IL COMMENTO Rischi naturali e resilienza

DI GIUSEPPE LUONGO
Una parola molto usata nel recente passato dopo una catastrofe naturale era “prevenzione”, poi sostituita da “resilienza”. La prima, a mio parere, più impegnativa della seconda, infatti, con la prima, che è uno dei pilastri della Protezione Civile, al quale si aggiungono “previsione” e “soccorso”, si intende prevenire una catastrofe, con la seconda ci si limita a mitigare gli effetti della catastrofe con una pianificazione e un comportamento della popolazione assennati. In realtà, il positivo furore che investe le popolazioni all’indomani di una catastrofe perché l’evento non si ripeti più, si affievolisce lentamente fino ad annullarsi del tutto in tempi brevi, prevalendo gli interessi del quotidiano. La maggiore responsabilità di un tale comportamento è da attribuire a quanti sono eletti per il governo del territorio, ma non sono del tutto innocenti le comunità che non vigilano sul buon governo, con comportamenti da biasimare.
Per gli aspetti che riflettono gli impatti economici, ambientali e sociali dei rischi naturali e le decisioni delle comunità esposte, l’area napoletana può definirsi un caso storico. Sul Golfo di Napoli si affacciano tre aree vulcaniche attive: Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia. Tutte e tre le aree sono caratterizzate dal rischio vulcanico e sismico; mentre al Vesuvio e Ischia è presente in modo rilevante il rischio idrogeologico, ai Campi Flegrei è attivo il fenomeno del Bradisismo, che produce effetti vistosi lungo la costa, creando problemi agli approdi per i trasporti marittimi. L’immagine più drammatica è al Vesuvio, dove l’eruzione del 79 AD sommerse con i flussi piroclastici le città di Ercolano, Oplonti, Pompei, Stabiae, divenuti oggi attrattori di visitatori da tutto il mondo, curiosi di osservare la potenza delle eruzioni del vulcano. Ma questi reperti sono anche un monito, a chi vive sul territorio della sua pericolosità. Quanto accaduto nel 79 in parte si ripeté nel 1631 e il Viceré provvide a descrivere la pericolosità dell’area e a porre nel marmo il suo editto a Portici. A questi eventi si aggiunsero, in tempi successivi, più eruzioni fino al 1944, le cui colate invasero gli insediamenti alla base del vulcano. Nonostante una storia così ricca di disastri, nel dopoguerra la città di Napoli si espanse a oriente con un tappeto di edifici che cancellò l’antico paesaggio fatto di centri ben definiti e separati da vaste aree non edificate. Il risultato di questa scelta fu la crescita del rischio di danno per future eruzioni.
Il problema fu esaminato, per scelta della comunità scientifica nazionale con la collaborazione della Provincia di Napoli, in un Convegno Internazionale a Napoli nel 1977. Negli anni successivi si fecero ulteriori progressi nella valutazione del rischio dell’area; oggi tutta l’area del cono vulcanico è considerata ad alto rischio per i flussi piroclastici ed è indicata nei documenti preparati dalla Protezione Civile “Zona rossa” da evacuare preventivamente all’approssimarsi di un’eruzione segnalata dal sistema di monitoraggio dell’Osservatorio Vesuviano. La politica della maggiore sicurezza dai rischi delle eruzioni trova nella istituzione del Parco Nazionale del Vesuvio nel 1991 un contributo nella valorizzazione e conservazione delle aree naturali. Nonostante questi progressi il Vesuvio resta un’area ad alto rischio per la densità abitativa e per la prossimità del territorio antropizzato ai centri eruttivi. In queste condizioni occorrono un sistema di monitoraggio e di allerta di elevate capacità scientifiche e tecnologiche, nonché un piano di protezione civile all’avanguardia e una popolazione informata e capace di rispondere tempestivamente alle indicazioni dei responsabili della protezione civile. A occidente del Vesuvio si sviluppa senza soluzione di continuità la città di Napoli e i Campi Flegrei fino a Cuma. Un tempo la città di Napoli era tra i due vulcani, separata da questi, oggi non è più così, è un continuo di edifici da Castellammare a Cuma. Le crisi bradisismiche recenti del 1970-72 e del 1982-84 hanno mostrato caratteristiche simili a quella che anticipò l’eruzione del Monte Nuovo; perciò, furono considerate premonitrici di un’eventuale eruzione, senza, per fortuna, tale esito. In questi anni si registra una nuova crisi, più lunga delle precedenti.
Il fenomeno è accompagnato da attività sismica, al limite della capacità degli edifici a sopportare le vibrazioni con danni lievi. Manca un dato confortante sulla massima energia dell’evento atteso e mancano dati ufficiali sulla vulnerabilità degli edifici. Si teme anche l’evoluzione del fenomeno verso un evento eruttivo, anche se mancano segnali in tale direzione. La popolazione è confusa e trova conforto solo negli intervalli di quiete sismica, ma mancano certezze sulla sicurezza. Quanto accade da Bagnoli a Bacoli e, in particolare a Pozzuoli, è in parte dovuto alla mancanza di preparazione della popolazione alla crisi. Quanto accaduto nelle crisi precedenti non è stato di insegnamento a quanti governano il territorio. L’impreparazione è tale che un evento eruttivo produrrebbe il collasso di un piano di protezione civile, che di per sé mostra limiti inaccettabili, senza che siano valutati gli effetti sociali degli strumenti che metterebbe in campo la Protezione Civile con l’evacuazione e la dispersione di centinaia di migliaia di persone (circa 500.000) nelle varie regioni italiane. Se il Vesuvio e i Campi Flegrei hanno problemi seri per la sicurezza e la sua gestione, Ischia non è un’isola felice. Sono più volte intervenuto sui rischi naturali a Ischia, Con alcuni colleghi e, a suo tempo, anche allievi abbiamo studiato l’Isola per quaranta anni, affrontando principalmente il rischio sismico ed abbiamo prodotto mappe di pericolosità sismica e vulcanica, come può rilevarsi dalla letteratura scientifica, senza sottovalutare il rischio idrogeologico. Chi scrive questa nota nel 2010 propose ai Sindaci dell’isola d’Ischia la costituzione di un “Tavolo permanente per la mitigazione del rischio sismico, vulcanico e idrogeologico” al quale avrebbero dovuto partecipare le Amministrazioni comunali dell’Isola e le istituzioni alle quali competono la mitigazione dei rischi naturali. All’iniziativa aderirono le sole Amministrazioni di Barano, Serrara Fontana e Casamicciola. Un’occasione persa. Il terremoto del 21 agosto 2017 e la colata di fango del 26 novembre 2022 hanno drammaticamente dimostrato che la proposta della realizzazione del “Tavolo” era necessaria per contenere gli effetti dei due disastri. Non si può che sperare che le recenti drammatiche esperienze condizionino le scelte finalizzandole alla resilienza del territorio.