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La storia di Giovanni Cricco tra i deportati del campo di concentramento di Dachau

di Isabella Puca

Ischia – “Vorrei sapere la sorta toccata a mio marito per capire se la persona deceduta in una marcia di trasferimento è proprio quella che risulta nell’immagine allegata. E ciò perché, attraverso la radio, mio marito mi ha mandato i saluti. Tale situazione è una contraddizione che non mi lascia vivere in pace ed io desidero di essere confermata nelle buone notizie”. È questo uno stralcio della lettera della bisnonna di Giovanni Cricco, 23 anni, una laurea in scienze politiche e tanta voglia di verità. Questa lettera è uno dei tanti documenti da cui Giovanni è partito per ricercare la storia della sua famiglia, in modo particolare del suo bisnonno rinchiuso nel campo di concentramento di Dachau di cui però non si sono più avute notizie. Una storia tramandata di padre in figlio che oggi ha acquisito nuovi importanti tasselli, una testimonianza che Giovanni ha raccontato agli studenti delle Scuole Medie di Ischia in occasione della Giornata della Memoria in cui si commemorano le vittime dell’Olocausto. «É cominciato tutto da mio nonno – racconta ai ragazzi –  appassionato di storia proprio come me, iniziò lui a raccontarmi questa incredibile storia tralasciando però qualche importante dettaglio. Dopo due o tre anni dalla sua morte ho svuotato la sua casa cercando documenti e testimonianze che potessero aiutarmi a ricostruire i tasselli. Era un uomo che conservava tutto minuziosamente, quindi sono riuscito a trovare molti documenti da cui poi sono iniziate le mie ricerche». Il primo documento ritrovato è una lettera di suo nonno indirizzata a un amico protagonista di una simile vicissitudine, «tra le righe di quella lettera raccontava come suo padre gli era stato strappato quando lui aveva appena 12 anni sottolineando la sua sofferenza e la ricerca della verità perpetuata nel tempo. Questo mi ha spinto a voler conoscere di più, è la storia della mia famiglia e lo devo a mio nonno e al mio bisnonno». Per anni Giovanni, che porta il nome proprio del suo bisnonno, ha iniziato a cercare tra stralci di giornale, lettere e documenti avvalendosi del grande aiuto offertogli da internet dove ha potuto incrociare la storia di tante altre persone che, come il suo bisnonno, hanno  vissuto la stessa terribile esperienza. «Il mio bisnonno era un contadino e nel ‘44  viveva a Nimis, un paese in provincia di Udine che divenne scenario di battaglie tra partigiani e nazisti. I partigiani ebbero la meglio sopra i nazisti che, ritornati al paese con artiglieria pesante, distrussero a loro volta i partigiani. Per rappresaglia i Nazisti catturarono anche i cittadini del posto e, tra questi, il mio bisnonno che fu spedito a Dachau». Quelle furono le ultime notizie apprese dalla famiglia Cricco che da allora, non ebbe più notizie di Giovanni.   «Nel ’63 arrivò un comunicato della Croce Rossa internazionale che annunciava la morte di mio nonno per fame. Tuttavia ho continuato a cercare in internet e lì ho trovato molte informazioni. Quello di Dachau era un campo di lavoro dove venivano rinchiusi gli oppositori politici e nell’ultimo periodo, prima della fine della guerra, le condizioni erano davvero pessime. Ho scoperto che il bisnonno, in realtà, non morì nel campo di concentramento, ma durante una marcia della morte». Il suo corpo è infatti sepolto a 3 km da Dachau in cima a una collina, «quei 3km furono la distanza percorsa da lui e da chissà quanti altri costretti a vagare per giorni affinché trovassero la morte per stenti. La liberazione avvenne il primo maggio del ’45 quindi il mio bisnonno riuscì ad assaporare la libertà per quattro o cinque giorni, un pensiero che davvero mi mette i brividi». È del ’45 la lettera scritta dalla sua bisnonna, la donna non seppe mai della morte del marito. Nella seconda parte della missiva, tra le righe, chiede di avere informazioni certe circa la sua vita, il cinque maggio, infatti, è sicura di aver recepito un saluto inviatole dall’uomo via radio, «tutto è possibile se consideriamo quei 5 giorni vissuti da uomo libero. Gli americani portavano con sé delle radio ed è probabile che il nonno volle salutarla per l’ultima volta». Il 26 luglio del 2016 Giovanni ha attraversato i cancelli di Dachau realizzando il sogno di suo nonno, ispettore capo della Polizia di Ischia che, per vicissitudini personali non riuscì mai a ricongiungersi con suo padre. «L’ ho fatto per lui, per mio nonno; dopo quasi ottant’anni un altro Giovanni Cricco ha varcato quei cancelli e l’emozione è stata grandissima; in quel luogo scorreva il mio sangue. Quando ho visto quel cancello e la scritta ‘Il lavoro rende liberi’,  sono crollato. È stato toccante, tra i vari libroni, ritrovare il nome del mio Bisnonno». Il destino ha voluto che un anno dopo, il 26 luglio del 2017, Giovanni discutesse la sua tesi di laurea in Scienze Politiche incentrata proprio sulla storia del nonno. «In una lettera del nonno ho letto la paura che tutto questo potesse cadere nel dimenticatoio, sento che il mio compito, e ringrazio il professore Domenico Castagna per avermi dato l’opportunità di raccontarvi questa storia, è di portare avanti il ricordo. Il nonno era molto legato al padre e il dolore lo ha accompagnato fino alla fine. Sono qui perché non deve più accadere ed è  importante che ci siano ragazzi come voi che ascoltano e come me che continuano a portare testimonianza». Lì a Dachau oltre ai cancelli sono rimasti solo i forni crematori, Giovanni Cricco non è sepolto lì, ma ad Leitenberg dove suo nipote, presto, andrà per ricongiungersi con lui. «In un libro – ha continuato a raccontare – c’erano scritti tutti i nomi di coloro che non erano morti lì a Dachau; tra questi  c’era il nome del nonno.  Per recuperarlo abbiamo inserito un annuncio su Famiglia Cristiana e ci è stato spedito da una signora del nord Italia che, grazie proprio a quel libro, è riuscita a trovare la tomba del marito». In un processo di ricerca come questo sono tante storie che si  intrecciano. C’è quella di una donna che ha vissuto con la speranza di rivedere suo marito vivo, quella di un figlio che dall’Italia fuggì in Francia per scampare alla guerra per poi ritornare al suo paese di origine e far carriera diventando capo della Polizia prima di Roma, poi di Napoli e infine di Ischia dove conobbe l’amore. E poi c’è la storia dei nostri tempi dove protagonista è Giovanni che ricorda e che continua a ricercare, «vorrei  creare un gruppo di persone che come me vuole continuare questo lavoro di ricerca, ora è complicato scoprire altro, sono passati 80 anni e molti documenti sono andati perduti. Ho chiesto al sindaco  del comune di Nimis  di poter accedere all’archivio storico, ma è stato bruciato tutto. La storia, intanto, ha fatto il giro del mondo, in tanti mi hanno contattato e con loro mi sono confrontato sulle storie di ciascuno. Ho iniziato a scrivere un libro chiedendo aiuto alla mai professoressa di italiano delle scuole superiori Anna Di Meglio dove ricostruirò la storia del bisnonno fino ad arrivare a me. S’intitolerà “la pace ritrovata”».

 

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