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Parla il notaio Arturo: «L’abusivismo è stata una ricchezza, qui la politica è senza morale»

FORIO.  Quarantasei anni di attività prima della meritata pensione, maturata nel giugno dell’anno scorso, «ma continuo quotidianamente a studiare e ad aggiornarmi: ho sempre amato il mio lavoro». Il notaio Antonio Arturo è una vera istituzione dell’isola d’Ischia, e dal suo osservatorio privilegiato è stato testimone diretto delle vicende locali nell’ultimo mezzo secolo. Lo abbiamo incontrato nel suo studio di Forio, dove ritornò nel 1978 dopo otto anni trascorsi in Piemonte e Valle d’Aosta, le sue prime sedi d’assegnazione dopo aver vinto il concorso notarile nel 1970. Nel suo curriculum anche il ruolo di pretore negli anni ’60.

Notaio, Lei è una vera memoria storica dell’isola. Attraverso la Sua professione ne ha osservato l’evoluzione per quasi cinquant’anni.

«È vero, e devo dire che noi isolani per tutto questo tempo abbiamo vissuto e prosperato proprio grazie a quella che molti ritengono soltanto una piaga, cioè l’abusivismo edilizio, che ha costituito il volano principale dello sviluppo. Una volta finita “l’ondata” dell’abusivismo, anche questo sviluppo si è fermato. L’abusivismo ha dato l’agiatezza alle famiglie, col quale hanno potuto ottenere il bene supremo della casa, che non avrebbero mai potuto avere a causa delle leggi ultra-restrittive e della corruzione dilagante alla Soprintendenza».

Lei non usa troppi giri di parole per individuare le responsabilità e gli errori alla base del disordinato sviluppo edilizio dell’isola..

«L’isola si è sviluppata in modo disordinata soprattutto per colpa dello Stato. La materia edilizia è di competenza statale, e lo Stato centrale non si è mai preoccupato di fronteggiare adeguatamente le esigenze abitative dei cittadini isolani, i quali intelligentemente si sono arrangiati. E se non l’avessero fatto, sarebbero rimasti dei “morti di fame” o avrebbero dovuto prendere la via dell’emigrazione, come fecero i nostri nonni».

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Nessuna responsabilità da parte dei politici locali?

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«Le autorità locali hanno un potere molto limitato, e non c’erano politici in grado di incidere a livello nazionale. Essendo l’isola soggetta a vincolo paesaggistico,  tutto  o quasi dipendeva dai voleri della Soprintendenza: senza il suo parere preventivo non c’era alcuna valida autorizzazione. I politici locali si dedicavano soltanto al piccolo cabotaggio. E nemmeno l’approvazione del piano regolatore poteva essere risolutiva, perché esso per sua natura è limitato, e non poteva ovviare alle esigenze della popolazione ischitana. Quindi non si è mai proceduto, perché si rischiava soltanto di scontentare tutti, e ovviamente non si potevano più creare le “clientele”».

Quindi qualche responsabilità c’era..

«Certo, ma non nella fase di rilascio del permesso, perché essendo necessario l’intervento della Soprintendenza, il politico locale si limitava a chiudere un occhio, o tutti e due, mentre il cittadino costruiva. Parliamo sempre di “parva materia”. Ricordo negli anni ’60 un funzionario della Soprintendenza che veniva in vacanza a Sant’Angelo, il mio paese d’origine. Si recava da un potente imprenditore locale che dietro piccoli favori gli impartiva le direttive secondo cui bloccare o autorizzare i lavori edili che altri cittadini avevano in corso nella zona. Ecco, questa era la Soprintendenza».

Dunque un grave caso di corruzione e arbitrarietà..

