LE OPINIONI

IL COMMENTO L’uomo e la gente

“L’uomo e la gente” è il titolo di un saggio (1949) di José Ortega Y Gasset, il più brillante intellettuale spagnolo della prima metà del Novecento. Vorrei servirmene per tentare di fare un ragionamento sul rapporto che oggi c’è tra individuo e società, con riguardo ad una realtà particolare come l’isola d’Ischia. Ma, prima delle esemplificazioni di carattere locale, è necessario porre delle premesse di ordine culturale, sociologico e psicologico a carattere generale. Partiamo proprio dal già citato Ortega Y Gasset e dal saggio “L’uomo e la gente”. In esso l’intellettuale spagnolo descrive molto bene l’importanza che hanno, per la società, gli “usi sociali” ovvero un complesso di norme di riferimento che il corpo sociale crea per agire in maniera coerentemente etica. La sociologia, pertanto, è la scienza che studia i “sistemi di uso” ovvero tradizioni culturali a cui la società si ispira e conforma. Poi, sempre Ortega Y Gasset, in un altro libro “Intorno a Galileo” esprime il seguente concetto: “La storia non si occupa soltanto della vita individuale… Ogni singola vita è immersa in una determinata circostanza di vita collettiva. Questa vita collettiva, anonima, in cui ciascuno di noi si imbatte, ha pure il suo mondo, il suo repertorio di convinzioni con cui l’individuo deve fare i conti”. In altre parole, ognuno di noi si forma un proprio bagaglio di convincimenti, di “credenze”, al di là delle quali ci sono però “credenze collettive” che trascendono quelle individuali e che costituiscono le “idee dell’epoca”, lo spirito del tempo.

Josè Ortega Y gasset

Perché sono importanti queste considerazioni e perché sono estremamente attuali? Lo sono perché, mai come oggi, c’è un conflitto di idee tra diritti di libertà individuali e dispositivi normativi che cercano di privilegiare gli aspetti sociali e collettivi, sacrificando in parte le libertà individuali. Da parte dei liberali individualisti si sostiene che l’unico motore che fa muovere storia, economia, innovazioni tecnologiche, è la libertà di azione dell’individuo. Ortega Y Gasset sostiene invece che l’uomo si illude quando annette esclusivamente alla sua volontà e creatività il proprio operato. In realtà, le scelte dell’uomo sono il prodotto delle sue convinzioni, contemperate con l’influenza degli usi sociali. Gli usi sociali preesistono alle scelte individuali e queste ultime non si piegano al sociale ma si contemperano con esso. Questo non vuole dire affatto che l’individuo non sia libero. Vuol dire piuttosto che l’uomo è libero di pensare e agire come meglio crede ma compatibilmente con la libertà e le scelte degli altri uomini. L’uomo è un “animale sociale” e non un solipsista, l’individuo, sganciato dall’empatia con gli altri, perde ogni “orizzonte di senso”, vaga da “solo” ai margini dell’universo. Mi rendo conto che ci siamo spinti molto oltre quelli che sono i normali binari di un piccolo giornale locale, ma – come ho detto in premessa – per capire il vivere quotidiano di un piccolo paese, è necessario inquadrare i fatti in un contesto culturale più ampio. Adesso, però, passo a un esempio concreto, vicino a noi e alla portata di tutti: su questo giornale, in particolare i fratelli Lubrano, ci propongono continuamente tradizioni, usi, costumi degli isolani. A volte si può avere la sensazione che tali “ricordanze” abbiano il sapore del “rimpianto”, della “nostalgia” di valori antichi ritenuti demodé. Ciò dipende dal dinamismo e dall’evoluzione di usi e costumi che, ovviamente, non sono fissi, non sono validi per sempre. E’ dal conflitto “necessità-libertà”, è dal confronto costante individuo-società che si ha il “divenire”, anche degli usi e costumi. Quando si parla di “identità” di un luogo, è impensabile credere che sia un’identità statica nel tempo. Pur nel divenire, però, c’è un sostrato che regge l’impalcatura, un “quid”, uno zoccolo duro che fa da asse centrale intorno al quale avvengono gli aggiornamenti e i mutamenti dell’identità, del genius loci, degli usi e costumi di un corpo sociale. Un altro esempio concreto: assistiamo ogni giorno al dualismo, in tema di pandemia e relativi provvedimenti di contenimento, tra ansia di libertà e necessità di attenuare il rischio epidemico. Poi scopri, da sondaggi statistici e dal Rapporto Censis 2020, che il 57,8% degli italiani privilegia la salute rispetto alla libertà e, soprattutto (dato sorprendente) che nella fascia d’età tra i 18 e i 34 anni, il rapporto è del 64,7% a favore della salute.

