LE OPINIONI

IL COMMENTO La sicurezza stradale e la scomoda coscienza collettiva

DI LUIGI DELLA MONICA

Ho il dovere morale ed ideologico di non tacere in un momento triste, nefasto, sconfortante come quello recente di dover piangere la disgrazia di due famiglie. La prima in ordine di gravità è quella del Caporale Maggiore Cassandra Mele, che si è brutalmente allontanata dalla vita terrena per una banale e beffarda passeggiata in bicicletta, nonostante avesse visto il dolore e la sofferenza dei popoli in guerra, durante le sue missioni all’Estero, avesse udito il fischio delle bombe fameliche ed assetate di morte, avesse vissuto il rischio concreto di cadere sul campo di battaglia. La seconda è quella della presunta autrice del gesto, che attendeva il suo ritorno a casa, dopo una serata normale come tante prima di questa, nel pieno della vitalità e della gioia di riprendere la normalità dopo la pandemia, vedendosi arrivare le Forze dell’Ordine, per procedere alle indagini del caso. Non posso scendere nei dettagli delle rispettive vite della vittima e della indagata, perché rischierei di violarne la “privacy” e di non osservare la opportuna delicatezza del caso.

Ciò che mi angoscia è che, nonostante il devastante dolore per l’incidente stradale del giovane Manuel Calise, lo scorso inverno, la comunità isolana continua ad infinito a piangere una insensata morte sull’asfalto, non dovendo dimenticare che nel non lontano 3 agosto 2019 il piccolo Velsmali Xhemal ci lasciava per le medesime cause violente. Eppure domenica sera, assistevo ad un fatto anomalo: all’altezza del semaforo provvisorio per i lavori in Via G.B. Vico, pochi metri più avanti del punto della tragedia di Cassandra Mele, mi accorgevo, con sommo stupore e sconcerto, che uno scooter mi veniva incontro dalla mano opposta, violando il suo semaforo, poiché quello alla mia destra del senso di circolazione, in discesa verso Via Nuova Cartaromana, mi proiettava luce verde. Ero incredulo, ma mi sono reso conto di non sbagliarmi, perché vedevo, terminata la corsia ad unico senso alternato di circolazione, un altro ciclomotore che invece era fermo in attesa del segnale di suo riferimento, per cui mi rendevo conto che il precedente scooter aveva commesso una infrazione e rischiato di scontrarsi frontalmente contro la mia autovettura. Ma siamo ancora all’assurdo del succede agli altri, non può succedere a me? Cosa ha spinto l’ignoto motociclista ad essere così indifferente alla segnaletica ed alla narrativa di una recente morte violenta stradale non so spiegarmelo. Siamo diventati talmente automatizzati e lobotomizzati nei nostri piccoli orticelli che siamo indifferenti al dolore altrui e non riusciamo a trarne insegnamento. Sono convinto che pur se installassimo corsie ferroviarie a tratto obbligato, qualcuno troverebbe l’espediente per viaggiare fuori le rotaie.

La repressione, lo schiacciamento delle libertà, l’installazione di dissuasori, di autovelox remoti o gestiti dalle pattuglie di polizia, la designazione di un agente per ogni cittadino non risolvono i problemi di sicurezza stradale. L’educazione alla vita, all’inibizione dell’abuso dei veicoli a motore, si genera nel meccanismo preventivo mentale, in quelle sinapsi neuronali che devono prevenire. Giorni fa, sempre raccontando ai lettori una parte del mio vissuto che spero possa rendere leggero il mio discorrere, stavo festeggiando un anniversario e per il caldo e la digestione un bicchiere di champagne mi ha provocato un momento di disconnessione totale: ero sul divano di casa mia, fortunatamente. Come possiamo inculcare ai conducenti che proprio la prudenza a monte di inforcare un manubrio o di toccare un volante è il migliore rimedio antinfortunistico? Per quale motivo, mi chiedo non possano i ragazzi, sin da giovane età, ma questo discorso non è avulso dal mondo adulto, se organizzati in gruppo, stabilire di evitare di far bere il guidatore dell’auto, oppure degli scooter: è uno sfigato chi della comitiva si astiene dal toccare un drink, quasi un diverso che viene bullizzato, deriso? Per questo, il soggetto che ha in disponibilità il veicolo, di solito, tranne le dovute eccezioni, come tutti i trasportati, si trova in condizioni psico-fisiche indebolite e parzialmente annebbiate dall’alcool.

