IL COMMENTO Riflessioni su Liberazione e Primo Maggio

DI LUIGI DELLA MONICA
La morte del Santo Padre ha sottodimensionato la celebrazione dell’80^ della Liberazione dell’Italia dei nazifascisti, non altrettanto è accaduto per le briose kermesse del Primo Maggio. Le tematiche sono vive ed attuali in una congiuntura storica in cui le guerre non sembrano mai aver abbandonato le pochezze umane del Mondo e nel nostro Paese tanto bello e tanto democratico, perché plasmato in tal guisa dal sacrificio dei nostri martiri delle Resistenza, ci si arrovella l’animo se essere neocomunisti o neofascisti sia ideologicamente corretto. Faccio subito una premessa: nel nostro codice penale e nella Costituzione Repubblicana, a cui io ho aderito con il doppio giuramento da militare e da avvocato, prima di avere l’onore di scrivere su questo quotidiano, non ci sta spazio per alcuna tolleranza del fascismo! Dobbiamo festeggiare allegramente perché da 80 anni l’Italia è diventata una Nazione libera, democratica ed ha ripreso il suo ruolo di promotrice dei diritti umani, sospesi e calpestati durante il ventennio fascista. Mai più repressioni fisiche e culturali delle opinioni politiche della minoranza, persecuzioni razziali, bullismo legalizzato, machismo ed uccisioni di massa.
Durante le guerre civili perpetrate dal regime contro le minoranze linguistiche vi erano perfino degli uditori, veri e propri delatori, i quali si appostavano davanti alle case degli italiani bilingue francofoni, tirolesi o slavi, per informare l’OVRA se nei sottoscala, nelle cantine delle case si parlasse ancora in lingua straniera e conseguentemente deportarne i “rei”. Confinamenti forzati, incarcerazioni e torture dei dissidenti, fino alle percosse a morte; guerre coloniali animate dal più becero istinto predatorio fino ad approdare alla vergogna delle leggi razziali del 1938. Il Patto di Acciaio Roma-Berlino-Tokyo consegnava irreversibilmente alla Storia la ignominia della terra di Dante al “viver come bruti” più atroce a cui si sia potuto assistere negli ultimi duemila anni. La Resistenza, colorando di rosso sangue la parte rossa del nostro tricolore, ha permesso con centinaia di migliaia di caduti di cancellare, dal viso contrito di tutti gli italiani infangati dalla macchia di essersi schierati dalla parte sbagliata, il rivolo dell’acqua putrida data dalla complicità con i disumani nazisti. La Liberazione ha restituito dignità ai nostri antenati e ci ha donato il benessere di cui godiamo oggi, pur se a volte non ne apprezziamo fino in fondo il privilegio di disporne su di un piatto d’argento cesellato dai partigiani vincitori sulla barbarie nazifascista. Tuttavia, se è vero che una democrazia si basa su di un Patto Sociale, come teorizzavano i filosofi inglesi del diciassettesimo secolo, la sinallagamaticità fra i partecipanti alla guerra di Resistenza non esiste. Il termine proviene dal greco antico letteralmente “controbilanciamento”, quale elemento essenziale di un accordo fra i portatori di contrapposti interessi che vengono disciplinati da una regola, da una forza superiore e garante dell’equilibrio fra essi, nel caso di specie dalla Assemblea Costituente che decretò dopo il referendum istituzionale del 1948 la fondazione di una democrazia parlamentare.
Da circa 80 anni si deve ribadire nel politicamente corretto e con piena e studiata consapevolezza divisiva che la Resistenza è appannaggio soltanto di una certa fazione politica, ignorando, calpestando, oltraggiando financo alla bullistica derisione quelle sparute ma storicamente esistenti minoranze di fascisti ravveduti, convertitisi alla fazione giusta, ovvero cercando di annientare l’identità di quelli che mantenendo onore, dignità e senso di umanità, non violando i diritti umani hanno voluto mantenere fede al precedente regime governativo. Un’autentica e sana democrazia, duratura e pregnante della coscienza civile, non mette all’indice il diverso da sé, ma educa coloro che hanno deviato la coscienza umana per abbracciare il culto della sopraffazione dei deboli al pentimento ed alla riparazione del torto commesso, non certo affligge ed annichilisce l’avversario. Eppure ricordo tanta cagnara e sdegno per la reclusione dei terroristi dell’11 settembre 2001 nella prigione speciale di Guantanamo, ma durante la festa di Liberazione in Italia si ode e si legge sempre la solita solfa “fascisti maledetti” e su questo non ardisco contestare per carità, ma non vi è mai stato spazio alla riconciliazione con i precedenti fascisti che hanno scientemente chiesto perdono. È storicamente provato che molti di questi furono assassinati senza una ragione giuridica, nelle modalità più sadiche e disumane, emulando proprio le metodologie nazifasciste, seguendo “l’occhio, per occhio”. Nessuno spazio in questo linciaggio generalizzato per l’ideologia ed i suoi proseliti per il senso della misura e della giustizia, tanto che vi sono tante storie reali di fascisti pentitisi che vennero privati della vita e del patrimonio solo come bottino di guerra dimostrativo e vendicativo.
