LE OPINIONI

IL COMMENTO Non c’è Ischia, se non ci sono gli “Ischitani”

DI RAFFAELE MIRELLI

È ciò su cui rifletto sovente. Se non ci sono gli ischitani, Ischia resterà solo un’isola.

L’isola balneare, della bellezza, del turismo, delle difficoltà. Della cattiva politica, di un popolo che non vuole crescere e fa i capricci. L’isola dell’individualismo estremo, della corsa ai ripari, dei favori, sottoposta alle volontà di persone e mai di una comunità. Si parla di numeri, poi c’è chi parla di qualità, anche solo per dire una cosa diversa, fuori dal coro. Ma continuiamo: incidenti stradali, precariato, assistenza sanitaria limitata. Poi c’è l’isola degli eventi, dei giornali nazionali che la osannano, dell’immagine e solo di quella, di un’isola che non esiste. Non esiste perché non ci sono abitanti che si stimano reciprocamente, mettendo da parte il proprio ego per dialogare e costruirsi sul confronto. Per questo affermo che l’isola è deserta. Soffre della smania di emergere di 65.000 e più individui, i quali faticano a mettere insieme una visione condivisa, discutendo delle fragilità di un “ecosistema umano” troppo sgretolato, comunale. Non si fa che parlare di numeri in calo, di cambiamento, di stranieri. Si parla di sintomi e non si analizzano le cause.

C’è chi dice: “Quest’anno noi abbiamo lavorato bene!”; chi invece: “Quest’anno è stato tragico”; c’è chi dice: “È colpa dell’alluvione!”; c’è chi dice: “È colpa delle amministrazioni, del governo”. Intanto nessuno si muove nella direzione auspicata. 

E poi si discute ancora degli stranieri, che quest’anno sono tanti, ma non spendono. E allora si nominano l’Albania, la Croazia. Sì, perché lì si sta bene e si paga poco. E ancora, nominiamo la Puglia, che sta facendo bene. Nessuno riflette sul proprio operato. Insomma, le teorie ci sono e sono tante, ma restano solo dei luoghi comuni se non affrontate in modo sinergico. Il titolo della mia riflessione è molto semplice e provocatorio, non servono intellettuali per tradurlo o pagine di letteratura per contestualizzarlo: Ischia è un’isola deserta, arida e spesso senza anima. Non riusciamo ad accettare e a plasmare il presente, non “vogliamo” uscire dalle difficoltà. Aspettiamo da sempre l’arrivo di un turista, di un politico, di un “salvatore” che ci metta al riparo. Non siamo un popolo, siamo invece un “pop-olo” che segue il vento, la bandiera e il vano successo. Non accettiamo la realtà e continuiamo a perseguire un modello di mercato obsoleto e superato da decenni. Parliamo dei turisti, una merce che – come dicono i tassisti a Ischia – deve essere “caricata” (che non si offendano, sappiamo che esistono persone competenti e serie tra loro e il mio appello va proprio a queste: cambiate il modo di fare dei vostri colleghi poco accorti, cambiate il sistema di lavoro, così non funzionerà a lungo e se non sarete voi stessi a cambiarlo, a proporre una nuova gestione dei servizi, si presenterà chi lo farà per voi e senza darvi modo di contrattare). Trattiamo le persone come oggetti da spostare e da cui attingere soldi, sussistenza per un ennesimo periodo di lamentele, per un ennesimo autunno e inverno lunghissimi. Ci lamentiamo, tanto e non amiamo le critiche, le visioni interne. Ci ripetiamo costantemente, perché sottoposti a un modello di comunità tipico del sud Italia e siamo noi a volerlo, non altri. Per questo è meglio che i giovani – altra rara merce di cui spesso ci facciamo portavoce – vadano all’estero. Quante volte mi sento dire: “Ma che sei tornato a fare?”. Certo – mi ripeto – capisco che quando la si pensa differentemente, si diventa solo un fastidio e non una risorsa. Quelli che poi restano all’estero – si sa – sono “eccellenze”. Sì, le eccellenze che spesso lavorano per grandi compagnie, che schiavizzano le loro vivide intelligenze. Ma meglio così! A noi le intelligenze non servono, sono fuorvianti, fastidiose.

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È semplice svegliarsi e fare sempre la stessa cosa. Attendersi sempre la stessa realtà di scambio, di favori, di consensi. Sì, il consenso è una piaga, non solo isolana.

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Non ci alziamo dalla sedia, non ci sporchiamo le mani e, anche se il cambiamento ci investe come sta accadendo, non siamo in grado di coglierlo come risorsa.

Si parla sempre e solo di turismo, non si parla mai di noi, non si parla mai del nostro agire in comune. Anche perché non lo facciamo! Forse è per questo che non si può parlare di un popolo ischitano. E invece dobbiamo imparare a parlare di noi, degli ischitani e dobbiamo soprattutto migliorare le condizioni dell’isola “per noi”, non per i turisti, non per il lavoro. Dobbiamo pretendere i nostri diritti di “indipendenza”, ma prima dobbiamo imparare a fare comunità. Sono convinto che il nucleo del nostro cambiamento risieda nel vivere l’isola come abitanti che “sanno” stimarsi e rispettarsi. Sembra un discorso “filosofico”, poco pratico e invece non è così. Stiamo creando un sistema perverso in cui non riusciamo a trovare soluzioni e “la soluzione” è semplice: educazione e rispetto verso noi stessi. Non siamo schiavi, ma stiamo perseguendo questa strada. Dobbiamo prendere sul serio il nostro benessere. Anche il “benessere” è divenuto uno slogan di marketing, anche se sono fiducioso nell’azione di marcato messa in campo da Enzo Ferrandino, tramite la figura di Ejarque. Dobbiamo abitare l’isola con la voglia di farla risorgere, dobbiamo essere difensori del territorio, della natura e non permettere gli abusi, quelli che troppo spesso commettiamo quando gettiamo i liquami nel mare che vogliamo “vendere”; quando decidiamo di metterci alla guida per raggiungere una meta che troppo spesso non riusciamo a raggiungere, senza riguardo per la vita umana; quando ingaggiamo lotte politiche per interessi personali, riguardanti l’esclusivo benessere delle nostre famiglie. Nella famiglia nasce l’amore per il prossimo, ma anche il germoglio oscuro della malavita egoistica. Sono cose che non vorrei ripetere, ma devo.

