LE OPINIONI

IL COMMENTO Il capitale umano in Italia e a Ischia

Ha provveduto, sul Corriere della Sera, a stimolare un dibattito di spessore sul capitale umano, Ferruccio De Bortoli, giornalista-scrittore, già direttore del quotidiano milanese nonché di Il Sole 24 Ore. Ha intravisto l’enorme pericolo odierno di un progressivo impoverimento culturale delle persone appartenenti alle fasce più esposte e più deboli. In questa grave crisi economica, determinata dalla pandemia, può succedere che molti lavoratori o aspiranti lavoratori, soprattutto giovani, pur dotati di promettenti qualità ma trovandosi nella necessità di un guadagno immediato, rinuncino ad approfondire ed arricchire il proprio bagaglio di studio, formazione, addestramento. Questo farà abbassare ulteriormente il livello di competenza del paese, farà abbassare la produttività e la competitività. A questo punto, non potendosi pretendere tutto dallo Stato, che ha mille gatte da pelare per assicurare un livello minimo di sussistenza a tutti, è gioco forza che per una degna formazione del capitale umano, intervengano le imprese private. Auspicava De Bortoli che una decina di grandi imprenditori italiani si facessero promotori di una raccolta di capitali per finanziare un grande progetto di formazione di nuovi “colletti bianchi”, di una nuova classe dirigente, in grado di rinnovare il campo pubblico e quello privato. A questo appello ha subito risposto Silvio Berlusconi che è personaggio discutibile per molti versi (a partire dal fatto di aver dissipato il patrimonio di idee liberali, letteralmente buttato in pasto all’estremismo populista e sovranista) tuttavia non si può non riconoscergli una filantropia più volte manifestata, come privato cittadino, verso chi ha bisogno. Berlusconi si è detto immediatamente disponibile a contribuire, insieme ad altri imprenditori, a forti investimenti per alimentare un’alta Scuola di formazione, che integri il sistema pubblico dell’istruzione. E’ intervenuto poi Luca di Montezemolo, dicendosi disposto a contribuire alla creazione di una specie di “Telethon dell’Istruzione” finanziato da imprenditori che contribuiscano, oltre che con proprie risorse, anche a raccogliere ulteriori fondi, con l’obiettivo primario di combattere la povertà educativa e la dispersione scolastica, in totale trasparenza della destinazione dei fondi.

E’ intervenuto anche Gaetano Manfredi, ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica, suggerendo che il contributo delle imprese si concentri su “competenza, formazione e salari”. La sua tesi è che troppe imprese piccolo-medie hanno ancora un deficit di competenza e quindi non migliorano produttività e capacità innovativa. Troppa poca attenzione e tempo viene dedicato allo “studio” dei lavoratori, in una alternanza tra tempi di lavorazione e tempi di aggiornamento di nuove tecniche e nuovi saperi. Infine, per Manfredi, troppo bassi sono i salari, per cui occorre sia la mano pubblica (riduzione consistente del cuneo fiscale) sia quella del privato, in un “Patto sociale per il futuro”, che si dispieghi intorno ad una parola chiave: innovazione. Infine Giuseppe Guzzetti, presidente ACRI (Associazione delle Fondazioni bancarie) segnala l’ottima iniziativa che la sua Associazione ha istituito, in collaborazione con il Governo, ovvero un Fondo alimentato dal credito d’imposta sugli utili delle Fondazioni oltre che da risorse delle Fondazioni stesse, destinato alla formazione, operativamente curata da Fondazione con il Sud, guidata ottimamente da Carlo Borgomeo. Ancora, idea del giuslavorista Pietro Ichino è quella di rendere i lavoratori protagonisti dell’individuazione della migliore classe dirigente per l’impresa di cui fanno parte e cita, come esempio, il referendum di Pomigliano col quale i lavoratori ritennero Sergio Marchionne e il suo Piano industriale quello più adatto a tutelare i posti di lavoro e la redditività dell’azienda. Abbastanza rivoluzionaria l’idea di lavoratori che autodeterminano da chi è meglio farsi dirigere! Infine Ernesto Galli della Loggia sottolinea l’importanza della “cultura generale” nella formazione della classe dirigente, in quanto per avere un’idea di impresa, bisogna prima avere una visione di Paese. Questo viene detto a livello nazionale, mentre a livello locale, Ischia, purtroppo, non ha imprenditori tali da poter raggruppare ed esprimere “piccoli mecenati”. Men che meno in questa difficile fase del turismo e del termalismo. Eppure, poco prima che scoppiasse il putiferio della pandemia, in un Convegno a Lacco Ameno, alla presenza di Domenico Arcuri, presidente di Invitalia (allora non ancora commissario straordinario del Governo per l’approvvigionamento di dispositivi sanitari) in particolare Peppino Di Costanzo, presidente dei termalisti isolani, si era sbilanciato ad invocare un contributo degli imprenditori per l’istituzione di un Centro di Studi e di Formazione per dirigenti, quadri, maestranze del settore termale.

