentuati, l’egoismo è più forte di prima, così è anche per la solitudine; la dittatura del presente sul passato e sul futuro si è accentuata, con una folle corsa verso un vitalismo sfrenato e senza sbocco). Tuttavia, quando questa sbornia da “ubriacamento” immediatamente post-pandemia sarà cessata, interverranno interrogativi seri: quale rapporto vogliamo instaurare con la natura che ci circonda, come introiettarci e ripensare il nostro modello di vita e, infine, come vogliamo rivoluzionare il nostro modo di relazionarci con gli altri.

Su quest’ultimo punto, registro che un altro grande filosofo italiano, Umberto Galimberti (che sarà presente prossimamente al Festival di Filosofia a Ischia) ha detto che non è tanto l’introspezione che ci manca (volgere lo sguardo alla propria intimità non cambia le sorti dell’uomo) quanto le relazioni con gli altri. Per poter cambiare il mondo – occorre abitarlo – interagire. E qui Galimberti ci ricorda che mentre Freud articolava la dinamica conscio-inconscio tra l’Io (la Ragione), l’Es (le pulsioni) e il Super Io (l’interiorizzazione degli accadimenti esterni); Jung aggiungeva un quarto fattore, l’inconscio collettivo. E, alla fine, entrambi convenivano che interpretare i disagi individuali non basta, è necessario capire e risolvere anche i disagi collettivi. E qui mi innesto per sottoporvi una riflessione sui disagi collettivi della nostra comunità che, essendo isolana, costituisce un emblematico caso conchiuso di modello societario. E’ mia opinione (e mi farebbe piacere che i lettori la condividessero o la contestassero) che Ischia è in preda a tre forti shock: il terremoto ed altri fenomeni naturali che minacciano costantemente la sicurezza dell’isola; la pandemia che ha toccato interi nuclei familiari locali e mietuto alcune vittime e il turismo di prossimità che ha disvelato aspetti reconditi di vera e propria discriminazione etnica. L’insofferenza verso atteggiamenti scomposti e non consoni di una plebe napoletana lazzarona esisteva già da parecchi anni ma, quest’anno, in presenza di un turismo al 90% regionale, tale atteggiamento si è amplificato. Ho letto e sentito argomenti pro e contro queste presenze “ desiderate” per il denaro che apportano e “ maledette” per lo sconquasso che arrecano (ultimo l’editoriale su il Golfo dell’albergatore Sandro Florenzo) E ho già espresso il mio parere: che siamo noi a dover rendere le condizioni e l’humus inadatto a questo tipo di turisti. Voglio aggiungere una considerazione: a livello di reati, probabilmente non siamo più, come agli albori del degrado turistico quando qui si rifugiavano boss della camorra e decidevano di investire nella nostra isola in immobili e attività commerciali. Siamo più al livello di risse, disordini, qualche truffa e tanta “vaiasseide”, per riprendere il titolo di un’opera di Giulio Cesare Cortese.

