IL COMMENTO Perché ribellarsi è giusto
C’è uno scrittore francese, Jean Marie Gustav Le Clézio, premio Nobel 2008 per la letteratura, che considera vitale il tema della ribellione o della rivolta popolare. E’ uno scrittore che parla di libertà, di fuga, di ricerca di paradisi terrestri, della crudeltà del mondo. “Ribellarsi è giusto” è anche il titolo di un saggio, scritto nel 1975 a tre mai (in effetti è un dibattito a tre) a firma di Philippe Gavi (giornalista di Liberation), Jean Paul Sartre (filosofo, scrittore, drammaturgo) e Pierre Victor (Dirigente del movimento maoista). Mi limito a dire, di questi tre intellettuali, che descrivono il loro percorso ideologico negli anni e di come il loro pensiero in ordine a un riassetto della società, ritenuta squilibrata e ingiusta, andava modificandosi, aggiornandosi e adattandosi realisticamente agli eventi che cambiavano, di volta in volta, il corso della storia. C’è ancora un altro recente libro “Cinquecento anni di rabbia” di Francesco Filippi, che connette storicamente la rabbia popolare all’avvento di nuovi mezzi di comunicazione, a partire da Gutemberg e dalla rivoluzione della carta stampata. E poi veniamo al libro che è stato recentemente oggetto di polemica politica: “L’uomo in rivolta” di Albert Camus, che il segretario nazionale della CGIL, Maurizio Landini, ha voluto regalare alla premier Meloni in risposta all’accusa di sobillatore, per aver paventata l’ipotesi di una rivolta sociale.
Apriti cielo! La destra intellettuale, che ambisce al ribaltamento dell’egemonia culturale (stranamente adoperando gli stessi meccanismi politici invocati da Antonio Gramsci) ha gridato all’ignoranza storico letteraria e filosofica del sindacalista. Non solo la destra politica ma anche quella economica e industriale. Per esempio, il Sole 24 Ore ha scritto: “Se Albert Camus fosse ancora vivo, avrebbe sorriso oggi a vedere Maurizio Landini dare a Giorgia Meloni il suo testo, L’uomo in rivolta, Quel testo, negli anni 50, gli valse la rottura con Sartre perché non ne condivideva l’adesione alle idee sovietiche e teorizzava una sua propria condizione della rivoluzione attraverso l’arte come ricerca di equilibrio, ben diversa dall’idea della rivoluzione storica o metafisica”. Come se Landini, nel prefigurare una “rivolta sociale” per le crescenti diseguaglianze e ingiustizie sociali, stesse teorizzando i soviet dell’inizio del XX secolo. Quale arma ha il cittadino, schiacciato dall’ingiustizia sociale e dall’indigenza, se non la rivolta sociale, naturalmente pacifica e non violenta, ma nemmeno arrendevole e acquiescente; quale alternativa c’è, se non una democratica ribellione di piazza? Lo sciopero generale che altro esprime se non un atto di reazione estrema a uno stato di insopportazione? A coloro che (anche tra gli intellettuali isolani di destra) hanno ironizzato su Landini e l’uso errato di Camus, propongo di leggere l’interpretazione che di Camus dà il giovane filosofo Diego Fusaro, di cui non sono particolare ammiratore, ma certo non lo si può tacciare di ignoranza. Mi limito a dire, di questa interpretazione, che mette al centro della riflessione di Camus l’uomo come unico animale che ha la facoltà di rivoltarsi, di dire di “no”, che non accetta una situazione che non lo soddisfa. L’uomo che dice “no” ma, allo stesso tempo, dice “sì” a una condizione “altra”, nuova e diversa da quella in cui versa. E nemmeno si può dare dell’ignorante a Gustavo Zagrebelsky, che si rifiuta, in quanto uomo, di essere addomesticato dal potere. Il noto giurista, che fu membro della suprema Corte, condanna il richiamo continuo alla “governabilità” intesa come ingessatura della volontà e capacità umana di reazione e di rivolta contro uno status di ingiustizia sociale ed economica inaccettabile. Zagrebelsky dice: “ Se una società è governabile, non vuol dire che governa, ma che è prona a essere governata”. Mai, come in questo momento storico, a partire dalle piccole realtà amministrative comunali fino ai governi del mondo, si acuisce la spaccatura tra chi vuole comandare e chi deve ubbidire. E pretendere di ridicolizzare ed esorcizzare la capacità di ribellarsi è l’ultima e più grave difesa ideologica del privilegio e dell’ineguaglianza sociale nelle mani dei potenti. Contrariamente alle mie abitudini di opinionista che legge gli eventi macroscopici e di larga scala per poter comprendere, su scala ridotta e microscopica, quelle locali, in questa occasione mi sono soffermato su un dibattito dal respiro internazionale. E’ facile intuirne il motivo: la globalizzazione uniforma e appiattisce i comportamenti sociologici, per cui, parlare di ciò che avviene nel mondo, è come parlare indirettamente di ciò che avviene o avverrà a breve nell’isola, anche se l’isola, per sua stessa conformazione, registra con ritardo le onde del pensiero e comportamentali che si muovono nel mondo.
Ergo: anche in quest’isola, che sembra in eterno letargo di azione e pensiero, e per la quale oggi nessuno scommetterebbe per una ribellione verso il potere, può verificarsi quella rivolta sociale paventata da Landini. Perché possa accadere ciò, basterebbe far mente locale all’impoverimento crescente della classe media, in particolare i percettori di reddito fisso, o sulla crisi di tante imprese locali (commerciali, ricettive, artigianali, mentre godono ottima salute le aziende ristorative) e ai negozi in vendita o in fitto sempre più numerosi e inattivi. Basterebbe por mente al caro prezzi dei generi alimentari (e non solo) o alla scopertura di medici di base di qualche migliaio di assistiti (anche anziani) della sanità pubblica. E su queste situazioni c’è poco da ironizzare e da appellare “ignorante” tutti quelli che si sforzano di segnalare queste gravi carenze, che possono rappresentare potenziali inneschi di rabbia sociale.