LE OPINIONI

IL COMMENTO La memoria aiuta a difendersi dai terremoti

DI GIUSEPPE LUONGO

L’affermazione che la memoria aiuta a difendersi dai terremoti trova conferma dalla tradizione popolare fatta propria da eminenti pensatori che hanno posto attenzione ai fenomeni naturali intensi, curiosi di comprendere il fenomeno. La svolta è associata alla rivoluzione galileana del XVII secolo e ancor più al pensiero illuminista che seguì un secolo dopo. Riprendendo l’affermazione iniziale di Georges-Louis Leclerc de Buffon (1707- 1788): Dove ha tremato, tremerà, ovvero i terremoti si verificano nelle stesse aree dove in passato si sono già verificati, si resta sorpresi che chi ha il compito di rendere sicura un’area sismica come Casamicciola non ponga la massima attenzione alla sentenza di Buffon e alla memoria storica di questi luoghi. La difesa dai sismi non può ridursi agli aspetti formali della norma ma entrare nel merito dei contenuti tecnici. Il lettore mi perdonerà se banalizzo questo concetto perché l’obiettivo è far comprendere il contenuto. La norma prevede che per la sicurezza sismica si proceda con una serie di indagini sul territorio sulle quali lo strutturista prepara il suo progetto per la costruzione dell’opera scelta. Il documento tecnico non va esaminato solo per verificare se risponde formalmente al dettato della norma, ma va esaminato attentamente per il contenuto tecnico per verificare se contiene gli elementi relativi alle sue finalità al livello adeguato alla pericolosità del sito. Un buon modello della struttura geologica, unitamente a quello del sisma sono fondamentali per una costruzione resistente alle sollecitazioni sismiche attese nell’area. Questa fase si conclude con una regola dettata dall’intersezione costi-benefici, ovvero se si intende innalzare la probabilità della sicurezza, intesa come beneficio, i costi crescono in proporzione, in quanto la struttura deve essere di maggiore resistenza al sisma.

La norma sismica è costruita sulla base della scelta del livello di difesa dal terremoto; in sostanza il successo della risposta al sisma è valutato in probabilità di accadimento del sisma e della sua energia e frequenza. In generale non si procede finalizzando l’intervento per la difesa da un terremoto della massima magnitudo (energia) atteso con una probabilità trascurabile rispetto alla durata del tempo di vita di una costruzione. In alcune condizioni geologiche la difesa dal terremoto risulterebbe costosissima e con scarsa attendibilità di un risultato positivo. Quando si verificano queste condizioni la scelta più ragionevole è la delocalizzazione dell’insediamento. Chi scrive ha proposto per Casamicciola la delocalizzazione dell’insediamento maggiormente danneggiato dopo l’evento del 21 agosto 2017, per la presenza di una faglia nell’area dei danni maggiori, che ha ripetuto i suoi effetti più volte dalla fine del Settecento. La proposta è il frutto dello studio effettuato sulla storia sismica dell’Isola e. in particolare, sul terremoto del 21 agosto 2017 e pubblicato nel 2022 per i tipi di Bibliopolis con Elena Cubellis e Ilia Delizia. La nostra proposta che prevedeva anche la realizzazione di un Parco Scientifico Naturalistico e delle Acque nell’area epicentrale, in sostituzione delle abitazioni. Quanto proposto non ha suscitato alcun interesse nell’amministrazione di Casamicciola e nel Commissariato alla ricostruzione. Anche la comunità scientifica è stata silente, sebbene l’iniziativa prevedesse l’istituzione di un Centro di ricerca internazionale sulle frontiere della sismologia.Questa proposta, una volta realizzata, avrebbe posto Casamicciola al centro delle problematiche della ricerca sui terremoti per la difesa dei borghi dei centri storici del bacino del Mediterraneo, rinnovando i fasti dell’istituzione dell’Osservatorio Geodinamico dopo il sisma del 1883.

Nel 2024, due anni dopo la nostra proposta due antropologi dell’Università di Catania e un geofisico dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia hanno pubblicato una nota dal titolo: “Faglie di rischio. Delocalizzazioni, spaesamenti e appaesamenti alle pendici del Monte Etna” sulla rivista Antropologia pubblica. Gli autori della nota rilevano l’inevitabilità del ripetersi dei disastri per le comunità che abitano in prossimità di strutture tettoniche attive. Nel caso etneo si registra la “fagliazione superficiale”, come accade a Casamicciola, ovvero una deformazione del suolo generata dalla propagazione della rottura sul piano di faglia sismogenetico dall’ipocentro fino in superficie. Per il ripetersi di questi eventi sul versante orientale dell’Etna e i sismi associati di moderata magnitudo, capaci di causare gravi danni agli edifici, si è previsto, tra le possibili soluzioni, quella della delocalizzazione di interi insediamenti. Per la difesa dai terremoti la società moderna si regge su un delicato equilibrio dinamico tra fragili strutture collegate tra loro da un intreccio di canali complessi. La sua organizzazione permette la realizzazione di difese attive contro i disastri e la mobilitazione di forze della comunità per rimediare ai danni. Ma occorre lottare anche contro la “sindrome del profugo” ovvero del pericolo del diffondersi della “mentalità assistenziale” per la perdita della casa e del lavoro e l’inefficienza dei collegamenti. Infatti, si prospetta il pericolo che le vittime della catastrofe possano adattarsi ai sussidi come diritto alternativo al lavoro e il prolungamento per anni di un tale status crei un ambiente radicalmente nuovo, modificando il tratto culturale della comunità. Una seconda preoccupazione è l’esodo in massa dei giovani, temendo la mancanza di prospettive per il futuro. La terza grossa preoccupazione è nelle finalità della ricostruzione per il comportamento della classe politica che potrebbe essere sensibile ad un’intesa con gli imprenditori che vedono nella ricostruzione il rafforzamento del loro potere, i primi, e un’occasione di lucro i secondi. In questo scenario l’obiettivo della ricostruzione con la finalità dello sviluppo del territorio nella sicurezza viene meno.

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