«Guardi, noi siamo cresciuti e cresciamo  ancora oggi proprio sulla corruzione, a tutti i livelli. Non potendo superare lo “scoglio” della Soprintendenza, gli ischitani si sono dati da fare, e hanno fatto bene, superando la povertà atavica di questa terra, costruendo la casa per sé, per i figli oppure vendendo l’immobile costruito. L’abusivismo è stata una panacea: ecco perché non sopporto quelle manfrine da parte degli ambientalisti, che non si sono mai posti il problema concreto di come doveva svilupparsi un’isola di 50mila abitanti. Solo chi era “raccomandato” dalla Soprintendenza riceveva le autorizzazioni. Anzi, le dico di più: tutti i veri scempi edilizi in giro per l’isola sono proprio quelli autorizzati dalla Soprintendenza. I grossi alberghi, da Forio a Sant’Angelo, da Lacco Ameno a Ischia, hanno tutti l’autorizzazione pur sorgendo su zone archeologiche o comunque col vincolo paesistico. Eppure, quando si parla di abusivismo, non ci si riferisce mai a questi grandi scempi. A deturpare alcune località dell’isola ci hanno pensato vari ministri e politici nazionali, tramite amicizie particolari».

A proposito di questi cambiamenti, secondo Lei  in cosa l’isola è cambiata in meglio, e in cosa è peggiorata?

«In meglio è cambiato sicuramente il tenore di vita: fino a cinquant’anni fa la gente sopravviveva. Oggi invece c’è comunque una prosperità impensabile all’epoca. È di certo invece peggiorata la moralità della gente».

In questi giorni è stato approvato il Ddl Falanga, che stabilisce i criteri di priorità per gli abbattimenti.

«Sì, ho saputo. Tuttavia credo che sia un provvedimento relativamente appagante. Io invece mi sono sempre battuto per arrivare alla vera e propria sanatoria. Ricordo i miei acerrimi e infiniti contrasti col procuratore De Chiara e la sua assurda volontà di abbattere le case di qualche povero cristo: abbattimenti che furono espressione di pura demagogia. Più volte gliel’ho anche detto in faccia: “Non vi vergognate? Su 50mila sentenze di abbattimento, andate a colpire proprio un paio di poveracci”. Ma anche qui c’è la responsabilità della politica nazionale, se pensiamo ad esempio al condono del 2003..».

Che qui sull’isola non è applicabile, almeno finora.

«Questo è quello che dicono, ma in realtà c’è un motivo squisitamente politico. Ricordo che in quel periodo si svolsero una miriade di convegni a tema. Durante l’organizzazione di uno di questi, ascoltai chiaramente un  giudice dire che avevano già “deciso” che il terzo condono non doveva essere applicabile. Il motivo? I magistrati, che in larga maggioranza sono  comunisti, volevano punire Berlusconi e il suo governo, impedendogli di incassare consensi e risorse dal varo della legge. Ecco, circostanze del genere tolgono ogni voglia di continuare a lottare per cambiare qualcosa».

Un giudizio sull’attuale classe politica dell’isola d’Ischia.

«Niente di eccezionale. Mi ripeto: si fanno eleggere per praticare una politica minore, di piccolo cabotaggio, per i soliti “piaceri” da elargire a quelli della propria fazione, eppure talvolta si sentono come dei “padreterni”».

E se invece dovesse indicarmi il politico isolano più arguto tra quelli che ha visto all’opera in questi decenni?

«Sicuramente Enzo Mazzella era quello di più ampio spessore. A Ischia ha realizzato una lunga e imponente serie di opere pubbliche. Era molto attivo e forse questo suo incessante dinamismo ha contribuito alla sua prematura scomparsa. Eravamo quasi coetanei. Mazzella apparteneva alla corrente democristiana di Gava, ed era considerato il “cassiere” della Democrazia Cristiana, e anche su di lui si stavano addensando le attenzioni della magistratura, proprio per il suo ruolo».

L’imminente Tangentopoli  sarebbe scoppiata due anni dopo.

«Non dobbiamo essere ipocriti. Le tangenti erano praticate da tutti i partiti. Non bisogna credere a Berlinguer (segretario del Partito Comunista Italiano dal 1972 fino alla morte avvenuta nel 1984, n.d.r.) quando disse che i comunisti erano gli unici onesti o, come disse testualmente, “antropologicamente diversi” da tutti gli altri. Resto convinto che Tangentopoli sia stata orchestrata per far arrivare i comunisti al governo, anche se poi le elezioni le vinse Berlusconi».

