LE OPINIONI

IL COMMENTO Le elezioni interne all’Avvocatura

DI LUIGI DELLA MONICA

Un evento che di norma non appassiona e disinteressa l’opinione pubblica è il rinnovo delle cariche interno ed intestino dell’Avvocatura. La battaglia del Tribunale è affare di potenti, tra potenti e molti isolani, nel comune e superficiale sentire, ritengono che sia una vicenda avulsa dalla praticità e concretezza di tutti i giorni.

Alcuno potrebbe dire: “Noi siamo seri, apparteniamo all’alluvione e\o al terremoto: cosa desiderano questi signori in giacca e cravatta da noi…Si tenessero il loro ufficio di chiacchere e lasciassero in pace noi isolani, vilipesi da tante preoccupazioni quotidiane”…Lunedì 23 gennaio hanno fatto il loro ingresso in Via Michele Mazzella i candidati della lista “Per l’Avvocatura”, che non cito per una politica del giornale di par condicio, visto che nella corrente settimana interverranno altre liste, come i candidati indipendenti, oppure “Liberi e Coesi” che è stata ospitata ieri ed altre ancora, allo scopo di trasferire il messaggio agli avvocati isolani della unità della classe forense; spicca inoltre la figura del candidato isolano avv. Teofilo Migliaccio che merita menzione non per favorirlo, ma semplicemente perché nostro concittadino.

Mi propongo di illustrare il nesso ai lettori fra le elezioni forensi ed il riflesso sulla loro vita quotidiana. Il mirabile “piccolo” avvocato Enrico De Nicola – che in un mio precedente articolo definivo il genio della cosiddetta tregua istituzionale, poiché da Capo provvisorio della Repubblica Italiana escogitava un meccanismo legale per evitare la sciagura al nostro Paese della resa incondizionata agli Alleati – si scambiava un telegramma con il suo Collega Giovanni Porzio, affermando entrambi che erano sereni nel considerare tanto in alto collocata la classe forense nel mondo civile, militare ed economico che difficilmente entrando ed uscendo da essa si potesse salire più in alto, ovvero più in basso – lapide commemorativa sita in Napoli al Castelcapuano. Questa frase che riempie di orgoglio chi abbia mai avuto l’onore di vestire una toga, nella Napoli che vanta un Ordine, un Albo, un elenco disciplinato di professionisti sin dalla seconda metà del 1700, è quanto mai densa di significato concreto ed estensibile ai cittadini.

La risposta si rileva nell’architrave costituzionale: l’art. 24 della Costituzione, in adempimento ed esplicazione concreta del principio informatore del comma 2^ Art. 3 Cost, codifica il diritto di difesa dei cittadini, degli stranieri e degli apolidi sul territorio italiano ed al cospetto dei Tribunali, delle Corti, di ogni ordine e grado, mediante una figura tecnica specializzata ed autorizzata dallo Stato, l’avvocato, letteralmente “il chiamato”, colui che è convocato ad aiutare. In questo cari isolani, nel concetto immateriale e sostanziale dell’aiuto è imperniata la professione dell’avvocato, il quale nel nostro ordinamento è coordinato, supervisionato e monitorato nella qualità dal suo Ordine, che ha rappresentanza pubblica presso le Istituzioni statali e come tale è Avvocato degli Avvocati. E’ una catena composta da vari anelli concentrici deputati al bene del Cliente, della persona che senza distinzione di censo, religione, condizioni personali e sociali, chiede aiuto, supplica o rivendica un domanda di Giustizia.

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In ciò si spiega il nesso eziologico fra la comunità isolana ed il rinnovo delle cariche forensi napoletane: una classe di avvocati ischitani uniti e stretti a coorte presso i loro vertici istituzionali di Napoli, come se l’Ordine di Napoli potesse, per intenderci, avere la stessa veste della Citta Metropolitana presieduta dal Sindaco Manfredi, è in grado di combattere ideologicamente insieme alle cugine Lipari ed Elba per neutralizzare una volta e per tutte un concetto terrificante e drammaticamente antidemocratico: la Giustizia di prossimità non serve ad un territorio insulare ed è un appannaggio di pochi che se si vuole esercitare è possibile farlo a costi elevatissimi per il richiedente, non per il destinatario istituzionale. Ma sono proprio gli avvocati isolani che potranno con un voto unisono scegliere l’uno o l’altro candidato per consentire al consigliere delegato, ovvero allo stesso Presidente in pectore, di urlare con garbo ed autorevolezza: Ischia non si chiude! Il patto sociale, la deposizione delle armi nelle mani dello Stato, la delega ad esso dell’uso della forza, sarebbe non più, in mancanza del Tribunale in Via Michele Mazzella, un atto spontaneo e volontario di responsabilità del buon padre di famiglia, ma un’acefala resa incondizionata alla crudele autorità statale, che si autodetermina, si auto referenzia e comprime gli stati di bisogno a suo piacimento, come purtroppo accade nelle pseudo-democrazie asiatiche.

