LE OPINIONI

IL COMMENTO L’isola che non può fare a meno delle banche

Gli attacchi a Bankitalia; la voglia della politica di mettere alla gogna di un’ennesima commissione parlamentare d’inchiesta, le Banche italiane (ha ragione il costituzionalista Michele Ainis quando sostiene che la proliferazione di commissioni parlamentari d’inchiesta trasforma il Parlamento da organo legislativo in organo sostitutivo del potere giudiziario); il recente provvedimento per i rimborsi ai cosiddetti “truffati” dalle Banche, mettono a dura prova la credibilità del nostro sistema creditizio. E’ un bene, è un male? Cerchiamo di analizzare la situazione in un’ottica economica non ideologica, tenendo presente un punto fondamentale: le Banche sono istituzioni private non pubbliche e non sono né possono essere strumenti di giustizia sociale e di redistribuzione del reddito. In questo senso, l’idea governativa di rimborsare diversamente le famiglie truffate, secondo il reddito familiare (in automatico fino a 35.000 euro di reddito, con arbitrato per il resto) è un anomalo ed ingenuo strumento di perequazione sociale. Se si intende pubblicamente risarcire chi viene truffato da privati istituti bancari, bisogna risarcire tutti allo stesso modo. La truffa, se c’è, è uguale per tutti. Cosa diversa sarebbe stata valutare, con arbitrato, caso per caso, se c’è stata consapevolezza di scelta o raggiro, incauto acquisto o vittima di imbroglio.

Le Banche, però, hanno – come tutte le imprese – da rispettare la responsabilità sociale. Nessuna impresa dovrebbe perseguire il legittimo obiettivo dell’utile aziendale (le grandi banche sono tutte quotate al listino principale della Borsa italiana) senza tener presente che deve contribuire complessivamente allo sviluppo della società, favorendone la stabilità, gli equilibri ed un miglioramento complessivo. I recenti comportamenti negativi e, in qualche caso (soprattutto banche locali) criminali, non possono delegittimare e minare l’intero sistema creditizio, che ha svolto, in passato, una funzione indispensabile di volano dell’economia nazionale e, dopo aver vacillato non poco sotto i colpi di una terribile recessione, le banche si stanno lentamente riassestando e ricapitalizzando per affrontare le moderne insidie della globalizzazione, della finanziarizzazione del sistema, dell’innalzamento inatteso di nuove barriere e dazi del commercio mondiale.

Cominciamo da Bankitalia che, dalla fondazione della Repubblica, è stata un punto di riferimento per tutta l’economia nazionale. Che possa essere ritenuta colpevole di una insufficiente vigilanza sulle banche è comprensibile, anche se, per i casi più clamorosi, siamo di fronte a vere e proprie azioni fraudolente, abilmente nascoste, se non falsificate, in sede ispettiva. Ma ciò non vuol dire che si debba fare piazza pulita dell’intero staff di Palazzo Koch, dal vice Direttore Signorini al Direttore Generale Salvatore Rossi, all’altra vice Valeria Sannucci. E bene fa il Quirinale ed anche il Ministro Tria a difendere l’autonomia e l’indipendenza della banca centrale. Questo non significa sancire l’intangibilità del sistema bancario, che ha le sue colpe. Cito dal libro “ Dieci cose da sapere sull’economia italiana prima che sia troppo tardi” di Alan Friedman: “ Nei miei interventi ho più volte sottolineato come in Italia gli istituti non fossero disposti ad aiutare le piccole imprese, legati com’erano soprattutto ai grandi gruppi, e come, a differenza degli Stati Uniti, non finanziassero nuove idee o progetti di business proposti da giovani imprenditori. Le paragonavo a grandi ministeri ingolfati dalla stessa burocrazia, lenti e letargici, incapaci di soddisfare le esigenze del piccolo correntista, considerato un agnello sacrificale, come anche l’azionista di minoranza che perdeva sempre. A differenza degli amici del Salotto Buono delle grandi istituzioni che invece venivano irreprensibilmente tutelati. Per le  banche, troppo spesso, il piccolo risparmiatore era solo un pollo da spennare”.  E questo era il giudizio che Friedman dava sul comportamento delle banche negli anni 80. Il suo giudizio aggiornato è peggiore, in quanto – nel frattempo – si sono accumulati 170 miliardi di prestiti in sofferenza. Ed è vero che Mario Draghi ha inondato il mercato di denaro fresco, ridando liquidità alle banche, ma è come aver dato metadone al tossicodipendente. Le banche hanno sfruttato la maggiore liquidità per darsi una maggiore stabilità e per attenuare l’impatto di un gran quantitativo di chiusura conti e di linee di credito e scoperti. Quindi le piccole imprese hanno continuato a non essere alimentate dal credito.