Ritengo umilmente che se si siano moltiplicati esponenzialmente i casi di giovani alla guida in stato di alterazione alcolemica, con questo prendo le dovute distanze dal caso del decesso della Sig.ra Mele, perché sia lungi da me interferire con il corso della Giustizia, volendo solo analizzare il profilo sociologico della disgrazia, la causa è da ricercare nella mancanza di dialogo fra i giovani ed i loro tutori legali. Nella mia professione ho conosciuta una donna ultracinquantenne che faceva grave abuso di alcool, perché asseriva che nella bottiglia trovava il coraggio di perdere freni inibitori e di socializzare: questa persona si scoprì che aveva avuto un pessimo rapporto con i genitori, in particolare con il padre. Ora non intendo praticare una psicanalisi spicciola, ma credo che un genitore, oppure un adulto con funzioni di protezione del minore, ovvero del maggiorenne convivente sotto lo stesso tetto, possa e debba ascoltare i bisogni e le afflizioni di figlio, nipote, pupillo ecc. Ma lo stesso discorso vada esteso agli adulti che convivono con altri adulti, i quali sono soliti mettersi in auto o in moto, senza cura per un semplice bicchiere di troppo: si badi bene che la normativa è severissima; chi guida dovrebbe bere solo acqua o bibite non alcoliche, poiché l’etilometro è uno strumento sensibilissimo alle tracce di molecole nocive.

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Molto spesso la mancanza di dialogo crea una linea netta di demarcazione fra giovani e presunti vecchi… come dicono i “boomers”, oppure fra gli adulti stessi, che generano rette parallele che non si incontrano mai. Dietro ogni fatto tragico, purtroppo, si annida una mancanza di ascolto, che è foriera di sofferenza per chi intenderebbe essere attenzionato e chi non ha tempo, voglia, ovvero egli stesso coraggio di accogliere la persona bisognosa di aiuto, perché a sua volta egli stesso ha avuto bisogno di aiuto, ma non è stato ascoltato. Gli incidenti stradali sono purtroppo il culmine di un malessere generalizzato che manifesta a valle un disagio sociale di mancanza di relazioni, che vengono surrogate con il cicchetto, il drink che rende allegri e la corsetta automobilistica spericolata per dimostrare di essere diversi, migliori, speciali e\o fighi. Ripeto sino alla noia che non intendo generalizzare e riferirmi alla recente tragedia, ma l’isola con la sua opulenza ed il suo benessere sta troppo spesso conoscendo dolore e sconforto per morti insensate, evitabili, inspiegabili.

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A tutto questo, non si può reagire voltandosi dall’altra parte, rinchiudendosi nel proprio guscio, ma è necessario dialogare fra le Istituzioni, i cittadini attivi, i comitati e le scolaresche per ripudiare non solo la guerra, ma anche la convivenza a compartimenti stagni fra giovani inesperti ed adulti maturi. Il premiato alla carriera, giornalista del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, al 43^ Premio Internazionale Ischia di Giornalismo, sabato 2 luglio scorso, ha ribadito che il mondo occidentale deve assimilare la consapevolezza dell’esistenza della guerra russo-ucraina alle porte del suo benessere e che dal ‘44 ad oggi ci sono state ben 60 guerre inesorabili e mortifere. Allo stesso modo, Ischia deve assimilare la scomoda coscienza collettiva che è il momento di fermarsi e capire cosa sta accadendo durante la circolazione stradale: non si può più liquidare il problema come quello di altri: oggi, domani, ieri potremmo ricevere tutti una telefonata dalle Forze dell’Ordine che ci informa che un nostro caro non farà più ritorno a casa. Desidero manifestare il mio composto ed umile cordoglio alla famiglia della vittima ed il mio rincrescimento per l’accaduto alla famiglia dell’indagata, con l’auspicio e la speranza che questo e tutti i giornali non debbano mai più scrivere: “morte ad Ischia per incidente stradale”.

* AVVOCATO

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