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Leggevo qualche settimana fa che in Cina hanno sperimentato il robot giudice, come a dire che la tecnologia divenuta oggi “il novello oppio dei popoli” è suprema rispetto al libero convincimento del giudice, che si produce nell’attualità, nella concretezza, nel dinamismo del processo, ma con esseri umani e tra esseri umani.

La cronaca ci sta rappresentando casi di processi sommari, udienze farsesche che si basano sulla confessione indotta dalla tortura; condanne a morte per rati di opinione (Iran, Afghanistan e forse anche Russia). Secondo i lettori ischitani chi dovrebbe essere il soggetto deputato a denunciare queste brutalità che pensavamo finite con la sconfitta della Germania nazista nel 1945? Gli avvocati, l’avvocato. Se quest’ultimo da solo non riesce a cambiare le cose deve rivolgersi al suo Ordine e questo al Consiglio Nazionale Forense, per interloquire con Ministero di Grazia e Giustizia, Governo, Parlamento e Ordine di Governo della Magistratura. In questo modo, gli ischitani conserveranno, senza alcun spirito reazionario ma come revindica di pari dignità del territorio insulare a quello costiero metropolitano, il loro Tribunale.

La spending review applicata inopinatamente al settore giustizia ha trasformato i diritti, i doveri, gli interessi legittimi e di fatto in mere forze centrifughe dalla logica numerica del profitto. Questo sterile e tecnocratico rimedio alla lentezza della giustizia in ossequio alla legge economica secondo cui “il tempo è denaro” ha indotto nelle coscienze collettive un concetto di mal disposizione verso la sede della risoluzione delle liti, il Tribunale, i giudici, gli avvocati. Questi ultimi, essendo alla portata diretta dei cittadini vengono additati come la conseguenza di questa lentezza, che in realtà significa prudente apprezzamento e\o dovuta attenzione dei tempi processuali per maturare una decisione incidente sulla vita delle parti in termini personali e\o patrimoniali, circostanza ben diversa dalla correspettività dare\avere caratterizzante il mondo degli affari. In pratica, l’era montiana ha dissimulato l’inefficienza della giustizia con la durata temporale dei processi, senza rivelare ai cittadini che i magistrati sono troppo oberati di lavoro, ma il Sistema non ha voluto assumere centinaia di migliaia di funzionari dello Stato, per consentire una rapida soluzione delle controversie, ma studiare a tavolino una sequenza di norme scellerate per indebolire l’autonomia e la indipendenza della avvocatura, nella speranza che una classe forense debole potesse comprimere la domanda di giustizia dei cittadini.

I pentastellati, invece, hanno partorito il topolino della riforma sulla prescrizione – io stesso benedico la prescrizione che ha consegnato dopo dodici anni di processo un innocente incappato in una vicenda difficile da spiegare quale il furto di identità al privilegio della incensuratezza; con la riforma Buonafede una persona rischiava anche di rimanere sotto inchiesta o processo per tutta la vita o per diversi decenni.

In ciò si manifesta l’importanza per la comunità di una avvocatura unita ed autorevole presso le Istituzioni e non prona alla scure della terraferma che autoritativamente ordinerebbe agli isolani disagevoli ed onerose trasferte al Tribunale del capoluogo di Provincia. Il Ministro della Cultura dott. Sangiuliano ha inteso rimarcare il ruolo di Procida come capitale della Cultura, io ardisco di promuovere Ischia, per la sua sventura di dover combattere contro la soppressione del Tribunale, come capitale della Avvocatura, patria elettiva di tutti quei professionisti della nobile classe forense che intendono lottare per la conservazione delle istituzioni statali realmente create per il benessere della collettività isolana.

Cari ischitani, non dimenticate che Emanuele De Deo era un giovane avvocato che perì in esito ad un processo farsa, nel 1799 per aver professato i valori di libertà, richiedendo al Re Ferdinando di Borbone una forma di Stato in Monarchia Costituzionale.

Oggi gli avvocati non verranno più incarcerati o perseguitati o condannati a morte per le loro idee…ndr in altri Paesi come l’Iran, la Turchia e l’Afganistan questo purtroppo si verifica…ma sull’isola ed in armonia con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, che rinnova i suoi membri, dovranno esporre alle Istituzioni dello Stato Centrale il dolore e la frustrazione di cittadini dei territori insulari, i quali stanno per essere privati del più alto sito di estrinsecazione delle libertà democratiche: il Tribunale. Pertanto, le elezioni forensi, non sono solo un affare degli avvocati, per gli avvocati, ma una garanzia di libertà dei cittadini.

* AVVOCATO

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