IL COMMENTO Il malato immaginario

DI GIORGIO DI DIO
Jean-Baptiste Poquelin, più comunemente conosciuto come Molière nacque in Rue Saint-Honoré, Parigi, Francia, il 15 gennaio 1622. La sua opera maggiore è “il malato immaginario” commedia in tre atti rappresentata per la prima volta al Palais-Royal il 10 febbraio 1673, nell’ultimo anno di vita di Moliere. Il protagonista Argan è alla continua ricerca di malattie inesistenti che lui è convinto di avere. Riportare la commedia ai tempi di oggi sarebbe impossibile perché la gran parte dei malati non sono per niente immaginari ma sono veri, sono persone, sono uomini, sono donne, sono vecchi, sono bambini, sono indiscutibilmente veri. E sono sempre di più. Perché l’Italia è un paese che invecchia , aumenta l’aspettativa di vita e aumentano le persone che hanno bisogno sempre di più di assistenza. La necessità fondamentale di assistenza medica per garantire la salute e il benessere delle persone, la possibilità di accesso a cure adeguate e tempestive si scontra con un servizio sanitario nazionale che non riesce a rispondere a tali esigenze. Reparti congestionati, lunghissime liste di attesa certamente non rassicurano le persone, soprattutto gli anziani, che hanno bisogno di cure in tempi brevi.
Ma quali sono le cause? C’è prima di tutto un problema di risorse che non sono adeguate e portano a carenze di personale, mancanze di attrezzature, servizi insufficienti che incidono sulla qualità dell’assistenza. Ma non è solo questo, molto importanti sono anche il tipo di gestione, e l’organizzazione. Le risorse per il servizio sanitario nazionale dovrebbero avere una corsia privilegiata tra tutte le forze politiche perché riguardano un’esigenza che è di tutti i cittadini. L’importanza della salute non è un concetto a livello individuale, ma riflette il benessere collettivo di una nazione. Investire nella salute pubblica ha un ritorno in termini economici perché consente una maggiore stabilità, oltre a una migliore qualità della vita. Come abbiamo detto, però, non è solo una questione di risorse. È impossibile negare che una delle cause che ha reso inefficiente il nostro modello sanitario è l’organizzazione dei servizi. In realtà non è stato sempre così. Nato 40 anni fa il servizio sanitario nazionale ha funzionato bene per decenni. C’era una buona pianificazione, finanziamenti sufficienti, un forte impegno per garantire cure a tutti. Poi , anche a causa dell’aumento della vita media e della presenza di pazienti sempre più anziani, nonché all’aumento del costo delle tecnologie e delle cure, dell’aumento delle malattie croniche, e di una politica di tagli della spesa, è stato impossibile mantenere gli standard iniziali. Questo modello che ha funzionato correttamente per decenni ora è diventato inefficiente e non risponde più ai bisogni dei cittadini. Probabilmente ci vuole una riforma profonda di tutto il sistema e una organizzazione completamente nuova delle cure e degli ospedali. Con il progresso scientifico e l’evoluzione della tecnologia, si è verificato un notevole aumento della specializzazione in campo medico. I medici si concentrano sempre di più su aree specifiche, come la cardiologia, l’oncologia o la neurologia. Questo approccio ha portato a diagnosi più precise e trattamenti mirati, il che è senza dubbio un grande vantaggio.
Tuttavia, c’è anche un rovescio della medaglia. Concentrandosi principalmente sulla malattia e sui sintomi, si rischia di perdere di vista l’individuo nel suo complesso. Ogni paziente è unico e porta con sé una storia personale, emozioni e contesti sociali che influenzano la sua salute. Quando la medicina diventa troppo specialistica, c’è il rischio che i medici non considerino aspetti importanti come il benessere psicologico, le relazioni sociali e le esperienze di vita del paziente. Il paziente viene visto come un insieme di sintomi da trattare piuttosto che come una persona da comprendere e supportare. La cura è diventata frammentata e la persona malata si sposta da una prestazione all’altra con specialisti diversi e spesso luoghi diversi. È fondamentale trovare un equilibrio tra la specializzazione e un approccio che consideri il paziente nella sua interezza, per garantire una cura efficace e umana. C’è la necessità di umanizzare di più la cura, ma anche gli operatori più umani si scontrano con l ’ostacolo di una organizzazione inadeguata e insufficiente che genera sprechi e ritardi nell’erogazione dei servizi e determina una perdita della sostenibilità economica del modello attuale. Qualcosa su come fare ce l’ha insegnato il covid. Durante la pandemia gli ospedali hanno dovuto riorganizzarsi per mettere il paziente al centro delle cure, piuttosto che focalizzarsi sulle singole prestazioni. È questo che bisogna fare: un cambio di mentalità, l’aggiornamento degli strumenti gestionali negli ospedali e in tutte le strutture sanitarie del territorio, creare sistema normativo nazionale e non frammenterò tra le diverse realtà regionali. Ci sono già alcuni centri di eccellenza che stanno sulla buona strada. Ma sono esperienze isolate che devono fare da apripista a un cambiamento generalizzato e radicale. Per riuscite un a creare per ogni paziente un percorso multidisciplinare personalizzato.
Voglio concludere con un pensiero alla nostra Procida. con un messaggio che ha lanciato il Dr. Michele Cardito: “Procida combatte da decenni per un ospedale(ed io sono d’accordo anche se alquanto scettico),ma nel frattempo servirebbero le piccole cose(per così dire!)per alleviare il grosso disagio dei procidani. 1)Un’ambulanza del PS; 2)una motovedetta stabile a Procida; 3) un ambulatorio chirurgico per le piccole cose,tipo medicazioni,rimozione dei punti di sutura,asportazione di verruche o piccole cisti; 4) un piccolo centro per diabetici con diabetologo,cardiologo, oculista(a Procida ci sono oltre 2000 diabetici); 5) un ambulatorio oncologico(una volta a settimana)per poter effettuare terapia chemioterapica; 6 un ortopedico(una volta a settimana)per visite e possibilità di praticare immobilizzazione e rimozione gesso ;7) un pediatra,visto che sull’isola c’è un solo pediatra che certamente non può risolvere tutti i problemi dei piccoli pazienti: In tutto saranno impegnati poco più di una decina di persone fra medici e infermieri.…a me sembra una cosa fattibile,basterebbe solo un po’di buona volontà”. Ovviamente a Procida il concetto della centralità del paziente rispetto alla cura è al di là da venire. Qui mancano le piccole cose. Qui non è il malato ma è la sanità che è immaginaria.