IL COMMENTO Se anche il termine “turisti” non è inclusivo

Questa storia del linguaggio inclusivo sta sfuggendo dalle mani. L’utilizzo di asterischi, segni strani, simboli inesistenti, da utilizzare secondo una folle tendenza, per tutelare l’universo femminile dalla prepotenza dell’uomo dittatore, dal patriarcato e dal maschilismo becero sta diventando davvero ridicola. E se a parlarne sono personaggi che in caso contrario sarebbero, come giusto che sia, nell’ambito di un oblìo più o meno costante, la cosa potrebbe anche essere divertente. Un argomento da discussione sotto l’ombrellone, un’occasione per un dibattito in tv, dal valore minimo, più o meno come quello da attribuire alle vicende del Grande fratello, piuttosto che alle storielle d’amore che sbocciano sull’Isola dei famosi.
E’ la cosiddetta cultura woke. Un movimento sociale che promuove la consapevolezza e l’azione contro le ingiustizie razziali, di genere e sociali, enfatizzando il linguaggio inclusivo. La cosa si fa terribilmente seria e anche preoccupante, se sulla questione interviene addirittura una Università, luogo di cultura per eccellenza, scrigno di sapere e di scienza, di conoscenza e di crescita intellettuale e spirituale. L’Università dovrebbe combattere ignoranza e pressappochismo, follie verbali e comunicazione da basso profilo. E invece accade che a Bari qualcuno si inventa le nuove “linee guida” per l’adozione di un linguaggio più “ampio, rispettoso delle differenze”. Un insieme di regolette che neanche su Topolino avrebbero dovuto trovare albergo e che invece vengono fornite agli studenti (anzi ai soggetti che frequentano la facoltà). Eh si perchè “studenti” non si può dire più, altrimenti le donne si offendono e con loro anche gli omosessuali, le lesbiche e chissà chi altro. E invece qui, l’unico a doversi offendere (e tanto) è il buonsenso delle persone, ormai merce sempre più rara in una società allo sbando. Secondo questi scienziati di Bari l’obiettivo del documento, che gli studenti stessi dovrebbero considerare carta straccia, sarebbe quello di promuovere un uso della lingua che rifletta il rispetto per le donne, incoraggiando l’impiego delle declinazioni femminili. Una buffonata senza precedenti. Sarebbe come dire che nell’uso corrente della lingua italiana, si debba evitare anche espressioni del tipo “ad Ischia sono attesi migliaia di turisti”. Turisti non è inclusivo, come non lo è “sportivi”, “docenti”, “animali” e “deficienti”, che invece racchiude in maniera mirabile una marea di persone, uomini e donne, che si alzano la mattina e vomitano al mondo intero la propria idiozia. Ai nostri figli dovremmo dire che si scrive ingegnera; medica; banchiera; fabbra; capoinfermiera (che poi sarebbe meglio capainfermiera). E a pensarci bene, neanche la parola figli è corretta, dovremmo dire “persone nate dal rapporto sessuale di un padre e una madre”.
Il culmine del ridicolo, però, la somma Università barese lo raggiunge quando vieta l’espressione “buongiorno a tutti”, preferendo alternative che includano anche le donne. Quindi tutto sommato basterebbe dire “buongiorno” e si evitano accuse di maschilismo e sessismo. Facciano attenzione anche i preti dall’altare, perché dire “la benedizione ricada su tutti voi”, potrebbe infastidire qualcuno e magari in chiesa volerebbe qualche bestemmia non proprio opportuna. Li vorrei poi vedere questi signori del parlare moderno, se davvero riescono ad esprimersi secondo le regolette da loro stessi dettate. Non è sempre facile assecondare la propria follia e l’abitudine a parlare un italiano corretto, tutto sommato, è ancora difficile da perdere.
* DIRETTORE “SCRIVONAPOLI”