Ora siamo al punto che solo da qualche giorno si è avuto il protocollo e l’apertura degli stabilimenti termali e stiamo ancora censendo chi apre e chi no, con defezioni troppo importanti (come i Poseidon) perché non intervengano ente locale e Regione ad imporre un ruolo di “ moral suasion” e di mediazione (con gli strumenti concessionari che hanno a disposizione) al fine di scongiurare una chiusura che rappresenta un colpo mortale all’occupazione locale e un pessimo segnale per tutto il comparto turistico isolano. Resta comunque (oggi più che mai, proprio in considerazione della massima sicurezza richiesta dai protocolli anticovid) la necessità di elevare il livello isolano di formazione e competenza. Mi ha destato, in questi giorni, molta curiosità e – non nascondo – delusione, una sortita su FB dell’imprenditore Celestino Iacono che pure avevamo, in molti, apprezzato in un articolo per Il Golfo, dove aveva dimostrato lungimiranza superiore alla media della classe imprenditoriale dell’isola. Il ragionamento fatto da Celestino Iacono, riassumendo, è: “solo adesso alcuni osservatori si accorgono del < ruolo sociale> svolto dagli imprenditori. La verità è che molte aziende, dagli alti costi fissi, non apriranno non perché ricaverebbero meno ma perché fallirebbero”. Non so, ovviamente, a chi in particolare Iacono si riferisca quando si lamenta di una sorta di sentimento anti-impresa. Qualunque osservatore di buon senso è dell’opinione che l’impresa svolge un ruolo importante nella società, a patto che riesca a contemperare l’obiettivo principe dell’utile aziendale con il risultato sociale di un corretto impiego e trattamento delle risorse umane. Due aspetti sembrano sfuggire all’imprenditore: la storia imprenditoriale isolana e la precisazione che l’impresa non ha soltanto un “ruolo sociale” ma anche una “responsabilità sociale”” (lo stabilisce la Costituzione).

Allora, cosa ci dice la storia imprenditoriale ischitana? Che i pionieri ischitani ebbero un coraggio imprenditoriale enorme, quando, individuando i destini futuri dell’isola, s’inventarono albegatori, ristoratori, armatori, commercianti. Lo fecero, almeno all’inizio, senza l’aiuto di Banche, Cassa per il Mezzogiorno, magari ricorrendo a prestiti privati che allora non facevano scandalo. Non era un fenomeno di strozzinaggio. Era un modo semplice di mettere in circolo liquidità di chi, possedendola, non era intenzionato a lanciarsi in investimenti. Quella sì che era “finanza creativa”! Poi le cose presero una piega diversa, qualcuno, abbagliato da facili guadagni, incominciò ad innalzare il grado di rischio, senza avere sufficiente cognizione di business plan, di finanza, di bilanci, di banca, di cash flow, di break even e di tutto il bagaglio di cui un imprenditore che si rispetti deve essere attrezzato. L’unico criterio guida degli albergatori sembrava quello di accrescere il numero di stanze, costi quel che costi, compreso – naturalmente – l’abusivismo edilizio. Cosa che, peraltro, Celestino Iacono ha condannato nel suo articolo su Il Golfo. Poi resta il fatto che l’atteggiamento dei più (salvando qualcuno) non è stato “responsabile” né verso i dipendenti né verso gli enti pubblici locali, Verso questi ultimi non hanno avuto una funzione di stimolo e controllo, ma di continua ricerca di “accomodamenti”. Una continua compromissione e scambio tra “ laisser faire” e “ laisser vivre”. Allora la domanda agli imprenditori è: “Ritenete voi che una migliore formazione delle maestranze possa innalzare la produttività e la qualità dei servizi da voi prestati?” Se sì, l’ulteriore domanda è: “Che cosa pensate di poter fare per contribuire all’arricchimento formativo del capitale umano?” Avete mai pensato e hanno mai pensato gli enti pubblici locali che sarebbe estremamente utile attuare, nelle aziende private e negli organici dei Comuni isolani, una politica di “apprendimento intergenerazionale”? Quella politica di formazione del personale che, in termine tecnico, si definisce di “mentoring e reverse mentoring”? Vale a dire che gli anziani del lavoro trasmettono ai giovani la loro esperienza e i giovani ricambiano trasmettendo la loro abilità digitale? Non venite a dirci che, in una piccola realtà e in presenza di imprenditori non dalle spalle finanziarie larghe, è utopistico parlare di formazione del capitale umano. Vi potrei, ad esempio, opporre che mentre gli imprenditori ischitani sono paralizzati dalla paura, Federalberghi della Penisola Sorrentina lancia un messaggio pubblicitario, a tutta pagina, sui più importanti quotidiani nazionali, con l’esplicito e ottimistico slogan “in prima linea”. Il settimo punto di tale messaggio, recita: “Stiamo organizzando corsi di formazione ad hoc per il nostro personale dipendente e dotando i nostri alberghi di tutte le attrezzature richieste per renderli ancora più sicuri”. Ne prendano nota.

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