IL COMMENTO Quando girarsi dall’altra parte non giova all’isola
DI LUIGI DELLA MONICA
Agli albori del XVI Secolo “La Compagnia di Elisabetta I” venne fondata nel solco della tradizione de La “Compagnia Britannica delle Indie Orientali” (nata Il 31 Dicembre 1600 per volere della Regina Elisabetta I d’Inghilterra) e “La Compagnia Olandese Delle Indie Orientali” (la VOCfu costituita nel 1602), per cui questi Enti Privati aventi fini di lucro distribuironoai Soci profitti enormi, garantendoil controllo delle Colonie. Tessuti, spezie, oggetti preziosi, legno, materie prime e purtroppo anche esseri umani: le Corone inglesi, portoghesi, olandesi e francesi accumularono ricchezze inimmaginabili accentrate in una ristretta oligarchia. Mi dispiace e rammarica profondamente citare questo precedente storico, che certamente è anacronistico e non si attaglia al commento sulla sentenza del supremo Consiglio di Stato sul caso consorzio “Traspemar”, ma piccole omologie vengono in mente all’opinionista di turno.
La Autorità Garante ha riconosciute fette di situazioni monopoliste nel trasporto di combustibili fossili sulle isole di Arturo e Verde, ma certamente gli extraprofitti saranno state briciole in confronto al contesto storico di 400 anni fa e, viva Dio, siamo oggi in un sistema democratico di equilibrio dei poteri dello Stato. Il filosofo Tomas Hobbes – mi scusino alcuni lettori della stampa locale che sono infastiditi dal frequente richiamo culturale filosofico degli opinionisti, segno ormai che l’imperante qualunquismo vuole espellere dall’isola l’amore per la conoscenza, perché destabilizza le certezze del consumo predatorio cui è abituata certa imprenditoria da oltre 70 anni a questa parte – proprio in quel contesto socio produttivo elaborava la teoria del “Patto Sociale”, che è il fondamento delle Costituzioni contemporanee applicate nelle democrazie occidentali: la deposizione della Forza in mano dello Stato, quale unico percettore di contributi provenienti dalle tasse,garantisce la cura, la protezione e l’amministrazione della comunità, mediante un bilanciamento poteri-doveri. Un secolo più tardi, voglio ricordare ai citati repulsori della filosofia, della storia un gruppo di “ignoranti” che si chiamavano “Rosseau, Voltaire, Franklin, sulle basi delle sperequazioni sociali ed economiche della azione invasiva che operavano da decenni organismo come quello delle “Compagnie delle Indie” teorizzavano che la cultura di massa, l’estensione della conoscenza al popolo avrebbe determinato la crescita, il progresso e l’evoluzione della umanità intera.
Si arrivò poi alle rivoluzioni americana e francese, che destabilizzarono il potere monarchico a favore delle masse.
Al tempo in cui scrivo, Ischia non fa eccezione, regna un disinteresse generalizzato ad investigare la conoscenza, quella che i filosofi chiamano epistemiologia… questa è stata surrogata dalla ricerca su google, che conferisce lauree ad onorem, per cui l’abile internauta è titolato a denigrare e delegittimare decenni di studio e di sacrificio sui libri dedicati dai giornalisti o dagli altri professionisti che osano “filosofeggiare”. Basta con i cervelloni astratti e bizzarri, una parte degli isolani ha bisogno di concretezza, per cui si ha come acquisito il bisognodi puntare sulle terme per destagionalizzare il turismo ed avere una capienza idonea a tutti gli ottimi eventi organizzati nelle Festività Natalizie dalle sei Amministrazioni comunali. Vi chiedono umilmente scusa gli opinionisti di questo giornale per la ardimentosa sintassi di carattere aulico e poco conforme alla realtà. Ma se l’atto di accusa dei followers è quello di essere poco pratici, il caso della sentenza consorzio “Tra.spe.mar.” è il sintomo del menefreghismo diffuso, dalla mancanza di riflessione e di coscienza sociale, che, eccezion fatta per la assoconsumatori di Barano d’Ischia, conferma che le popolazioni isolane sono inclini a ritenere che i problemi essenziali per la vita in mezzo al mare debbano essere risolti dalla terraferma, dai poteri centrali o regionali.
