LE OPINIONI

IL COMMENTO La “Senana” santa

Questo giornale, nelle giornate di giovedì e venerdì scorsi, ha trattato, con servizi dei fratelli Lubrano e con un editoriale da Procida di Giacomo Retaggio, la questione dei riti sacri pasquali. Questi pezzi giornalistici danno un quadro preciso della situazione tra ciò che è rimasto a Ischia e Procida di questi riti, di quello che vale la pena conservare e di ciò che, senza gridare allo scandalo, si può aggiornare e adeguare all’evoluzione della società. Che cosa sia il sacro, la sacralità, quanto essa incida nella sfera umana ce lo ha ben spiegato il prof. Umberto Galimberti, ormai ben noto agli ischitani. Lo ha scritto in un suo libro dal titolo Orme del sacro: “ Da sempre l’uomo è attratto dal sacro e al tempo stesso lo teme, se ne tiene distante. Gli antichi lo tenevano a bada con i riti, noi lo controlliamo con la ragione. Lo percepiamo come disagio, come malattia, anche se non c’è ideazione né atto creativo che non nasca da questo fondo di follia che ci portiamo dentro e che la ragione stenta a controllare”.

E a supporto di quanto afferma Galimberti, c’è anche l’opinione del grande filosofo Immanuel Kant, secondo cui “ La ragione è un’isola nel mare dell’irrazionale”. Questo bisogno di sacralità, che è di ogni essere umano, a prescindere dal suo credo, questa follia necessaria all’uomo se rimane genuina, viva, profonda, affondata nella coscienza delle persone dà luogo a manifestazioni che segnano l’anima di un popolo. E non è certamente la voglia di aggiornare i riti secondo le evoluzioni della società che può minare l’autenticità dei riti stessi. Nella fattispecie, a Procida, come ha osservato in maniera impeccabile Giacomo Retaggio, l’aver voluto coinvolgere le donne nella partecipazione ai Misteri non costituisce nessuna mina vagante nel rituale del Venerdì Santo procidano. Anzi la loro presenza, oltre che dare più persone all’organizzazione, può ridare nuovo slancio e nuova passione ad una celebrazione che altrimenti rischia di involvere in stereotipo senza più sentimenti. Qualche segno di cedimento sotto il profilo della sacralità, solennità, passionalità lo si comincia purtroppo a percepire.

L’uso di cellulari dei figuranti durante la processione, l’indulgere in pose fotografiche, l’aria distratta degli operatori, mal si addicono al dramma della morte di Cristo e allo stupore per il soprannaturale della Resurrezione. Qui non è questione di modernità e aggiornamento. E’ semplicemente caduta di stile e di sentimento. Comunque, le vie Crucis di Casamicciola, Lacco Ameno, dell’Actus Tragicus di Forio, ma soprattutto la processione dei Misteri di Procida hanno rinnovato antichi riti religiosi ( con accenti, a volte, extrareligiosi o che addirittura sfiorano il paganesimo) che trovano la migliore espressione nell’Andalusia spagnola, da Siviglia a Cordova e a Granada. C’è chi oggi dà di queste  manifestazioni spagnole, in linea coi tempi che l’Europa attraversa, una lettura di difesa meramente localistica, regionalistica o addirittura sovranista. Il settimanale L’Espresso della settimana scorsa ha riportato un bel servizio di tradizioni europee dal titolo “ Alla Semana Santa di Siviglia va in processione il sovranismo”. A che si riferisce? Si riferisce al fatto che alcune frange politiche della Spagna, percorsa dal fremito del separatismo regionale, vogliono appropriarsi dello spirito di questi riti decennali ( esistono da almeno 80 anni) per affermare un  malinteso principio identitario e localistico. In Spagna c’è un partito di estrema destra che si chiama Vox, che ha inscenato violente proteste contro il governo andaluso di centro-destra per aver osato contestare la Semana Santa sivigliana. E’ un po’ come era già avvenuto per la tauromachia, di cui l’estrema destra difende la continuità a spada tratta, indifferente alla violenza che la corrida esercita sui tori e sugli stessi toreri che spesso cadono vittime dell’azzardo.

