IL COMMENTO L’orso e la montagna
Quelli che scrivono, che raccontano storie, che consegnano a giornali e riviste articoli ed editoriali, proprio come sta facendo chi scrive in questo momento, sono soliti decidere il titolo del pezzo soltanto dopo averlo completato. È una pratica corrente e anche corretta. Si esprime il parere su un argomento o un fatto e poi si sceglie un titolo più o meno accattivante, che possa riassumere il concetto espresso in poche parole, che sia in grado di attirare l’attenzione dei lettori. Ebbene, questa volta, chi vi scrive è andato controcorrente, in barba anche ai principi del giornalismo più elementare. Il titolo, questa volta, è nato prima dell’articolo e in base a quello è venuto del tutto naturale scrivere le righe che state leggendo. È venuto in mente nel momento esatto in cui, sulle pagine di Facebook, è stata comunicata la triste notizia della morte di Juan Carrito, l’orso abruzzese diventato una sorta di simbolo per gli abitanti dei comuni dell’alto Sangro. Un bestione grosso e peloso, quasi adottato da chi si divertiva a filmarlo, anche mentre combinava disastri inenarrabili, nel pieno centro di Roccaraso. Quell’orso, che amava i dolci, tanto da fare irruzione in una nota pasticceria del centro e fare man bassa di pasticcini e biscotti e che andava ad abbeverarsi alla fontanella a due passi dal cinema Roma, spaventava solo chi della natura non ha il rispetto che la natura merita. Era inoffensivo, non avrebbe fatto del male a nessuno ed era del tutto evidente che sarebbe stato lui, prima o poi, a pagare la presunta civiltà dell’uomo e non il contrario. Così è stato, purtroppo. Carrito è stato travolto da un’automobile, mentre si trovava su una strada che nel suo mondo non avrebbe dovuto esserci. Tra le sue montagne, i suoi prati, sotto la sua neve. C’erano le protezioni e le barriere ma non sono bastate. L’invasione dell’uomo, che costruisce e distrugge, ha ucciso la voglia di vivere e la gioiosità dell’orso bruno marsicano, una specie sull’orlo dell’estinzione, ucciso dall’indifferenza di tutti, istituzioni comprese.
È accaduta la stessa cosa a Casamicciola il 26 novembre scorso. Il gigante di terra è franato perché l’uomo non ha saputo adattarsi alla sua presenza, non ha saputo rispettare il suo essere montagna, non l’ha difesa dai rischi che incombevano. Non è la solita questione legata all’abusivismo. Abbiamo più volte ribadito, anche dalle pagine di questo giornale, che le case abusive sono state vittima e non causa del disastro. È la cultura dell’ambiente che è venuta meno, in questi decenni ad Ischia, che ha portato al disastro. Il mancato rispetto delle regole, l’assenza di prevenzione, la difficile e inadeguata convivenza con quella montagna così fragile e particolare. Le case lesionate, le strade infangate, le pietre e le voragini sono come il corpo di Jan Carrito riverso sulla strada. Sono gli occhi languidi dell’orso che stanno per chiudersi. La sconfitta dell’uomo nei confronti della natura. Sono un monito per i nostri figli, forse inutile, perché i nostri figli faranno esattamente quello che abbiamo fatto noi e quello che hanno fatto i nostri padri. Uccideranno gli orsi e le montagne, nell’indifferenza ma anche con la consapevolezza che, in questo modo, uccideranno, piano piano, anche se stessi.
* DIRETTORE “SCRIVONAPOLI”