LE OPINIONI

IL COMMENTO La chiesa di Ischia e il “sapore antico” dei veleni

DI BENEDETTO VALENTINO

La statistica ci dà un dato che per molti di noi può essere una sorpresa: nel 2019 la diocesi di Ischia contava 60.271 battezzati su 70.011 abitanti. La nostra isola tra Testimoni di Geova, musulmani, e persone di altri credi religiosi conta quindi circa 10mila abitanti che non sono cattolici e che non appartengono alla Diocesi: è il dato statistico che più ci fa comprendere il periodo storico che stiamo vivendo, quello della globalizzazione. Sono gli “invisibili”, quelli che magari conosciamo perché la mattina ci preparano il caffè al bar, o quelli che nelle cucine dei ristoranti lavano i piatti, le mogli o i mariti di amici. É facile arrotondare il dato statistico, se si escludono i falsi residenti che vivono sull’isola solo pochi mesi estivi ad un 20% della popolazione stabile: due persone su dieci non sono battezzati e le vicende della Chiesa di Ischia non li tangono.

A questo dato statistico si contrappone, in maniera stridula e assordante, il sapore antico della questione dei cambiamenti all’interno della Diocesi di Ischia e nello specifico del passaggio di testimone tra Don Carlo Candido e Padre Mario Lauro che nei giorni scorsi ha scatenato polemiche nei confronti del Vescovo, non più ischitano, l’emerito Pascarella. Stride perché ha il sapore antico di un rito e di una questione che sembrava consegnata alla storia. La nostra storia, come comunità isolana, non è nuova a queste polemiche: è di pochi giorni fa la ennesima polemica e la cronaca dei veleni per la nomina nella chiesa di San Vito di Forio affidata a Don Cristian Solmonese. Nomina che, seguendo le cronache locali sia stata ispirata dalla “corrente dei Focolarini”, i quali, sempre seguendo le cronache locali, detengono la “maggioranza delle azioni” della Diocesi, e tale nomina ha lo scopo di punire il giovane sacerdotale, attuale parroco di Sant’Antuono, don Giuseppe Nicolella di origini foriane che chiaramente aspirava al ritorno in pompa magna nel suo paese.

Il vescovo d’Ischia Gennaro Pascarella

É vero che l’isola ha perso la Diocesi con la nomina di Pascarella e la gestione del territorio isolano da parte della diocesi di Pozzuoli, è altrettanto vero che l’isola ha una storia millenaria distinta da quella flegrea, ed è sempre vero che le vicende degli uomini vanno sempre distinte da quelle dell’istituzione, ma in questo caso il “sapore antico” dei veleni ci impone alcune riflessioni. É ancora concepibile che i sacerdoti isolani si comportino ancora come i loro predecessori dell’Ottocento e del primo Novecento? La storia della chiesa isolana è piena zeppa di questi veleni: basti pensare al 1799, quando una lite tra due sacerdoti per un cancello collocato nella strada alle spalle della chiesa dello Spirito Santo di Ischia Ponte, De Luca contro Mancusi, portò il primo ad abbracciare la bandiera della libertà dei francesi e il secondo quello dei Borbone. Finì male per il de Luca giustiziato a Procida. Tutto iniziò per la lite per un cancello, al di là poi delle preferenze politiche.

Don Carlo Candido

Detto ciò alla luce del dato statistico citato in premessa, mi sembra “fuori tempo massimo” continuare a comportarsi come se i sacerdoti appartenessero ancora alle famiglie nobile o benestanti dell’isola che hanno guerreggiato tra loro per secoli alla ricerca di una sorta di potere temporale che non c’è più. È il tempo di cambiare anche per i rappresentanti locali della nostra chiesa, non fosse altro perché la società è profondamente trasformata e il ruolo della Chiesa può essere ancora centrale per la nostra comunità. L’importante è recuperare quel senso di comunità che, tra l’invadenza della tecnologia, la sete di denaro che impone il liberismo sfrenato e senza regole, sembra ormai perduto per sempre. Per avere un ruolo nella società la chiesa deve recuperare i suoi valori profondi. Lo scrivo e lo dico da non credente e da non praticamente. Al di la della fede la chiesa isolana è ancora il punto di riferimento “ultimo” della nostra comunità. Non può abdicare al suo ruolo di guida ma deve cambiare e comprendere i tempi che viviamo.

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