Però, attenzione, noi dobbiamo augurarci che tali strati sociali, non solo frequentino le scuole azzerando l ‘evasione scolastica, ma facciano anche turismo, che è un’ottima scuola pratica per un’emancipazione. Si impara a diventare civili anche vedendo nuovi luoghi, nuove realtà, nuove organizzazioni sociali. Poi, che Ischia meriti un turismo più alto per il ricco patrimonio storico e naturale che possiede, è fuori di dubbio. Ma di questo siamo responsabili esclusivamente noi. Ultimo esempio: quest’estate, con la scusa del Covid, non abbiamo offerto alcuna iniziativa culturale (settembre è tutt’altra cosa, con il teatro di Ronga,i Il Festival filosofico di Mirelli e il Premio di giornalismo di Valentino), mentre nella Regione Campania ci sono statti ottimi eventi culturali, in varie località turistiche, anche nei mesi di luglio ed agosto. Dobbiamo superare lo shock del turismo di prossimità, dobbiamo fare in modo che i mesi di luglio e agosto non siano più i mesi di “croce e delizia” della nostra isola, di sofferenza psichica e godimento economico. Dobbiamo conciliarci col nostro turismo, ristabilendo un equilibrio tra ospiti ed ospitanti. Ci sono studi importanti sulle conseguenze psichiche causate da shock ambientali ed antropologici. Ad illustrare questo “spaesamento” è stato, in particolare, il filosofo australiano Glenn Albrecht che ha sviluppato il concetto di “solastalgia”. Il termine solastalgia è una crasi di “solace” (“conforto” in lingua inglese) e “nostalgia” (il disagio causato da un luogo che non conforta più chi lo abita). Albrecht lo ha scelto pensando a una valle australiana deturpata e sconvolta da un’industria mineraria, dove la terra trema in continuazione per le esplosioni e la gente non ne può più delle polveri di carbone immesse nell’aria. Ma il termine può valere per Casamicciola, con la minaccia costante di terremoto e può valere per l’isola d’Ischia per questa fastidiosa sensazione di un’invasione aliena di un’orda turistica barbarica e sottoculturale. Rischiamo di diventare un’isola di solastalgici. Il paesaggio umano si discosta sempre più dal paesaggio naturale.

Quale la soluzione? Mi fa sorridere il pensiero dell’Amministrazione comunale d’Ischia che mercoledì, nell’inaugurare la nuova piazza degli Eroi, ha – imperterrita – ribadito il concetto che quella nuova Piazza ha il fine di sostituire alle auto le persone, al traffico automobilistico le aggregazioni e le relazioni umane. Con tutto il rispetto per coloro che (favorevoli o contrari alla nuova rotonda artistica) si soffermano sul solo giudizio estetico, è il concetto del Sindaco di “nuova piazza reale” contrapposta ad una “piazza virtuale forcaiola” che mi preoccupa. Più che scandalizzarmi per i quadrotti di ceramica della rotonda-isola, mi scandalizzo per l’ignoranza concettuale di piazza. Con tutte le riserve che ho sui social, non arriverei mai ad affermare che la “piazza virtuale” è una cosa di cui non tener da conto. Specialmente quando le cose si fanno in camuffa, senza alcun preventivo confronto con la cittadinanza. Vuoi l’effetto sorpresa? E allora beccati anche le censure esagerate della piazza virtuale! Pretendi di continuare a mettere i giochi per bambini nel bel mezzo del traffico a respirare aria insalubre? Allora attenditi che vengano sottaciuti i meriti per la soluzione del parcheggio taxi e dell’arretramento dell’edicola nel casotto ex Eni. Non si combatte lo spaesamento, lo smarrimento, lo shock determinato dal divorzio tra l’uomo e l’ambiente, tra residenti e turisti, con le “forzature” pseudo creative.

A creare le piazze è il vissuto storico-antropologico, non questa o quella opera, più o meno discutibile. Allora la soluzione è riconquistare un equilibrio tra ente pubblico e comunità, in un rapporto paritario e non di sottomissione clientelare. La soluzione è riconquistare un equilibrio tra ospiti ed ospitanti, dove l’ospite si senta a disagio per le sue scorribande se trova un luogo organizzato e l’ospitante rispetti, egli per primo, le regole del buon vivere. La soluzione infine è nel prendere atto della caducità del mondo e della perenne minaccia di un territorio esposto ad eventi calamitosi come i terremoti, andando ad abitare lì dove è possibile e creando, nella zona epicentrale, un Centro di Ricerca Scientifica Internazionale che studi tali fenomeni, in modo da trasformare il pericolo in occasione di sviluppo, come – da tempo – predica il vulcanologo Giuseppe Luongo. “I quadri attirano i quadri” diceva il geografo-economista Francesco Compagna, per significare che lì dove c’è ricerca scientifica, c’è attrazione per altri ricercatori ed altri studiosi di materie e rami scientifici diversi. Altro che Mao-mao!

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