IL COMMENTO Napoli, un rinascimento tra dolore e gioia di vivere

Milioni di turisti che scelgono Napoli per le proprie vacanze, la città che al netto delle solite emergenze e dei problemi comuni a tutte le grandi metropoli del mondo, è capace di esercitare un fascino inimmaginabile fino a qualche decennio fa. Un territorio che diventa punto di riferimento per la cultura, gli eventi musicali e in questi mesi soprattutto per lo sport. È difficile dare una spiegazione a tutto questo. Il rinascimento napoletano, che vide i suoi albori durante l’epoca Bassoliniana, quando uno dei luoghi iconici della città, piazza del Plebiscito, diventò grazie alla sua trasformazione, uno dei simboli di quella rinascita, è diventata in questi anni quasi una materia di studio. Perché la bellezza dei luoghi non è mai stata in discussione, così come l’accoglienza di un popolo capace di far sentire a casa propria anche il più spocchioso e scostante degli stranieri. Qualcos’altro, quindi, deve necessariamente essere accaduto in questi anni.
Forse una politica più attenta alle esigenze dei visitatori o forse la capacità di chi vive lontano da Napoli, di saper superare l’ostacolo rappresentato dallo stereotipo, che descrive Napoli come un crocevia di violenza, illegalità, sopraffazione e truffa. E invece Napoli è diventata la capitale del turismo internazionale, anche grazie all’impegno di chi ha saputo trasformare in potenzialità e fonte di ricchezza, situazioni e circostanze che fino a qualche anno fa finivano mortificate in una triste e solitaria indifferenza. Pensiamo soltanto alla rivalutazione dei Quartieri Spagnoli, che da luogo oscuro di paura, minacce e insicurezza, sono diventati una straordinaria passerella di turismo, colore, tradizione, folklore e sviluppo economico. La piazzetta dedicata a Diego Maradona, dove un antico murale da da chioccia a decine di piccole attività economiche, rappresenta in maniera eclatante l’animo imprenditoriale dei napoletani. L’arte di arrangiarsi che diventa industria. La zona è stata trasformata, nell’anno del terzo scudetto, in una sorta di San Gregorio Armeno della passione per gli azzurri, dove al posto di pastori e presepi ci sono bandiere, magliette, sciarpe e gadget di ogni tipo. Napoli è l’unica città al mondo, (forse soltanto in Argentina capita qualcosa di analogo), dove la vittoria dello scudetto si trasforma in un fenomeno di partecipazione popolare capace di coinvolgere napoletani, italiani e stranieri con lo stesso entusiasmo. La sera dell’ultima partita di campionato, contro il Cagliari, l’attesa per la vittoria è stata vissuta con lo stesso pathos anche da chi non era tifoso del Napoli ma si trovava in città con l’unico obiettivo di poter vivere un evento unico e straordinario. Così come unico è stato quanto accaduto qualche giorno dopo, con la sfilata del pullman scoperto sul lungomare. Oltre duecentomila persone in strada, che si sono strette alla propria squadra, con amore, rispetto delle regole e civiltà. E non traggano in inganno i dati sui furti delle auto avvenuti nelle ore concitate della festa post-scudetto, che qualche esponente della Lega ha inteso strumentalizzare in maniera indegna e razzista. È la Napoli che ci piace questa, lontana mille chilometri da quella che finisce sui giornali a causa degli episodi di criminalità di cui, purtroppo, siamo costretti a parlare quasi tutti i giorni. Ragazzi che si accoltellano e si uccidono in spiaggia, una bambina di 14 anni vittima di una inaccettabile e cieca violenza. Il silenzio cupo e complice di una società che non sa difendere i propri ragazzi e incapace di reagire ad una malinconica deriva. Ecco perché Napoli muore e rinasce ogni giorno, in questo eterno alternarsi tra voglia di vivere e cupo dolore.