La retorica identitaria tende a difendere strenuamente tutto ciò che sa di antico e di tradizionale. I suggestivi cortei  della Semana Santa hanno indubbiamente origine religiosa, ma col passar del tempo, hanno comportato anche diatribe di quartiere, lotte di potere tra gruppi di pressione. Le confraternite e il rito che rappresenta la morte e la resurrezione di Cristo viene rappresentato da “ pasos” ( piedistalli di legno enormi e pesanti, addobbati con materiali e tessuti preziosi). L’aspetto unico e più interessante dei cortei è il caratteristico passo-danza sotto al fercolo. Gli uomini che sostengono questi grandi palchi mobili si chiamano “ costoleros”. Ogni confraternita ha il suo passo che si differenzia dagli altri, ovviamente il movimento è lento e accompagnato da musica straziante. Fiori d’arancio dappertutto. I fedeli con il copricapo a cono si chiamano invece “ nazarenos”. Da adulto ho avuto la fortuna di assistere a questi riti sia a Siviglia che a Cordova e a Granada. E l’esperienza è stata così unica, da essere percorso da brividi estatici, pur nelle vesti di laico non credente. Di quell’esperienza ho serbato per anni alcuni miei brevi componimenti che non hanno la pretesa di assurgere a poesia, ma che sono espressione di uno stato d’animo scosso da eventi eccezionali. Mi fa piacere pubblicare sul Golfo, a corredo di questo articolo, uno di questi componimenti. Da bambino, invece, ho vissuto i miei primi anni di vita a Procida, dove i miei genitori mi vestirono da angioletto, con il classico vestito di velluto nero, ornato da ricami dorati e con il copricapo con la piuma, al seguito della processione dei Misteri. Dai miei tre anni ad oggi porto nella mia anima l’immagine della statua lignea del Cristo Morto ( opera del 1728 di Carmine Lantricen), dell’Addolorata e del Pallìo ( baldacchino funebre) e del suono della tromba e dei tre rulli di tamburo ( che ricordano l’accompagnamento degli antichi romani ai condannati a morte). Ogni anno che posso ( e quest’anno ho potuto) mi reco a Procida a rivivere quell’esperienza. Come si sa, sull’altipiano dell’ex Carcere agisce un’Associazione ( La Compagnia dei Turchini) per la preparazione dei Misteri ,equivalenti ai “ pasos” andalusi. I giovani e gli anziani hanno trovato il modo di convivere e condividere il lavoro preparatorio ed anche il post processione. A differenza dei tentativi andalusi di “ fermare il tempo” di negarsi alla modernità, di difendere una presunta superiorità del patrimonio identitario regionale e localistico, Procida ( e lo dimostra la scelta di ammettere anche le donne nel corteo dei Misteri) non sembra volersi rinchiudere nei confini dell’isola e della propria tradizione. Bello il richiamo fatto, citando le sacre scritture ( Giovanni 8,31 – 59) dall’Istituto comprensivo Capraro di Procida : “ Se dunque il figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. Dio non resta aggrappato al passato, è vivo, reale, vibrante e le Sue parole e la Sua opera ci portano a conoscere, a crescere, a liberarci dall’astio, dal rancore, dal fanatismo e dal pregiudizio. Scrittoio, penna, calamaio, pagine, libri sono i simboli chiave ricorrenti sulle tre basi del Mistero”. Procida ha ancora la possibilità di creare il giusto equilibrio tra l’apertura all’incremento turistico e la difesa del proprio patrimonio di usi e costumi. Lo stesso possiamo dire di Casamicciola, di Lacco, Forio e del resto dell’isola d’Ischia. Possiamo ancora coniugare antico e nuovo, identità e apertura agli altri e alle novità che arricchiscono. Buona Pasqua alle isole che non vogliono isolarsi!

Franco Borgogna 

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