IL COMMENTO Mitigazione e Gestione dei Rischi Naturali

DI GIUSEPPE LUONGO
Quando si affronta l’analisi del rischio di un territorio, noto per la sua natura e per le vicende relative allo sviluppo dell’insediamento abitativo, è prassi verificare quale sia la percezione del rischio di una moltitudine di persone, basata sull’esperienza sensibile, che un evento, nel quale si teme di essere coinvolti, possa produrre un danno ai beni e alle persone. L’esperienza collettiva può essere ispirata ad ottimismo o a pessimismo rispetto alle condizioni reali e, di conseguenza, il comportamento di ciascuno in caso di pericolo imminente o nella fase del suo sviluppo. Il sistema secondo il quale l’uomo acquista padronanza del suo ambiente si definisce scienza, così si può affermare che la società umana avrebbe avuto sempre dimestichezza con le nozioni scientifiche elementari. I progressi delle tecnologie alcuni millenni prima di Cristo che caratterizzano le civiltà della Mesopotamia, confermerebbero ciò.In buona sostanza lo sviluppo delle comunità è avvenuto in equilibrio con le caratteristiche ambientali dei siti occupati dagli insediamenti fino alla rivoluzione industriale, quando l’uomo ha utilizzato macchine per la trasformazione dell’ambiente e cambiato la percezione del tempo riducendo quello della percorrenza delle distanze. Con le macchine l’uomo ha,altresì, ritenuto di essere capace di controllare il territorio e difendersi dalle sue manifestazioni estreme. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale la comunità internazionale scopre la complessità della gestione dell’ambiente, un’attenzione prodotta prima dal fallout radioattivo degli esperimenti delle bombe atomiche delle due superpotenze USA e URSS e poi dall’inquinamento dell’atmosfera, del suolo e delle acque. Nasce il nuovo paradigma ecologico.
Dal dibattito che scaturì dopola “Settimana della Terra”, promossa nel 1970 negli Stati Uniti, emersero numerose tesi sulle cause del disastro ambientale, spesso in contrasto tra loro. Questo clima si diffuse anche nell’area Vesuviana, dove nacque un Comitato ecologico, che avvertiva la necessità di porre un argine al degrado ambientale in un territorio saccheggiato dalla speculazione edilizia. Il Comitato riuscì ad aprire una breccia nell’amministrazione provinciale sulla necessità di interventi finalizzati alla mitigazione dei rischi ambientali, associati sia all’inquinamento che all’attività eruttiva, sulla base dell’esperienza della crisi dei Campi Flegrei nel 1970-72. Tra le più significative iniziative attivate in questo clima culturale si ricorda il Convegno internazionale su “I Vulcani Attivi dell’area Napoletana” che si svolse a Napoli nel 1977, con la partecipazione di istituzioni scientifiche e degli Enti locali. In quegli anni e negli anni ’80 l’attenzione ai rischi naturali nella nostra regione crebbe,in seguito alsisma del 1980 e per la nuova crisi bradisismica deli anni 1982-84. Si prepararono mappe di pericolosità vulcanica dei vulcani napoletani e per il Vesuvio e i Campi Flegrei anche gli scenari per l’evacuazione della popolazione in caso di eruzione. Ai Campi Flegrei nel 1983 si era evacuata la parte bassa della città di Pozzuoli per il rischio sismico. Al Vesuvio fu predisposto nel 1995 un dettagliato Piano di Emergenza con la preventiva delocalizzazione della popolazione nelle diverse regioni della Penisola.
È necessario precisare che i piani di protezione civile per le due aree si riferivano al rischio vulcanico.Al Vesuvio mancavano segnali di una possibile ripresa eruttiva, ma la possibilità di una ripresa non poteva essere portata ad un tempo profondo in quanto non sarebbe stato sostenuto dalle analisi di probabilità costruite sulla storia recente del vulcano. Ai Campi Flegrei la successione delle crisi bradisismiche mostrava una ripresa della dinamica endogena che poteva svilupparsi in un evento eruttivo; tutto ciò ha suggerito di prepararsi per mitigarne gli effetti, anche se il suo accadimento era considerato improbabile, come mostrava l’analisi dei dati acquisiti sia nei tempi lunghi che in quelli delle crisi recenti. Ischia resterà fuori da questi obiettivi della mitigazione del rischio vulcanico, perché dal monitoraggio dell’Isola non emergono segnali di attività endogena significativi, a parte la liberazione di energia termica e di gas nei campi fumarolici e nelle acque termali. È bene ricordare che nelle aree citate, al rischio vulcanico, che prevale per la sua capacità di produrre gravi distruzioni, si accompagnano i rischi sismico e idrogeologico, con diversi livelli di intensità.Su questa tematica è necessaria una riflessione sul comportamento delle comunità esposte ai rischi e dei responsabili del governo del territorio, sia delle istituzioni centrali che degli Enti locali. Tutti sono pronti ad accettare e sostenere piani di difesa del territorio quando l’accadimento di un evento disastroso è un’ipotesi lontana nel tempo, ma quando si è coinvolti nelle scelte di mitigazione del rischio necessarie e si deve fornire il proprio contributo e la propria partecipazione, rispettando le regole necessarie per la sicurezza propria e delle generazioni future, allora si cancellano i buoni propositi collettivi e prevalgono gli interessi dei singoli cittadini e dei gruppi di potere.
Dopo un disastro,nelle aree coinvolte, sono trasferiti finanziamenti per il duplice obiettivo del soccorso e della ricostruzione con la finalità della mitigazione del rischio, la crescita della resilienza e lo sviluppo sostenibile. Gli esempi che sono disponibili sulle scelte attivate o che si intendono attivare nelle due aree attualmente in crisi, Campi Flegrei e Ischia, mostrano la loro distanza dagli obiettivi previsti dai finanziamenti. Ai Campi Flegrei nell’area di Bagnoli-Coroglio (ex Italsider) è previsto un piano di ricostruzione che innalzerà in modo significativo il rischio vulcanico, dimenticando che lo scenario eruttivo, preparato dal Dipartimento della Protezione Civile, prevede l’allontanamento preventivo degli abitanti della conca flegrea, della parte collinare della città di Napoli e della fascia costiera fino al centro storico, in quanto il territorio è esposto all’azione di flussi piroclastici ad alta capacità distruttiva. I dati scientifici sviluppati in 50 anni di studi e monitoraggio non bastano a rendere evidente la necessità di rendere la città di Napoli, posta tra e su due vulcani, meno vulnerabile, evitando nuove costruzioni e scegliendo una politica “green” per il territorio, con la realizzazione di un parco verde nell’area Bagnoli-Coroglio.
Per Ischia quanto è accaduto in questi anni, dall’alluvione di Monte Vezzi ad oggi, mostra come l’Isola perda un’occasione straordinaria per la mitigazione dei rischi idrogeologico e sismico, con il venir meno della costruzione di un percorso di sviluppo sostenibile, con la valorizzazione delle risorse naturali e la realizzazione di un Parco naturalistico, scientifico e delle acque nell’area terremotata di Casamicciola, come ho più volte proposto, all’indomani del terremoto del 21 agosto 2017.