A proposito di elezioni, il mese prossimo si vota a Ischia e a Barano.

«Per quanto riguarda Barano, è scontata la vittoria di Dionigi Gaudioso. Il sindaco uscente gode di un ampio consenso e porterà una grande quantità di voti. L’opposizione è poca cosa, e per anni ha sofferto di quello che io considero il vero handicap, costituito dalla famiglia Di Meglio, che non si comprende quali “colpe” abbia. Sono posizioni ormai cristallizzate, come avviene nelle piccole comunità. Ricordo che il padre dell’attuale candidato di maggioranza, Giosi Gaudioso, inizialmente faceva parte della Democrazia Cristiana. Poi litigò con Giovanni Di Meglio (dell’omonima famiglia), per  entrare nel Partito Socialista e iniziare la sua ascesa».

E Ischia?

«Non so dare un giudizio preciso su Gianluca Trani, è giovane, parliamo di una generazione molto lontana dalla mia, mentre invece ricordo bene il padre, Gabriele, che per anni fu stretto collaboratore di Enzo Mazzella. Dell’altro candidato, Enzo Ferrandino, conosco lo zio, Silvestro Ferrandino, che vinse il concorso da notaio poco prima di me, e che da allora è vissuto in Liguria, ma siamo sempre rimasti in contatto. Non ho il polso della situazione elettorale ischitana: forse Enzo potrebbe farcela. Domenico De Siano appoggia Gianluca, ma ho la sensazione che a Ischia il senatore non abbia la stessa grande presa di cui gode a Lacco o Casamicciola. La partita è aperta».

Qual è la sua opinione sul Comune Unico?

«Non me ne sono mai occupato più di tanto. Credo che gli isolani non vogliano il Comune unico, gelosi come sono dell’individualità dei propri paesi. Il Comune unico fu istituito per un breve periodo a cavallo della Seconda guerra mondiale. Arturo Trofa, lo storico sindaco di Serrara Fontana, mi raccontò che durante quel periodo egli lavorava come impiegato al Comune unico, che aveva sede ovviamente a Ischia. Mi disse che non esistevano consiglieri comunali serraresi o fontanesi, quindi lui da impiegato era l’unico che cercava di fare gli interessi del suo paese: per ottenere la sostituzione di una lampadina di illuminazione pubblica a Serrara Fontana occorreva attendere mesi e mesi. Di fatto non vedo a cosa possa servire il comune unico: il governo dell’isola si trasformerebbe nell’egemonia di Ischia sulle altre località, soprattutto quelle più periferiche, che non avrebbero nessuna incidenza».

Il momento più bello della sua carriera da notaio?

«Vengo da una famiglia molto modesta, e l’essere riuscito a diventare un notaio stimato in tutta Italia è una soddisfazione immensa. Ho sempre amato lo studio del diritto, e questa attività mi ha anche permesso di diventare ricco. Prima di andare in pensione, ho persino fatto in tempo a vincere una causa contro il Papa. Si stupisce? Ora le racconto. Certamente saprà dell’infausta storia dei bond argentini, i cosiddetti tango-bond, trasformatisi in carta straccia col default dell’Argentina nel 2001-2002. Ebbene, l’attuale Papa era tra coloro che, nell’intellighenzia del paese sudamericano,  ritenevano che tali obbligazioni non dovessero essere rimborsate! Diceva che quel denaro serviva ai loro poveri. Roba da matti: chi si fa prestare il denaro deve restituirlo. L’Italia creò una task force bancaria per recuperare i crediti. Ci sono voluti quindici anni. Parecchi risparmiatori si erano intanto arresi, accontentandosi di piccole percentuali del capitale. Io no. Non è concepibile che uno Stato sovrano rifiuti di restituire i soldi dovuti mentre ricorre sempre al mercato dei capitali internazionali.  Alla fine il nuovo presidente Macrì ha pagato il capitale dovuto, col 50% degli interessi».

E il momento più critico?

«Non ne ricordo, sinceramente».

FRANCESCO FERRANDINO

 

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