IL COMMENTO L’eterna storia dell’uomo isolano il rapporto con il mare
Nel proemio della sua opera che vuole addirittura porsi come continuazione dell’Odissea di Omero, Nikos Kazantzakis, greco contemporaneo che ha viaggiato a lungo su isole e terre per salvare il ricco lessico parlato, a rischio di scomparsa dopo l’uso fattone per secoli e secoli canta un Inno al Sole. “Sole, grande astro orientale, berretto d’oro della mente, che amo portare di traverso, ho voglia di giocare, perchè gioiscano i cuori finchè siamo entrambi vivi. E’buona questa terra,ci piace, come l’uva riccia che pende nell’aria azzurra e oscilla nel piovasco, Dio, la beccano gli spiriti e gli uccelli del vento; pilucchiamola anche noi, che ci rinfreschi la mente! Tra le mie tempie che pulsano, dentro il grande tino, pigio i grappoli turgidi,il mosto ribolle fiero, e la mia testa ride e fuma al culmine del giorno. E’la terra che spiega le vele, o il cervello freme e la Necessità occhi neri intona ebbra il canto? Sopra di me il cielo ardente, sotto, il mio ventre sfiora come una gabbianella la schiuma fresca delle onde; le nari colme di salsedine, i flutti sulla schiena battono e vanno rapidi, e vado anche io con loro”. In questo passo ci sono tutti gli elementi di quella identità storica e culturale del Mediterraneo affrescata dallo storico Braudel in modo impareggiabile. Le rughe sui volti cotti dei pescatori, il sale respirato ovunque, le case bianche, le reti stese all’aperto, i bimbi sulla spiaggia, le pipe dei marinai, le barche tirate a secco od ormeggiate davanti alla costa, costanti da Venezia a Istanbul, da Ischia alla Sicilia, dalla Grecia a Cipro, dalla Turchia al nord Africa, la civiltà del vino bevuto in coppe speciali. Questa identità comune parte e fonda dall’elemento unificante, il mare.
Questo inarrestabile flusso di acqua salata irrora come sangue le terre e porta a riva i caratteri e i segni di una grande cultura. Una cultura talora aspra, una vita difficile e comunque avventurosa e straordinaria per qualunque fine si navighi il mare, come solitario canoista, pescatore provetto, velista coraggioso, marinaio delle acque interne, marittimo dei grandi mari oceanici, corsaro, combattente, basileus e condottiero che muove verso il territorio ostile o da conquistare, sovrano delle città greche che fa rotta verso le mura di Ilio per lavare l’offesa. Ulisse incarna e prefigura molti modelli di eroi e “al suo ritorno a Itaca compie un bagno purificatore dopo la strage dei Proci come segno di una nuova vita ma a Itaca serpeggia la rabbiosa rivolta dei padri dei giovani uccisi e delle vedove dei soldati caduti a Troia” (Nicola Crocetti). C’è tutto lo spazio epico di offese, risposte, guerre, gesta di valore eterno. “Ulisse doma la ribellione. Ma i tre spiriti che lo hanno baciato nella culla-Tantalo, Prometeo ed Eracle – gli hanno trasmesso un cuore indomito, un’intelligenza brillante e uno spirito votato alla conoscenza e all’esplorazione, perciò egli non è destinato a rimanere nella sua isola” (idem). Dunque l’isola è un cosmo mondo, un sistema armonico, una terra determinata e localizzata ma colui che naviga è portato a prendere il largo, a varcare i confini della sua stessa anima per cercare nuove terre dove approdare e fondare città e sistemi di pensiero. Un altro greco moderno Kavafis spiega bene questa dualità coesistente di stasi e movimento, di stato in luogo e moto a luogo. Rileggiamone i versi: “Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, nè nell’irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l’anima non te li mette contro. Devi augurarti che la strada sia lunga. Che i mattini d’estate siano tanti quando nei porti – finalmente e con che gioia – toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre tutta merce fina, anche profumi penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi, va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti.Sempre devi avere in mente Itaca – raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo sulla strada: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.”
Dunque la meta dell’eroe navigatore è lo stesso viaggio, durante il quale l’uomo deve vivere appieno e gustare ogni fragranza, vivere ogni storia, nutrirsi di ogni cultura, fare molte e diverse esperienze, incontrare popoli lontani portandosi in terre esotiche e magnifiche. In un certo senso vivere in modo pienissimo eppure con un senso di Gelessenheit, l’abbandono heideggeriano, che conduce a un piano altissimo di beatitudine, di raggiungimento del nirvana. Ordine e Caos convivono nell’eroe poiché l’impulso aziona la mente e guida al superamento di se stessi allo stesso modo in cui Zarathustra ascende al monte (magari come si è anche supposto, il Monte Epomeo di Ischia durante il suo viaggio all’isola verde) prima sovraccarico di una scimmia sul dorso che è il simbolo dell’uomo vecchio limitato nel suo conoscere ed ebbro di miti didascalici ma poi liberato dalle convenzioni e da questo peso, il blocco delle superstizioni, scopre la dottrina dell’eterno ritorno dell’eguale e in questo è già oltre uomo (cfr Vattimo) o Superuomo. Ulisse è astuto, coraggioso, ardito, geniale, vigoroso. E’ il sovrano dell’isola. Itaca è il suo regno, il suo mondo, il suo spazio. Eppure lo trascende e si iscrive nelle epiche greche, partecipa a gesta eroiche di ogni sorta, combatte ogni guerra, supera ogni avversità. E’ la cifra dell’isolano che confinato in uno spazio ridotto sente la brama del viaggio come mezzo e sistema di oltrepassamento della linea dell’orizzonte che è il vero confine dell’uomo di mare.
* AVVOCATO