LE OPINIONI

IL COMMENTO L’isolitudine in letteratura e in pandemia

Sappiamo, ormai, che dovremo stare in casa almeno fino al 14 aprile. Armiamoci dunque di pazienza, in quanto verrà duramente messa alla prova la tenuta dei nostri nervi. In questa straordinaria condizione, fisica e psicologica, di isolamento in cui ci troviamo, si è fatto un po’ a gara a chi pescasse i paralleli e i presagi letterari più calzanti. A partire dai citatissimi libri di Gabriel Garcia Marquez “Cent’anni di solitudine e “L’amore al tempo del colera”. E non poteva essere diversamente, visto che – tra l’altro – il colombiano Marquez, detto Gabo, uno di 16 fratelli, era figlio della chiaroveggente Luisa Santiago Marquez. Chiaroveggente anche lui? O solo un grande scrittore visionario? ( Per inciso, abbiamo appreso che le veggenti della Madonna di Zaro, impossibilitate all’incontro mensile del 26 in loco, faranno conoscere, via web e whatsapp, i messaggi mariani a loro recapitati. Ergo, il coronavirus costringe i miracoli a diventare telematici).

E poi viene citato spesso José Saramago, portoghese, per il suo libro “ Cecità”, nel quale una comunità si ammala agli occhi, con una potenza contagiosa esponenziale, per cui i singoli sono costretti ad una sorta di quarantena. Viene citato il libro “Il labirinto della solitudine” dello scrittore latino-americano Octavio Paz, che scrisse: “La solitudine è il fondo estremo della condizione umana…Tutti i nostri sforzi tendono ad annullare la solitudine”. E come non ricordare due libri del portoghese Fernando Pessoa: “Un’affollata solitudine” e “Il libro dell’inquietudine”. E ancora “La solitudine dei numeri primi” e “Nel contagio”, uscito giovedì in abbinamento col Corriere della Sera, dello scrittore Paolo Giordano. Inoltre il sublime poeta Salvatore Quasimodo: “Ognuno sta solo sul cuore della terra/ trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera”. Naturalmente “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni e la descrizione della peste nei capitoli XXXI e XXXII; “La peste Scarlatta” di Jack London e ancora il romanzo “La Peste” di Albert Camus o il racconto “La Peste a Napoli” di Gustav Herling. Ricordiamo, infine, il Decameron di Boccaccio, nel quale lo scrittore individua tre modelli comportamentali di fronte alla peste: quelli che fanno finta che non sia successo nulla, quelli che sfidano spavaldi la sorte e non prendono precauzioni e quelli che utilizzano palliativi come unguenti e spezie profumate.

A dispetto di questi tre modelli, Boccaccio sceglie la strada della campagna, dove giovanetti vanno a raccontarsi cento novelle. Infine lo scrittore americano Don DeLillo ci offre “Il rumore bianco”, libro in cui una nube tossica diffonde il contagio. Il rumore bianco altro non è che il suono silenzioso della morte. Forse presagio della teoria odierna che vuole che, nelle Regioni italiane del nord, il maggiore inquinamento atmosferico abbia complicato le cose e moltiplicato i morti. Stranamente,però, tra tutti questi richiami letterari, non viene citato un bravo scrittore, italiano di Sicilia, che col suo libro “ Diceria dell’untore” ci era andato molto vicino all’attuale situazione di isolamento da pandemia. Lo scrittore di cui stiamo parlando è Gesualdo Bufalino, che parte da un’esperienza personale del dopoguerra. Dal febbraio 1946 al febbraio 1947, Bufalino fu ricoverato nel Sanatorio La Rocca, fra Palermo e Monreale.

Ed è partendo da questa esperienza che Bufalino inventa un romanzo in cui il Sanatorio La Rocca diventa l’epicentro di degenti colpiti da malattia polmonare e il limbo di soggetti sospesi tra resistenza e resa. Ma quello che rende “Diceria dell’untore” emblematico, per i parallelismi con la situazione attuale e soprattutto con la situazione dell’isola, è l’invenzione del termine “ isolitudine” e il concetto di “isola nell’isola”. Per cui noi, abitanti di un’isola, facciamo bene ad ispirarci a Bufalino, se vogliamo capire meglio le conseguenze psicologiche ed umane dell’odierno “ distanziamento sociale”. Bene ha fatto, in un recente passato e con l’intuizione dell’artista, Salvatore Ronga a inscenare teatralmente l’isolitudine, inventata da Bufalino. E se vogliamo completare il concetto, aggiungiamo al termine “ isolitudine” un altro termine, caro a Leonardo Sciascia e cioè “sicilitudine” che – nel nostro caso – diventa “ Ischitudine”. E, per completare il quadro, dovremmo infine riflettere su un ulteriore termine: “ isolomania” ( a cui fa da contraltare l’isolofobia) parola che si fa risalire allo scrittore anglo americano Lawrence Durrell.

Ma andiamo per ordine e cerchiamo di chiarirci le idee sul significato di questi nuovi termini, affinché ci aiutino effettivamente a ritrovarci, con maggiore consapevolezza, nell’attuale difficile realtà. Isolitudine è una condizione particolare di “isola nell’isola” per cui è una parte dell’isolofobia ovvero il disagio, la difficoltà de sentirsi rinchiusi nei confini isolani e del tutto circondati dal mare. L’isolomania è, invece, la fascinazione esercitata, su molte persone, dell’abitare in isole-guscio, sentendosi più protette e lontane dai mali che affliggono le realtà urbane e continentali. L’attuale condizione di “isolamento” in casa, all’interno dell’isola, può dunque sfociare in una duplice conseguenza: o l’isolitudine nell’isolomania, con effetti benefici di riflessioni profonde, revisione degli stili di vita, riclassificazione della scala dei valori, oppure l’isolitudine nell’isolofobia, ovvero la difficoltà e l’insofferenza di essere doppiamente costretti nella duplice condizione di restrizione nei confini casalinghi e nella più generale restrizione entro i confini isolani. Insomma, se la pandemia ha creato condizioni di grave disagio e di pesante limitazione della libertà individuale, l’isolitudine scava ancora più dentro l’anima, proponendo un isolamento a catena, Per cui, quando finirà questo incubo in cui siamo finiti nella doppia veste di attori e spettatori, avremo probabilmente tutti bisogno di un supporto psicologico. Ci preoccuperemo molto di più di una ristrutturazione dell’anima. Però, quando si riapriranno le doppie frontiere (casalinghe e isolane), c’è da giurare che ritornerà prepotentemente l’isolomania tout court, l’amore incondizionato degli amanti dell’isola che, come dimostra la lusinghiera storia turistica, ci porterà migliaia di turisti e, sapremo probabilmente allacciare con loro un rapporto più vero e fecondo, non più volgarmente affaristico e utilitaristico. Sarà prevalente il valore relazionale, da nord a sud, da est a ovest; ci rispetteremo di più e scambieremo di più.

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