IL COMMENTO La funivia crollata, metafora della nostra vita

La tragedia del Faito lascia sgomenti, attoniti e in qualche modo anche increduli, più di quanto non accada quando si verificano eventi drammatici che provocano morti e lutti. Perché il crollo di una funivia è qualcosa di più grave rispetto ad un incidente stradale, più straziante della caduta di un edificio. E’ un fatto che sfugge alla logica delle cose, in epoca moderna, quando misure di sicurezza e strumentazioni all’avanguardia, dovrebbero garantire un funzionamento delle macchine quasi inattaccabile. E lo stupore, la rabbia, la non accettazione di quanto accaduto, nasce proprio dalla natura stessa dell’impianto, che collassando ha provocato la morte di quattro persone e il ferimento grave di un ragazzo di 23 anni. Perché a pensarci bene, non esiste nulla di più precario, incerto e provvisorio di un mezzo di trasporto sollevato dal suolo e sospeso in aria attaccato ad un fune. Come le seggiovie, gli impianti di risalita sulle piste di sci, le funivie rappresentano una sorta di sfida al nostro destino e di avventura da vivere seza fiato. Due cabine che portano su e giù, sorvolando alberi e dune, in un’alternanza che somiglia ad una dolce danza nel cielo. Un manipolo di persone che affidano la propria vita alla resistenza di un cavo, alla tenuta di un sistema di sicurezza, alla convinzione che precipitare nel vuoto non può che essere soltanto una paura ancestrale. Come salire in mongolfiera o viaggiare su un aliante.
La funivia è una sorta di metafora della nostra vita, si sale e si scende, si incrociano occhi di persone estranee che per qualche minuto condividono con noi un’esperienza unica. I cavi che tracciano un percorso dal quale è impossibile prescindere. C’è un inizio e c’è una fine, ed in mezzo sorrisi, paure, ambizioni e attese. Quando si parte, si accetta inconsapevolemente il rischio di cadere, in cambio di un’emozione forte e di un traguardo da raggiungere. Si vince la paura dell’altezza e quella delle vertigini, si va incontro alle proprie inibizioni. La vetta del monte diventa la meta da conquistare.
Accade anche a chi sale sulle montagne russe, sapendo di affrontare un gioco divertente e allo stesso tempo angosciante. Quella cabina sospesa a pochi metri dall’asfalto, a due passi dalla stazione di partenza dell’impianto di Castellammare di Stabia, ferma e immobile, sembra essere come quelle lancette degli orologi dei campanili delle chiese, che si fermano dopo una forte scossa di terremoto. Un orario bloccato nel tempo, che segna l’ora esatta in cui la vita si arrende alla morte. Passeranno molti mesi e forse anni, prima che la funivia del Faito torni a scalare la sua montagna. Accompagnerà migliaia di persone, i loro sogni, la loro voglia di sfidare il destino, di sentirsi liberi, di provare quella emozione quasi innaturale di librarsi nel cielo. Con la paura di precipitare nel vuoto e la fiducia, incrollabile, di raggiungere la vetta.