LE OPINIONI

IL COMMENTO Il valore e i limiti dell’economia

Giuseppe Mazzella, decano dei giornalisti locali ci ha offerto, in settimana, un lungo ed articolato saggio politico-economico, in due puntate. Ha voluto “allungare il passo” andando molto oltre il periscopio isolano. Dell’isola ha – più che altro – fatto cenno a rapporti e vicende personali (da quelle scolastiche a quelle giornalistiche e politiche), ammonendo che anche quando si fanno proposte nuove, non si può prescindere dalla propria storia personale, da ciò che si è fatto o non si è fatto. Il riferimento era al prof. Rispoli e alla sua recente proposta per smaltire l’enorme cumulo di pratiche edilizie da sanare o da individuare definitivamente come insanabili. “L’amico Rispoli è stato per oltre 10 anni consigliere comunale di Ischia, segretario di zona del PSI negli anni ’80 che furono quelli della più selvaggia lottizzazione politica nella storia d’Italia…credo che Rispoli possa esprimere un giudizio ed assumersi la sua parte di responsabilità”, ha sentenziato Peppino . Poi sottolinea che, per una “strana coincidenza” la proposta Rispoli è stata pubblicata sulla testata fondata da Domenico Di Meglio, che ben avrebbe fatto a commemorare contenutisticamente Enzo Mazzella, nel trentennale della sua morte, essendo egli stato non solo un “commercialista” ma anche un “economista”. In qualche modo, in questo percorso giovanile, politico, amministrativo, giornalistico, ci sono entrato anch’io e le sensazioni che ne ho tratto sono alquanto diverse da quelle delineate da Giuseppe Mazzella.

Premetto: quando Peppino dice “non si può prescindere dalla propria storia personale”, non tiene conto che c’ è errore ed errore nella storia di ciascuno di noi; alcuni sono emendabili altri no, almeno per quel che riguarda la sfera pubblica (nel privato no, la libertà di coscienza e di pensiero non te la toglie nessuno e per nessun errore). I giudizi che Peppino dà di Enzo Mazzella, amministratore e “pianificatore” nonché economista, andrebbero di gran lunga rivisti, in una seria analisi storica, che non sia offensivamente agiografica del personaggio, proprio nel rispetto che gli dobbiamo. All’opposizione di Enzo Mazzella in consiglio comunale ad Ischia, io c’ero e c’è stato poi anche Rispoli, Peppino Mazzella no, era impegnato su altri fronti. Quando il “Giornale d’Ischia” di Franco Conte attaccò i socialisti locali per essersi opposti ad una “manipolazione del Piano regolatore” dell’ultima ora e nonostante precedenti accordi scritti con l’opposizione, con inserimenti di manovre clientelari, tipo la diffusione di parchi idrotermali ovunque, a dispetto della limitatezza delle fonti di emungimento, Peppino, al Giornale d’Ischia c’era e ci rimase. Personalmente ritenni chiusa l’esperienza, perché Enzo – strenuo sostenitore del giornale – appariva non come il “regolatore” dell’economia ischitana ma come colui che voleva “condizionare” l’economia, in complicità con determinati e ben individuabili settori dell’imprenditoria privata. Non esperiva il tentativo di offrire un “quadro di riferimento” all’economia spontanea, ma operava un tracciato “distorsivo” del mercato. Enzo Mazzella aveva interpretato Keynes e le sue teorie economiche nel senso deteriore di sviluppo pilotato.

E poi c’è un altro discorso, più importante, su cui si è soffermato Giuseppe Mazzella:. quello del “liberal-socialismo”. Ne ha scritto, domenica scorsa, Eugenio Scalfari che ha voluto smontare la tesi di quanti ritengono “inconciliabili” i due termini di liberalismo e socialismo. “All’inizio ci fu la conquista della libertà e la nascita di movimenti liberali. Il valore della libertà era importante ma limitato e provocò infatti un secondo passo: l’Eguaglianza”, ha scritto Scalfari. Per ottenere libertà ed eguaglianza, la ricetta economica keynesiana che prevede un forte intervento regolatore dello Stato, è una risposta possibile, ma parziale, è un’illusione che le diseguaglianze spariscano regolando l’economia. Lo dimostra chiaramente un grande economista attuale: Thomas Piketty, autore di un libro monumentale: Il Capitale del XXI secolo, che ha venduto 6 milioni di copie. Ma più di recente ha scritto un altro saggio che lascerà il segno “Capitale e ideologia”. Di questo, ecco le prime righe: “La diseguaglianza economica o tecnologica; è ideologica e politica…Il punto importante è che tali rapporti di forza (tra gruppi sociali n.d.r.) non sono solamente materiali, sono anche, e soprattutto, intellettuali e ideologici . In altre parole, le idee e le ideologie contano nella storia”. Ancora, è risaputo che Marx era un eminente filosofo, che pose l’economia al centro della storia dell’umanità, ma subito dopo di lui, vennero altre correnti di pensiero: lo psicologismo di Jacob Friedrich Fries, il realismo di Johann Friedrich Herbart e la psicologia scientifica di Wilhem Wund. Vennero a galla i limiti del marxismo, legati ad una lettura incompleta della storia: l’economia è sì il principale motore della storia, ma non l’unico. Non si può prescindere dalle reazioni emotive, non si può ignorare che tensioni ideali, religiose, spirituali possano determinare un diverso corso degli eventi.

