LE OPINIONI

IL COMMENTO Occorre un nuovo modello di Protezione Civile

DI GIUSEPPE LUONGO

La cronaca degli ultimi dieci anni ci parla sempre più frequentemente di disastri urbani causati da violentieventi naturali: terremoti, alluvioni, frane, siccità, uragani, eruzioni, tsunami. Gli studiosi confermano sia il loro incremento in numero e in intensità, a scala globale, richiamando alla nostra attenzione il cambiamento globale del clima, invitando i Paesi maggiormente industrializzati, come il nostro, a contenere l’inquinamento atmosferico. Nei Paesi più sviluppati il succedersi delle catastrofi ha fatto pensare che la gestione di eventi di questo tipo fossero daassegnare ad unservizio di soccorso tecnico di rapido intervento, rinunciando a prendere in considerazione la questione del rischio nella pianificazione dell’uso del territorio. Ora ci accorgiamo sempre più della grave mancanza che questo comportamento ha portato nella sicurezza delle comunità esposte ai rischi naturali.

Il piano di protezione civile comunale, strumento urbanistico finalizzato a gestire le catastrofi attese sul territorio, si è dimostrato inadatto ad anticipare il rischio ed organizzare la risposta. Spesso si tratta di un documento incompleto, che rappresenta poco le capacità e le risorse di un comune ad affrontare i rischi. Anche nei casi in cui esso è più completo, rappresenta la città a partire dallo spazio fisico, trattando la popolazione come gruppi di soggetti da spostare in altri siti in attesa del superamento della crisi, fino al risanamento edilizio. L’esperienza dimostra che questo percorso è dettato da un errore ideologico che ha ingessato il territorio costruito, bloccando per decenni il recupero del centro abitato colpito dall’evento catastrofico.

Parallelamente al rischio naturale si possono sviluppare anche le condizioni per un rischio urbano legate ad una congiuntura socioeconomica negativa. I fenomeni citati appaiono inconciliabili solo per le modalità con le quali sono affrontati. Infatti, la sicurezza del territorio può essere letta in maniera unitaria se si parte dalla definizione di disastro della World Association for Disaster Emergency Medicine, e risulta tale: “Ogni evento che ha un impatto negativo sulla salute e la sicurezza di una collettività ed è caratterizzato da tre aspetti: è un avvenimento che richiede assistenza e risorse aggiuntive per la gestione e il soccorso, provoca un ingente numero di perdite umane, e rappresenta un punto di rottura nella relazione tra le persone e il loro ambiente”. Le catastrofi sono analizzate e interpretate prevalentemente nell’ambito delle Scienze dure, come le Scienze della Terra e l’Ingegneria, ma nel secolo scorso sono diventate oggetto di studio anche delle scienze sociali. La geografia, la sociologia, la storia, l’antropologia e le scienze politiche si occupano dello studio di questi eventi e del loro rischio ponendo al centro dell’analisi l’uomo piuttosto che la fisica del processo. Questa non è abbandonata ma ad essa si integrano gli aspetti socioculturali delle catastrofi, per indagare sia sulle conseguenze degli eventi calamitosi che sulle loro cause. Il disastro è un fenomeno sociale complesso che può manifestarsi in una situazione di transizione tra un mondo che sta cambiando, ma che conserva ancora la sua condizione, in un mondo in cui non emergono gli strumenti per nascere, come afferma Gramsci (1924). Questo clima culturale durante una crisi ambientale fa emergere disuguaglianze e contraddizioni nella comunità colpita.

L’analisi propriamente politica del disastro si può far iniziare in seguito al grande terremoto di Lisbona del 1755 e, in particolare, al dibattito tra Voltaire e Rosseau. Questi è contro il pessimismo di Voltaire che sostiene l’incontrollabilità della natura e coloro che giustificano il disastro come un dettaglio negativo del migliore dei mondi possibili. Rosseau apre all’analisi delle cause delle catastrofi attraverso le condizioni naturali unitamente a quelle socioculturali.È alla società che Rosseau imputa la radice della catastrofe. Questa visione alimenta un’analisi politica del disastro che pone l’evento naturale nella storia sociale del territorio, laddove si lega la catastrofe alla crisi della comunità nella quale si attivano i mutamenti sociali. La catastrofe si presenta come una condizione di estrema crisi che produce la separazione tra abitante e luogo e un senso di impotenza di fronte alla forza devastatrice della natura. Per questi motivi i disastri che hanno colpito Casamicciola nel 2017 con il terremoto e nel 2022 con la colata di fango vanno analizzati nel contesto storico locale e interpretati dai soggetti coinvolti.

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