LE OPINIONI

IL COMMENTO La paura di essere dimenticati

DI LUIGI DELLA MONICA

Sai qual è la cosa più dura dell’invecchiare? — DimmiDiventi invisibile. Finché sei giovane, in qualche modo esisti: sei “quello simpatico”, “quella elegante”, “quello forte”, “quella brillante”. Qualcuno ti guarda, ti nota, ti chiama per nome. Poi, lentamente, cambi. Diventi “il signore con i capelli bianchi che gira sempre da solo”, “la vecchietta con le scarpe sformate”. E basta. È come se sparissi agli occhi del mondo. — Ma io ti ho vista. Appena sei entrata. Ti ho vista subito…(È una battuta tratta da una serie britannica molto famosa. Ma soprattutto, è una verità che fa male.) Quando si parla di un anziano, spesso si parla solo della sua età: “Ha più di ottant’anni”, “sta andando per i novanta”. Non si dice più: “Era un musicista”, “Ha insegnato a generazioni di studenti”, “Ora vive da solo, ma un tempo…” Con il tempo, le persone che sanno chi eri davvero scompaiono. Gli amici si perdono. I figli vivono immersi nella loro vita, tra lavoro, figli, appuntamenti. Ogni tanto una chiamata veloce, una visita fugace. Nel quartiere, i volti cambiano. I nuovi inquilini non sanno chi è “la signora del secondo piano”. Al negozio, nessuno più ti chiama per nome. E intanto si crea un vuoto. Silenzioso. Invisibile. Non capiamo perché nostra madre ci chiami più volte al giorno per chiederci del tempo, del meteo o per sapere dove abbiamo messo quella cosa che lei non ha mai avuto. Non capiamo perché nostro padre ripeta le stesse domande. Ma dentro, c’è solo una paura: la paura di essere dimenticati. La paura che nessuno, più, li stia guardando. Perché la vecchiaia non è solo un corpo che cambia. È diventare trasparenti. È il bisogno disperato di sapere che, per qualcuno, si esiste ancora.

I lettori si chiederanno perché ho voluto soffermare la loro attenzione su questa tematica. Ieri 15 maggio Ischia, con l’Istituto Nautico al mattino e con ANMI Ischia Gruppo “A. Messina”, compie il suo viaggio tridimensionale nel tempo. Scrivo queste parole dedicandole al sorriso, felice ed amaro allo stesso tempo, della vedova di Gabriele Trani, oggi distaccatosi dalla lieve terra da appena tre anni, membro del Direttivo ANMI Ischia, per diversi anni ed il cui spirito stamane è rivissuto in mezzo a noi tutti sulla nave “Vespucci”. Non temano i lettori, non intendo celebrare la mia associazione, potranno essi liberamente considerarla come meglio credono, viceversa voglio fortemente ricordare che la brava gente, quella di mare, che impregna intimamente il cuore di ogni ischitano, deve fare notizia. Pensare che un evento culturale come la visita alla nave più bella del Mondo, che fu varata nel 1931, in pieno regime fascista, che non riuscì con la violenza della dittatura ad annichilire l’amore dei maestri artigiani nel cesellare questa meraviglia dell’ingegneria marittima italiana, è stato frutto di interlocuzioni serrate e stressanti fra Marina Militare, Presidenza ANMI, Comando Nave Vespucci e Gruppi Anmi della Campania, ma che alla fine siamo riusciti a donare un sorriso ad una vedova di un marinaio, ripaga di tutti i sacrifici organizzativi. Esistono alcune mattine in cui, non ci prendiamo in giro, non sappiamo come improntare un senso alla nostra giornata: quest’oggi l’eccezione non ha confermato la regola. La mia socia, credetemi che viene solo voglia di ammirare ed abbracciare, pur avvertendo una minima indisposizione, si è data forza e coraggio per rievocare l’anima del suo sposo Gabriele Trani, cercando di toccare, palpare qualche parte della nave, dove magari il suo giovane fidanzato 50 o 60 anni fa aveva posto inavvertitamente la sua mano. Vedete condurre la mia associazione a volte è duro, faticoso, ansiogeno, ma domenica scorsa udire da un nostro paesano e dall’autista della EAV Bus che sapevano del rito civile domenicale dell’alzabandiera e che volevano parteciparvi qualche volta, ci incoraggia a continuare. In cosa? Semplicemente a spiegare ai bambini e ce ne erano tanti fra i figli e nipoti dei soci ANMI che fanno più notizia le brave persone, le persone che sorridono, che amano, che soffrono, che ricordano i propri cari defunti, piuttosto che i like sui social o i followers…

Dobbiamo depurare la gioventù isolana dalle intelligenze artificiali che narcotizzano il loro spirito e credetemi la visita della Vespucci sembrava transitare in una macchina del tempo tridimensionale, senza per questo perdere coscienza e lucidità. Un non so che di magico ed unico, un matrimonio spirituale fra l’attuale equipaggio ed i marinai in congedo e quelli che dalle nuvole del cielo li osservavano, nel ricordo del loro pianto, del loro sacrificio, delle loro paure patite sul ponte o sotto coperta del Vespucci. Cari lettori, non possiamo più tollerare che gli sport nautici sull’isola si siano cancellati, dobbiamo costruire dal mare e con il mare l’antidoto alle sofferenze della terra. Non possiamo e non dobbiamo diventare ambientalisti della domenica o in cerca della notorietà mediatica pedana per la carriera politica, ma ci dobbiamo innamorare dell’ecosostenibilità marittima della imprenditoria isolana, perché dobbiamo liberarci dalla vecchia concezione della brutalità verso la cruda terra o verso il fondale marino che ci deve provocare ricchezza, sostituendola con l’amore per l’ambiente che ci circonda, rappresentato dal sorriso di una vedova ischitana di un uomo che amava il suo mare, il nostro mare.

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