Le scienze cosiddette umane, come la psicologia, la sociologia non possono essere considerate mere sovrastrutture che non intaccano la struttura economica. Esempio: il successo riscosso dai BTP Futura non è spiegabile con i tassi di interesse promessi o con il premio finale fedeltà, in quanto restano comunque rendimenti bassi e non competitivi. Conta il desiderio di molti italiani di contribuire alla ripresa post-Covid del proprio paese. Questo non è scritto in nessun manuale di economia. Se ci fermiamo all’economia, cadiamo negli schemi marxiani. E’ per questo che scelsi il nome della creatura di studio che facemmo nascere con Peppino Mazzella: OSIS (Osservatorio socio-economico dell’isola d’Ischia). Non solo economia, ma anche lettura della società. Ed inoltre OSIS richiamava apertamente il CENSIS di De Rita. Non mi piacciono gli istituti statistici (come l’Istat) che sfornano una gran quantità di dati statistici asettici, senza indirizzarne una lettura e un’interpretazione. La società è variegata e complessa e i numeri vanno interpretati e non delegati al singolo cittadino che, spesso, non ha cognizioni psicologiche e sociologiche. E, nell’ambito della odierna complessità della società moderna, è evidente il moltiplicarsi di eventi naturali ed incognite (tipo pandemia e terremoti) che sempre più frequentemente sconvolgono ogni piano. Pianificazione sì, ma “flessibile”, continuamente rivedibile. Anche i cosiddetti “Piani pluriennali” di previsione oggi costituiscono un azzardo, perché “del doman non v’è certezza” come diceva Lorenzo de’ Medici. E quale visione politica, più del riformismo, può continuamente aggiornare previsioni e pianificazione? Ecco altri elementi da cui non possiamo prescindere. Proverei a rileggere, con maggiore attenzione, Carlo Rosselli, richiamato nel saggio di Mazzella. Egli è il vero interprete del liberal-socialismo. E se il prof. Palomba (maestro di economia di Peppino ed Enzo Mazzella) aveva condensato il 7 punti la sua teoria economica, Carlo Rosselli condensò il suo liberal-socialismo in 13 tesi “Le tesi sono tredici. Il tredici porta fortuna. Chi vivrà vedrà” concludeva Carlo Rosselli. La prima di queste tesi recita: “il socialismo è in primo luogo rivoluzione morale, e in secondo luogo trasformazione materiale”. La decima tesi dice: “Il socialismo non si decreta dall’alto, ma si costruisce tutti i giorni dal basso, nelle coscienze, nei sindacati, nella cultura”. A pag. 358 di “Socialismo liberale ed altri scritti” Carlo Rosselli scrive: “Se davvero Marx avesse affermato che tra forze materiali di produzione e coscienza sociale il rapporto è di interdipendenza e non di causa ed effetto, come avrebbe potuto enunciare con tanta categorica certezza la sua legge di sviluppo del capitalismo?… Marx si è sempre disinteressato dei problemi di psicologia individuale e collettiva”. Il riformismo liberal- socialista, a differenza di Marx, tiene conto dell’economia ma anche della coscienza umana, delle sue reazioni, delle sue debolezze ed è – per questo – sempre emendabile e correggibile ( questo significa “riformismo”) Non c’è mai la parola “fine” nel riformismo liberale e socialista. E anche se abbiamo alle nostre spalle più scia di poppa che acqua di prua, il nostro sguardo è comunque rivolto avanti, sia pure per quel poco di acqua di prua che ci rimane da solcare.

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