LE OPINIONI

IL COMMENTO Le colpe di Ischia, per un turismo senza qualità

Come ogni fine estate, a maggior ragione in questo lungo periodo di emergenza pandemica, si è soliti tracciare il bilancio della stagione appena trascorsa sulla nostra isola d’Ischia. Facendo riferimenti, più o meno espliciti, alla presenza sul territorio di “napoletani” non graditi, “gentaglia indisciplinata”, “maleducati senza ritegno”. Come se i mali dell’isola verde fossero legati, quasi esclusivamente, alla fastidiosa presenza del “terrone partenopeo”. Un’entità distante, estranea, piovuta dal cielo, dalla quale l’ischitano medio prende da sempre le distanze, spesso a ragion veduta ma altrettanto spesso per un malcelato sentimento di avversione generalizzata nei confronti del “quasi conterraneo”. Il turismo cittadino viene valutato, giudicato, stigmatizzato e poi respinto, almeno a parole. Messo all’angolo a mo’ di alibi in grado di coprire i tanti problemi e le colpe che, ahinoi, Ischia porta con sé da decenni indipendentemente dal tipo di clientela che la frequenta. 

E allora sarà bene chiarire la questione, perché le lotte territoriali, le rivalità da quattro spiccioli e le scalate sul piedistallo dell’effimero, non servono proprio a nessuno. C’è un genere di cittadino che, da sempre, rappresenta il cancro della società e lo trovi ovunque, a Napoli come a Ischia, a Parigi come a New York. Le azioni delinquenziali che vengono commesse sull’isola, nel corso dell’estate, non hanno una matrice territoriale precisa. Basta fare una verifica attraverso le sale stampa di polizia e carabinieri, per rendersi contro che la provenienza del balordo di turno è varia. A chi racconta la storiella di episodi legati alla tracotanza e la prepotenza di “talebani” giunti dalla terraferma, si potrebbe replicare con altrettante disavventure di cui ognuno di noi è stato vittima e protagonista, con persone indigene, Ischitane da più generazioni. E’ il prezzo da pagare alla maleducazione dilagante, che non è circoscrivibile ad un’area territoriale (purtroppo), quanto piuttosto ad una questione generazionale e di subcultura che non ha confini. Non basta però, tutto questo, a indurre a fare un passo indietro a tutti coloro che preferiscono nascondersi dietro il lancio di uno strale, verso il turista che arriva dal mare. Perché se è vero che dalla fine degli anni ‘70 l’ambiente ad Ischia è cambiato, certamente in peggio, questo fenomeno è stato favorito proprio dal modo indegno e indifferente con il quale l’imprenditoria locale e anche i cittadini isolani hanno gestito il flusso vacanziero.

Il fastidio di “certe” famiglie in arrivo sull’isola non è mai stato all’altezza della comodità di incassare tanti soldi facili. Non c’è mai stata una selezione, mai la scelta di una clientela di qualità, di un turismo civile e rispettoso. Ischia ha accolto negli anni tutto il marcio possibile, per crescere economicamente e morire dal punto di vista della vivibilità. Non hanno fatto così Capri, Procida e per certi versi Sorrento, dove sugli interessi economici e il soldo facile, hanno prevalso buon senso e scelte severe e selettive. Anche quest’anno il fenomeno dei fitti abusivi è stato dominante. I “mao mao” cafoni e maleducati, come dice qualcuno, sono quelli che arrivano, esattamente come quelli che accolgono, qualche volta. Senza contare un altro aspetto. La malerba cresce dove c’è campo fertile per mettere radici. In un luogo dove tutto venga rispettato, dove non ci fossero abusi edilizi, tassisti disonesti, rifiuti ovunque, commercianti maleducati, ristoratori poco inclini alla  qualità e prezzi alle stelle, sarebbe più facile avere un turismo di qualità e più civile. Un turismo fatto di persone perbene, che sono a Napoli come ad Ischia e senza quei personaggi di bassa lega che, come diceva Eduardo parlando dei “mariuoli”, non sono Napoletani, Milanesi, Francesi o Ischitani, sono “mariuoli e basta”.  

* DIRETTORE “SCRIVONAPOLI”

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