Nella fase di assestamento e ricapitalizzazione, il sistema bancario ha dovuto mettere mano ad un vecchio problema: eccesso di organico, eccesso di filiali e sportelli. Anche  Ischia, purtroppo,  scontagli inconvenienti di di questa fase: cambi di personale e riduzione di esso, chiusura di sportelli e vincoli sempre più rigidi prima di erogare qualunque prestito. D’altronde c’è un dato inconfutabile: in media in Europa ci sono 27 filiali ogni 100 mila abitanti, in Germania ce ne sono solo 14 per 100 mila abitanti, in Italia ne abbiamo ben 49. E più si svilupperà l’online banking e più aumenterà la cancellazione di filiali, E questo, pur rientrando nella logica della modernità, finisce col penalizzare la piccola impresa, che ha bisogno del contatto umano di chi sia in grado di capire le esigenze del piccolo imprenditore, a prescindere dai rigidi parametri , dall’eccesso di garanzie richieste e dai dati ufficiali di bilancio. Ischia costituisce una realtà del tutto anomala e particolare, che forse le banche fanno fatica a comprendere e servire adeguatamente. Dov’è l’anomalia e la particolarità? Sta in una doppia “ vischiosità” ovvero da un lato c’è una grande quota di risparmio locale, refrattaria a qualsiasi rischio, d’altro lato esistono pesanti posizioni incagliate e sofferenze, che mettono a rischio interi settori economici: alberghiero, termale, grandi bar e ristorazione, commercio. In molti casi si crea un palleggio tra banche e amministrazioni comunali, titolari – a diverso titolo – di crediti nei confronti di imprenditori, in quanto nessuna delle due istituzioni vorrebbe rendersi responsabile del fallimento di imprese che hanno contato molto in passato ma che oggi sono diventate “ marginali” e decotte.

Insomma banche e Comuni (questi ultimi in particolare per la tassa sui rifiuti) non vogliono rimanere col cerino acceso in mano. A meno che, nei provvedimenti governativi non passi la cancellazione di ogni debito per tasse locali non pagate negli anni. Sindaci isolani non nascondono di “rallentare” volontariamente il recupero crediti, per evitare una serie di pericolosi “crack aziendali”. Ma, come dicevamo all’inizio, esiste per le banche anche una responsabilità sociale, rivolta alla collettività in cui operano e non è un comportamento responsabile quello di “congelare” i debiti in attesa di un improbabile miracolo di riassestamento aziendale. In tal modo, per aiutare un’azienda decotta, si finisce col negare a nuove aziende, con molte idee e magari poche garanzie reali, il credito necessario. Così come i Comuni e gli altri eventuali Enti pubblici creditori devono rispettare un’etica pubblica, secondo la quale non si possono danneggiare i tanti cittadini in regola, magari aumentando le tariffe, pur di allungare la vita ad aziende fortemente indebitate e al corto di ossigeno. E se vogliamo dirla tutta, non hanno niente di etica pubblica i recenti provvedimenti governativi sul rimborso ai cosiddetti truffati dalle banche. Nel merito non ho parole migliori di, quelle scritte sull’ultimo numero di Affari e Finanza da Sergio Rizzo: “Insensata. Come altro si può definire la decisione di far pagare a tutti i contribuenti gli investimenti sbagliati, se non temerari, di alcuni? E non in società pubbliche, ma private? Rimborsare tutti vuol dire dare soldi pure a chi aveva comprato le azioni della banca per agevolare la concessione di un fido oppure i semplici speculatori, chi aveva coscientemente acquistato obbligazioni subordinate allettato dall’interesse astronomico ( incassato magari per anni). E poi gli è andata male”.

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Non so se anche ad Ischia, di recente, qualcuno sia cascato nella trappola dei “diamanti”, che purtroppo ha coinvolto (conseguendone una multa salata e il sequestro dei relativi fondi) importanti banche presenti anche ad Ischia, come Intesa, Unicredit e MPS. In altre parole queste banche hanno allocato diamanti ad un valore presunto e taroccato più del doppio del valore reale. Con queste premesse non proprio edificanti, può Ischia sperare ancora in un ruolo trainante delle banche? Non può essere diversamente. Gli imprenditori isolani, anche quelli più consolidati, hanno risorse non sufficienti a dare una svolta all’economia isolana. Servono capitali ingenti per nuovi investimenti, non più rivolti all’espansione edilizia delle strutture ricettive, ma di infrastrutture e interventi utili a trasformare il nostro sviluppo in direzione della sostenibilità. Affinché si verifichi questa svolta, nel sistema bancario isolano, devono concorrere tre condizioni: la prima dal lato delle banche, la seconda dal lato degli utenti bancari, la terza riguarda il rapporto tra filiali isolane delle banche e le Amministrazioni comunali. Le banche devono offrire un’assistenza di qualità, devono non solo essere più consapevoli dei prodotti finanziari che allocano, ma devono addentrarsi nei gangli vitali dell’economia isolana, Devono capire prima degli operatori economici, quale può e deve essere il futuro economico dell’isola, sapere quali margini restano al commercio e sotto quali nuove forme organizzative far fronte all’avanzare delle vendite online. Gli utenti delle banche devono imparare che non esistono rendimenti alti in assenza di rischio, che non si va in banca a chiedere aiuto quando è troppo tardi, che bisogna andare per tempo con tanto di business plan in mano. E’ infine essenziale che si instauri un fecondo e continuo rapporto tra banche e amministrazioni pubbliche locali. La consultazione è necessaria in quanto entrambe interessate allo sviluppo del territorio. Solo dopo che si sarà instaurato questo “tavolo di consultazione” gli enti locali potranno – a giusta ragione – rivendicare un ruolo attivo e di finanziamento delle Fondazioni bancarie, per le migliori iniziative culturali, artistiche e sociali dell’isola. In altre parti d’Italia le Fondazioni bancarie investono ingenti fondi. Può accadere anche per Ischia:

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