Non voglio nemmeno pensare agli omicidi interni alle stesse brigate partigiane, sottaciuti per decenni, fino ad attendere il coraggio di Giampaolo Pansa e della monumentale Oriana Fallaci, che guai a nominare si viene bollati come “fascisti ignoranti”, nel migliore dei casi. Non si devono nominare le foibe del fronte jugoslavo, perché erano buone e giuste in quanto destinate a punire i porci fascisti, non si deve citare, per fare un salto di 30 anni dopo Sergio Ramelli, perché era giusto assassinarlo a sprangate di chiave inglese, in quanto non allineato alla ideologia suprema e maxima del suo tempo. Di questo ha bisogno l’Italia, di trasformare la festa della Liberazione in festa della Riconciliazione o della Pacificazione, della fine delle ostilità fra una parte vincitrice del mondo culturale, quella cattocomunista e liberale con quella ravvedutasi grazie solo alla guerra di Resistenza. Il 25 aprile, come il 01 maggio, devono essere feste di tutti, non una occasione per autoproclamarsi semidei e bullizzare i vinti, perché queste dinamiche finiscono per rovesciare gli equilibri, facendo passare i giusti per empi ed i carnefici per vittime. Bisogna adottare il sistema della pietas romana e del perdono cristiano, come messaggio universalmente condiviso anche da papa Francesco, tanto caro a uomini anche laici ed agnostici, per stringere a coorte tutti gli italiani sotto l’unica Bandiera della democrazia, della tolleranza, della inclusione e del rispetto dei diritti umani. Se la scuola, l’università, la stampa digitale, cartacea o televisiva, non si assumeranno il fardello del rinnovamento ideologico del Paese in termini di superamento di questo tabù culturale, i giovani continueranno a percepire che la violenza brutale è ammessa per annichilire un avversario, pur se quest’ultimo ha abbracciato una ideologia antiumana, senza veicolare l’uso della forza nelle sedi della Giustizia e della Difesa legittime.
Il generale Vannacci, tanto sgradito ad alcuni, ha ricevuto un consenso massivo, perché ha sdoganato una ignominia vigente nel mondo culturale italiano da decenni e proprio a far data dalla celebrazione del 25 aprile 1945: il militare e la polizia sono tutti “fascisti”, da cui la sigla più moderna ACAB e da ultimo quei lenzuoli bianchi apparsi pochi giorni or sono con le scritte significanti disprezzo e vilipendio contro le Forze dell’Ordine. Quei fascisti criminali, quei fascisti pentiti, colpiti da errori grossolani e madornali dell’uso smodato della forza della Resistenza non devono essere riabilitati e revisionati nel giudizio storico in senso asseritamente positivo, ma soltanto essere considerati nelle menti dei giovani contemporanei come esempi da non seguire mai, proprio perché dovevano essere sanzionati con i metodi di civiltà che proprio questi teorici del Bene assoluto avrebbero dovuto praticare dal primo gesto di insediamento sulle ceneri della barbarie fascista. Il mostro, il subumano nazifascista non va calpestato e dilaniato nella sua dignità umana, ma emarginato e posto in posizione di non nuocere alla comunità: l’oblio, la vergogna e l’isolamento – ce lo insegna anche il 41bis per i mafiosi, ma anche il crepuscolo di Hitler – sono più dolorosi di centomila fucilazioni di massa. Questo manca all’Italia, il coraggio della riconciliazione fra discendenti dei vincitori e dei vinti della Guerra di Resistenza; fatto questo, dopo i successi planetari della democrazia più stabile d’Europa, potremmo aspirare a ritornare 4a potenza economica mondiale e culla di diritto, accoglienza, inclusione e civiltà. Quanto al primo maggio, sulla falsa riga del mio ultimo articolo, posso solo augurare ai lavoratori isolani di liberarsi dal giogo del lavoro interinale, che appiattisce la qualità delle prestazioni ed impoverisce il reddito dei prestatori e dalle consegne a domicilio con le app digitali, perché tutti, nessuno escluso, anelano al ritorno al benessere degli anni’80, quando un operaio monoreddito riusciva a comprare una casetta e mantenere moglie e due figli. Questa è l’Italia, l’isola d’Ischia, che auspica una nuova liberazione dal progressivo impoverimento del ceto piccolo e medio, ossatura del made in Italy e dell’italian style, per far prosperare tutti i suoi cittadini ed ospiti nella unità e libertà.
* AVVOCATO