È stata nel caso di specie l’Autorità Garante, ma nessuno sull’isola, ripeto fatta eccezione per la citata associazione consumatori e l’operatore di stockaggio combustibili Ambrosino, ha pensato di associarsi a questo contenzioso non solo giudiziario, ma anche civile: la conseguenza è stata avere il costo più alto alla pompa di tutta l’Italia.
Allo stesso modo, si blatera, ed in questo mi metto io stesso fra i primi chiacchieroni, che si debba attuare il turismo fuori stagione con le terme. Ottimo. Ma nessuno dimentichi che siamo in un’economia di mercato e gli Enti Locali non possono certo esercitare la propria azione in casa delle strutture termali: bene hanno fatto ad organizzare eventi propulsori di persone, ma ora è il momento di incentivare gli attori del sistema a cambiare passo ed ideologia. Si deve abbandonare il caro e piacevole sussidio per la chiusura stagionale, si deve costruire dall’isola e per l’isola un vademecum, una ricetta risolutiva di tutti i deficit strutturali, ma nello specifico si deve putare sul mare, sull’acqua. Molti isolani, pur accusando gli opinionisti di essere soloni e sapientoni fuori proposito, vivono come se il territorio fosse solo quello dell’isola d’Ischia del tutto avulso dalla costa flegrea e napoletana, dimenticando che se si vuole puntare ad una reale differenziazione dell’incontro domanda-offerta turistica sull’isola si deve puntare alla intensità ed amenità dei collegamenti marittimi dalla terraferma. Il mare non può essere un contesto economico fuori della mentalità ischitana. Se il turista sogna le terme ischitane, le sue SPA, deve poterle raggiungere, prima ancora di goderle, con continuità e serenità in qualsiasi periodo dell’anno.
In questa ottica, i filosofi del web, esponenti della più alta scuola dei sofisti, predicatori del relativismo culturale, potranno arrovellarsi il cervello sul rimboccarsi le maniche per risolvere da soli i problemi senza pietire che le soluzioni piombino dall’alto con razzi di emergenza lanciati dalla terraferma. Quest’ultima si muove, gira i tacchi, se è Ischia a chiamarla all’ordine ed al suo dovere istituzionale; se gli isolani battono il pugno e rivendicano il proprio ruolo ed i propri bisogni. Il caso della sentenza consorzio Traspemar è l’emblema che il silenzio acritico non avrebbe portato da nessuna parte e finalmente, in nome del Popolo Italiano, ischitano, è stata emessa una sentenza risolutiva di un “trust” che era certamente un fattore delle cause di eccessiva onerosità del carburante sull’isola. Un tempo, per stanare i mafiosi o gli autori di fatti di cronaca nera i giornali titolavano “chi sa, parli”; oggi è il caso di cambiare la frase in “chi pretende e critica, abbia la compiacenza e l’umiltà di farsi avanti e di proporre soluzioni”. Non basta solo asserire che la filosofia e la riflessione intellettuale siano sterili e noiose, ma è necessario in alternativa proporre le idee necessarie a stimolare gli imprenditori del settore termale a mantenere in esercizio gli impianti 12 mesi all’anno; incentivare le società di armamento ad acquistare ulteriore naviglio che consenta tecnologicamente ai passeggeri di godere di una traversata con limitati beccheggi e rollii fino a mare forza 4.
La ricetta è, a mio sommesso avviso, quella evocata da più parti nel programma istitutivo delle ZES, e del disagio di insularità codificato al rango costituzionale, i quali dovranno prevedere cospicui sgravi fiscali agli investimenti armatoriali ed a quelli di formazione della marineria nativa residente delle isole stesse. Resto a disposizione per accogliere idee costruttive, ma respingo la dialettica che ritiene la cultura ed il pensiero astratto, come un qualcosa di nocivo: chiudo con Cartesio “cogito, ergo sum” penso, quindi esisto.
* AVVOCATO