IL COMMENTO Lo Stato e la violenza sulle donne

DI GIORGIO DI DIO

Nel mio ultimo editoriale: “Archetipo della violenza” ho parlato della violenza in genere e, molto più diffusamente della violenza sulle donne. Non ho affrontato, per mancanza assoluta di spazio, il problema di cosa fa lo stato per arginare questo problema e per portare aiuti concrete alle donne vittime di violenza. Cominciamo a parlare di un motivo che spinge molte donne ad accettare alcune situazioni già in bilico e a non fare niente per cambiarle: la mancanza di un lavoro e di una casa. La prima domanda che si fa una donna è: “se lo lascio dove vado? E come vivo?”. Spesso c’è un silenzioso accordo sulla divisione delle competenze con scelte che sembranorispettarei rispettivi ruoli naturali. La donna si occupa della casa e dei figli, cose che sembrano esserle più congeniali. L’uomo si occupa della gestione economica. Piano piano la donna perde il controllo dei soldi, non se ne occupa e non se ne preoccupa, presa com’è da mille altri problemi. Intanto la situazione peggiora fino quando esplode la violenza. E quando la donna decide che vuole andarsene si accorge che non ha più il controllo dei soldi e che da sola non saprebbe come vivere. Potrebbe tornarsene da suoi genitori ma non sempre questo è possibile. Nell’ultima legge di bilancio lo stato ha cercato di affrontare questo problema, partendo da un dato statistico recuperato presso i centri antiviolenza. In pratica otre i 60% delle donne che arrivano in questi centri non hanno un lavoro per cui non sono in grado di lasciare il compagno e andarsene da casa. Insomma, in queste donne la mancanza di un’autonomia le costringe d’accettare situazioni da cui vorrebbero inveceallontanarsi.

Il governo allora ha stabilito un incentivo peri datori di lavoro che offrono un impiego alle donne vittime di violenza. Un passo molto importante perché offre a queste donne una via di uscita e attenua il loro timore di denunciare le violenze. L’incentivo consiste in uno sgravio totale dai contributi previdenziali (esclusi i premi Inail), fino a 8mila euro all’anno. Dura un anno dall’assunzione se il contratto è a termine, 18 mesi se il contratto è trasformato a tempo indeterminato e 24 mesi se l’assunzione è a tempo indeterminato. Altro problema è quello della casa. Se la donna abbandona la casa dove abita con il compagno dove va a vivere? E soprattutto come fa a trovare un posto dove poter stare al sicuro e dove la violenza non può più raggiungerla? Per questo motivo sono nate le case rifugio. Sono strutture che forniscono alloggi sicuri alle donne vittime di violenza e ai loro bambini. Le donne vi accedono conservando l’anonimato. Vengono loro garantiti i beni primari per la vita quotidiana oltre ai servizi educativi e la scuola ai minori. Ma non solo questo Le donne che conquistano il diritto alla casa rifugio entrano in un percorso in cui sono in gioco i servizi sociosanitari e di assistenza . A queste donne viene offerto accoglienza, servizi psicologici, assistenza legale e un percorso di orientamento al lavoro per cercare di renderle autonome. Le case rifugio non sono semplicemente case ma fanno parte di un percorso gestito dalla rete dei servizi sociosanitari e assistenziali territoriali che offrono Ascolto e Accoglienza, Assistenza psicologica e legale, orientamento al lavoro e all’autonomia abitativa.

La finanziaria ha stanziato 75 milioni per le case rifugio e per il rafforzamento dei centri antiviolenza. Altra parte del finanziamento andrà al rifinanziamento del “reddito di libertà”. Il reddito di libertà è stato istituito col decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 dicembre 2020 (in piena pandemia covid) ed è destinato alle donne vittime di violenza, senza figli o con figli minori. Consiste in un contributo economico, di 400 euro mensili , concesso in un’unica soluzione per massimo 12 mesi. Lo scopo del contributo è quello di contribuire alle spese per assicurare l’autonomia personale alle donne vittime di violenza, ma anche di permettere ai figli minori di seguire un percorso scolastico e formativo. Le donne per poter acceder al contributo devono essere già seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali. Un ulteriore finanziamento è destinato alla formazione degli operatori che entrano in contatto con le donne vittime di maltrattamenti. E non solo. C‘è anche un fondo per i centri di recupero per gli uomini autori di violenze. Non ci credete? Invece è proprio così. Anche quelli che le violenze le commettono hanno diritto ad esser assistiti. Ci sono numerosi centri che accolgono quegli uomini che vogliono intraprendere un percorso di cambiamenti e si assumono tutte le responsabilità del loro comportamento. Questi centri, oltre ad avere un servizio di ascolto telefonico gestiscono colloqui con psicologi, psicoterapeuti, psichiatri ed educatori e la possibilità di partecipare a gruppi per uomini autori fi violenze che si vogliono redimere.

Certo qualcuno storcerà il naso. Ma come , invece di punirli per la loro violenza li aiutiamo pure? Sappiamo che nel diritto italiano a certi comportamenti deve corrispondere una pena. Chi fa del male deve pagare e quindi a un atto diviolenza deve seguire una punizione che quasisempre è il carcere Ma la cultura giuridica del nostropaeseintreccia la funzione punitiva con quella rieducativa. Chifa del male deve sere sì, punito ma anche rieducato affinché quel male non lo commetta più, E, quindi, per esser rieducato deve essere aiutato.

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