Si inganna, dunque, chi ritiene che i giovani siano più sensibili alla libertà individuale rispetto agli anziani. E’ vero il contrario, l’indice più basso raggiunto dalla componente “salute” è proprio nella fascia di età oltre i 65 anni. Ma non è affatto un paradosso, la spiegazione è semplice: i giovani avendo – ovviamente – un’aspettativa di vita di gran lunga superiore, sono più attenti a preservare la salute, cosa che preoccupa meno chi ha un’aspettativa di vita breve e che, pertanto, desidera vivere, ciò che gli rimane da vivere, quanto più libero è possibile. Ma l’anziano ha dei figli e, probabilmente, dei nipoti e sa che per loro il discorso è diverso e di loro si preoccupa, per cui – alla fine – anche se per interesse e convinzione personale sarebbe portato a privilegiare la libertà, si conforma alla necessità della salute dei propri discendenti. Quindi, come si vede, è un “pensiero collettivo” diverso da quello individuale, che indirizza il corpo sociale. C’è infine, un altro aspetto importante che riguarda il rapporto tra individuo e società, tra l’uomo (singolo) e la gente: la questione della “vergogna”. Che cos’è la vergogna? Il termine viene dal latino “vereor” che significa “rispetto” e il rispetto è quello che si ambisce avere dalla collettività in cui si opera ed agisce. Secondo Helen B. Lewis, psicanalista e psichiatra di fama internazionale, la vergogna è “uno stato di autocoscienza in cui il sé è diviso, immaginando il sé negli occhi dell’altro, nella colpa invece il sé è unificato” Dunque, la vergogna differisce dalla “colpa” e dall’imbarazzo. E’ uno stato di “emozione sociale o interpersonale”. Gabriella Turnaturi, sociologa e docente presso l’Università di Bologna, e la dottoressa Anna Maria Pandolfi, psicoterapeuta di Milano, entrambe autrici di libri sulla vergogna, ritengono che oggi siamo di fronte ad una perdita o una mutazione del senso della vergogna. Dice la Turnaturi: “La metamorfosi della vergogna, il suo essere celata, corrisponde alla perdita di consapevolezza dell’interdipendenza, dell’intersoggettività, corrisponde all’affermazione patetica e illusoria di un Io solo, autonomo e senza limiti”. E la Pandolfi si chiede: “La vergogna è un effetto psichico che sta scomparendo?” Non scompare, ma si trasforma: oggi ci si vergogna se il proprio corpo non corrisponde ai canoni estetici della modernità o ci si vergogna se i risultati che si raggiungono nella carriera del proprio lavoro non raggiungono le vette agognate dalla società dell’arrivismo, ma non ci si vergogna più di compiere atti contro gli interessi collettivi, come possono essere: corruzione, evasione fiscale, frode, adulterazione di sostanze, distruzione di beni pubblici, a fini speculativi.

E’ questo il motivo che sta sfaldando la società italiana. E’ questo il motivo per cui Ischia regredisce socialmente, umanamente e perde – via via – ogni traccia di coesione tra le persone. E quanto più reclamiamo la supremazia dell’individualità, dimenticandoci dei legami con gli altri, tanto più scivoliamo verso un solipsismo che non porta da nessuna parte. Non guardiamo più negli occhi degli altri l’approvazione sociale ai nostri comportamenti, ma, come Narciso, ci specchiamo nell’acqua per autocompiacerci e poi ci caschiamo dentro. Conclusione: fintantoché l’uomo non recupera il rapporto con la gente, rischiamo di fare la fine di Narciso. Per quanto riguarda la nostra isola, ho ricevuto, in questi giorni, un messaggio poetico di una persona amica, che conserva una sensibilità che Ischia va smarrendo. Questa persona ha composto dei versi, senza particolari pretese liriche, perché sentiva di dover rivolgere un pensiero, nell’approssimarsi del Natale, alla progressiva estinzione, nel quartiere via Roma- piazza Croce, dei personaggi che hanno caratterizzato un’epoca e uno stile di vita. Ricorderete, a proposito, il bel libro di Nunzio Albanelli “Piazza Croce”. Ecco, in quel piccolo tratto di isola, si condensava un’umanità che dovremmo ritrovare, certo in forme nuove e a prescindere dai negozi di vicinato o dalla bottega del barbiere, ma con quella stessa intensità d’anima. Non c’è un futuro dell’Io senza la gente. Né in Italia, né tantomeno nell’isola d’Ischia. Non possiamo essere “isole” nell’isola.

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