LE OPINIONI

IL COMMENTO La settimana santa e i suoi riti

Voglio soffermarmi su antichi Riti della Settimana Santa che appartengono alla nostra cultura religiosa e alle tradizioni procidane. E comincio parlando e ricordando le “Zeddose” che partivano dalle diverse chiese dell’isola di primo pomeriggio per dirigersi verso San Michele a Terra Murata. Erano gruppi di ragazze molto giovani che camminavano lungo le strade recitando orazioni dietro un prete che portava un Crocefisso. I veli di queste ragazze erano molto preziosi perché ricamati a mano. Facevano parte dei beni di famiglia. Io conservo ancora adesso il velo di “zeddosa” di mia madre che lo indossava all’età di quindici anni. E così moltissime famiglie procidane. Il termine “zeddosa” è la procidanizzazione della parola “intonsa” che significa “non delibata”, vale a dire “vergine”. Questo era il significato delle “Zeddose”. Il loro era un velo molto lungo che doveva coprire per pudicizia tutta o quasi la persona. Il mercoledì santo di sera nelle chiese si cantava il “Miserere”. Sulla balaustra dell’altare maggiore si metteva un triangolo di legno sui cui lati erano infisse delle candele accese. Ad ogni salmo si spegneva una candela finché la chiesa rimaneva al buio completo. A questo punto il pubblico presente cominciava a sbattere le mani e i piedi sui banchi producendo un intenso rumore che segnava la fine della funzione.

Questa funzione nel lessico popolare era chiamata: “I rummuri”. Noi ragazzi ci divertivamo un mondo. Il Giovedì Santo sera si teneva una predica molto lunga che rievocava tutta la Passione di Cristo. Si chiamava “la predica di notte” perché spesso finiva a notte fonda. Il venerdì Santo poi la processione entrava in tutte le chiese. Alla Madonna della Libera entrava dalla porta centrale ed usciva da quella laterale. Al mattino nelle chiese si diceva la “messa secca”, vale a dire una funzione liturguca senza la consacrazione. Al pomeriggio del Venerdì si tenevano le tre ore di “Agonia”. Sull’altare si preparava la riproduzione del Calvario con le tre croci, la Madonna, San Giovanni, le pie donne ed un paio di soldati romani. Dal pulpito il predicatore commentava le sette parole di Cristo in croce. Ad ogni parola, una predica ed il canto da parte del coro della parrocchia di una strofa dell’opera musicale scritta apposta per questa funzione. L’ Agonia più celebre era quella musicata da Martiniano, un prete procidano. Ricordo che quasi tutte le donne la conoscevano a memoria. Mia madre la cantava mentre faceva i servizi di casa. Alla fine veniva la “Schiuvazione”, vale a dire la “Schiodazione”. Il prete urlava dal pulpito: “Schiodate quelle mani che hanno benedetto le folle!” Ed un altro prete saliva con una scala dietro la croce e con un martello batteva sul chiodo e schiodava la mano. I colpi si sentivano nitidi ed intensi per tutta la chiesa, nel silenzio più assoluto. E si continuava: “Schiodate quei piedi che hanno attraversato le strade della Palestina|” E la scena si ripeteva. Poi la statua veniva adagiata su una lettiga e portata dai preti a spalla per tutta la chiesa. La commozione era al massimo. La gente piangeva a dirotto. Questo succedeva una volta. Adesso non più.

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