Eppure, questo malessere – che è l’unica cosa che condividiamo – è prodotto di una nazione che non riesce nel suo intento. Potrebbe sembrare un paradosso, ma la situazione di disagio è comune a tutta la nazione: non ci rendiamo conto del caro vita, della pressione fiscale che ci attanaglia e dei continui rincari che accettiamo senza battere ciglio. Non riusciamo a vedere il nesso tra un’isola abbandonata dai propri cittadini, che la diserteranno nei prossimi mesi e una nazione che offre poco a sé stessa, ai propri cittadini che la disertano ogni giorno. Non c’è bisogno di affrontare i dati, la situazione nazionale non è delle migliori. La nostra nazione “gioca” da secoli con il proprio futuro assecondando i poteri economici, assecondando le gerarchie, nulla di nuovo. Destra, Sinistra? L’ideologia politica come laboratorio etico di condivisone non trova spazio in un mondo fatto di sola immagine e consenso. Siamo schiavi – noi italiani e non solo – di un’Europa non europea (che stimo e apprezzo come idea filosofica e politica) che si divide i fondi per affondare i deboli e noi lo siamo! Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza? Ma il nostro futuro dove si disegna? Nella quotidianità e nella estemporaneità, nell’intuito di un sud e di una nazione che si arrangia, che rimpiange la malavita politica organizzata (almeno pare che lo fossero) degli anni passati? Quando riusciremo a comprenderlo e ad agire? 

Anche in questo caso non mancheranno i commenti alla mia riflessione in cui si dirà: “Guardate i Francesi, scendono in piazza per i loro diritti! Gli spagnoli”. Non riusciremo a costruire un nuovo popolo e, se non saremo in grado di mettere in campo nuovi valori di comunità, le piazze non esisteranno più. La piazza è il luogo della condivisione, della presa di coscienza collettiva. È necessario cambiare i valori per accogliere le nuove idee e le “vere” nuove generazioni, non quelle assoggettate ai vecchi poteri. Di quelle ne abbiamo viste già troppe e anche qui non mancano.

“Il cambiamento di tutti i valori” è necessario quando vi è il chiaro declino dei sistemi economici, politici e sociali. E’ rischioso, ma va affrontato. Ischia si trova, prima dell’Italia tutta, in questa situazione. I valori di cui parlo non sono dettati da un presunto “comunismo”, che per molti rappresenta una parola volgare, anacronistica. Sono nato in un sistema che li ha superati. Come lo è dirsi di destra, dirsi liberale, aperto, conservatore. Il mondo cambia velocemente e il “secondo mondo” – quello dei social, della scienza, della tecnologia – ha abbandonato la natura. Il mondo è fluido – parafrasando il sociologo polacco – e allora? La fluidità sta nei valori, nelle persone, nelle comunità, nei singoli individui, nei sentimenti non nelle mode lessicali. E in questo grande spazio, noi, dove ci posizioniamo? Nel mezzo? Senza desideri, volontà? Ipnotizzati dagli schermi dell’assorbimento cerebrale?

Ischia non è abitata. È una breve parentesi estiva, un ricordo della nostra gioventù. La trattiamo come una gallina da “spennare”. Era meglio prima! Quando la frequentava “gente per bene”. Quando c’era Peppino di Capri, Fred Bongusto, Mina (grandi artisti che sto menzionando per un fine discorsivo ben preciso). Così dice mio padre, dicono i suoi amici: “Ischia prima era bella”. E ora? “E voi giovani siete stupidi, avete avuto troppo, tutto e subito e non capite nulla”. Intanto ho compiuto 45 anni. Ischia – nei loro racconti che amo e rispetto, sia ben chiaro – era bella perché c’era sempre qualcuno proveniente da “fuori” che la rendeva tale. E noi?  Noi non lo abbiamo mai fatto? Perché osanniamo solo chi è fuori dal territorio di competizione? Siamo troppo competitivi per fare comunità? Eppure, io sono certo che tra di noi esistono persone che desiderano un’isola diversa, educata, civile, accorta, accogliente. Un’isola che non si svenda in un’estate, calandosi le braghe al primo offerente, che non attenda il cambiamento in modo passivo e che prenda iniziativa, attraverso competenze specifiche, piani di riprogrammazione politica, civica, per migliorare. Quello che ho scritto, uno sfogo che ha preso vigore durante l’ennesima estate che ho trascorso qui, mi sta a cuore e, come a me, ad altre penne di questo giornale. Ischia ha bisogno di cittadini, di abitanti, di senso civico ed educazione. Ischia vuole i suoi abitanti, vuole gli ischitani, quelli coraggiosi, quei marinai che sanno domare la tempesta, quei contadini che la prevedono. Ha bisogno di rematori che creano solchi nel mare per difenderlo dai nuovi pirati del “turismo ossessivo”, per seminare fragilissimi germogli di civiltà.

 * FILOSOFO

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Corry54

se non ci fossero gli Ischitani, l’Isola sarebbe uno spettacolo Unico al Mondo, ma purtroppo ci sono

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