LE OPINIONI

IL COMMENTO Siamo tutti Pulcinella

Bocciata la candidatura del caffè espresso come Bene immateriale dell’Umanità, Napoli spera di veder trionfare, per il 2023, la figura di Pulcinella tra i Beni sotto tutela Unesco. I motivi della candidatura ce li spiega l’antropologo Domenico Scafoglio, dell’Università di Salerno, che gestisce anche la Casa Museo di Pulcinella in Piazza Gerolamini a Napoli. Pulcinella è maschera storicamente mondiale, dall’Asia all’Africa, dall’Occidente ad Oriente. Volendola delimitare, potremmo dire che è una maschera euro-mediterranea. E’ stato già detto, io stesso scrissi un articolo in merito su questo giornale, che Napoli è una “città porosa “. E l’indimenticabile filosofo Aldo Masullo ebbe a dire che Pulcinella è “poroso” nel significato letterale del termine, greco e latino, di chi assorbe, al suo interno, una molteplicità di culture euro-mediterranee. Nel dossier, che il Comitato promotore per Pulcinella Patrimonio immateriale dell’Umanità sta allestendo, figurano documentazioni e testimonianze risalenti al 1500. Ci spiega Mirella Armiero, responsabile pagine culturali del Corriere della Sera, che Pulcinella è simbolo di sberleffo al potere e di doppiezza dell’uomo. Pertanto la maschera dal naso adunco, rappresenta nel contempo il lato tragico e miserevole di Napoli e gli aspetti brillanti e virtuosi della città, la miseria e la ricchezza, la solidarietà e la povertà morale, la stupidaggine e la furbizia, il cittadino e il campagnuolo. Naturalmente, grandi attori come Petrolini, De Filippo, Solli, Totò e Troisi hanno dato la loro interpretazione di Pulcinella. Ma per molti anni la maschera è stata relegata in un ruolo meramente folclorico e commerciale senza che chi lo vendeva ne introiettasse il significato e la simbologia. Oggi la candidatura Unesco, col corposo dossier a supporto, riscatta questo personaggio.

Sono sincero, nonostante quanto detto nelle righe precedenti, mi sento più vicino a Eduardo De Filippo che all’antropologo Scafoglio. Eduardo, come scrive Mirella Armiero, “incarnava una visione progressista e novecentesca in cui non c’era posto per la maschera e per le sue ambiguità”. Eduardo sa rappresentare tutte le ambiguità del popolo napoletano, ma non se ne compiace, ne comprende le ragioni e le mette in scena magistralmente, ma non si arrende all’idea che l’ambiguità e la doppiezza debbano rimanere un dato costante ed ineliminabile dei napoletani. Chi non ricorda la straordinaria interpretazione di Eduardo-Pulcinella che non muore mai, nel film “Ferdinando I Re di Napoli” con Peppino de Filippo? Il Pulcinella eduardiano non media, non sfugge, è netto: ”In Paradiso non andranno mai i Re ma i ribelli. In Paradiso sono tutti uguali e non vi è nessuna autorità”. Oggi siamo ancora tutti Pulcinella e non solo a Napoli, ma in tutti i luoghi che girano intorno alla città, isole comprese. E’ una illusione quella di ritenere che la costa amalfitano-sorrentina, Salerno, le isole del golfo, col loro Pil turistico possano trainare la Città e la Regione. Illusione alimentata da Procida Capitale Italiana della Cultura. Il Presidente De Luca, prima con “Le luci della città di Salerno” adesso con la ribalta europea di Procida Capitale si illude di poter dare una decisiva “mano di cultura” all’intero quadro metropolitano.

La verità l’ha pronunciata il filosofo ed eurodeputato Biagio de Giovanni che, riferendosi a De Luca, ha detto a Il Corriere della Sera: “Uno che ha un problema da anni e non lo risolve, non può essere assolto con 15 milioni di euro stanziati per la Capitale della Cultura. Insisto sul rapporto Napoli-Regione. Che significa cultura regionale? Capisco l’importanza delle iniziative nelle province, ma Napoli è comunque il centro della cultura in Campania. La cultura è Napoli”. Allora ben venga il riconoscimento di Pulcinella come Patrimonio immateriale dell’Umanità, a patto che non ci crogioliamo nell’idea che siamo fatti così e così dobbiamo restare. Dall’ambiguità si può e si deve uscire. La vita è generalmente dramma ma guai a rinunciare per sempre a perseguire il lieto fine. Si va in Paradiso se ci si ribella allo status quo. Come si può contribuire al salto di qualità culturale di Napoli e Campania? Non certo con la politica degli eventi ad effetto, sganciati da ogni connessione col territorio; quelli – per intenderci – che potrebbero svolgersi in qualsiasi parte del mondo perché non caratterizzano nulla. E non si fa col modello Scabec, con contributi che piovono sui “clientes” del Governatore. Ha scritto Giancristiano Desiderio, giornalista- scrittore, studioso di Benedetto Croce: “La cosiddetta questione culturale che vale per la Regione e per il Comune di Napoli e per la stragrande maggioranza delle amministrazioni locali, è un nervo scopertissimo della Campania, che in Italia rappresenta un caso di scuola del celebre detto di Giovenale, panem et circenses”.

E’ differente la situazione nell’isola d’Ischia? Niente affatto, è in piena sintonia con la pseudo cultura della Regione Campania e anche se sull’isola ci sono ottime realtà associative culturali, il quadro amministrativo tende a distorcerle, a richiederne l’asservimento, a distinguere chi si adegua e chi no. Da ultimo, una miopia campana è quella del “provincialismo” degli organi di gestione culturale. Franco Iacono, in un ottimo intervento su Il Corriere della Sera, ha stigmatizzato il comportamento di quanti osteggiano la conduzione di prestigiosi enti artistico-culturali ad opera di esponenti di altre Regioni o stranieri. E’, di recente, il caso della nomina al vertice del Cda del Mercadante di Evelina Christillin, torinese, già Presidente della Fondazione Teatro Stabile di Torino e della Fondazione Museo Egizio di Torino. Giustamente Franco Iacono dice che con la mentalità provinciale della cultura non sarebbe stato mai possibile vedere grandi artisti italiani, come il maestro Muti o Antonio Pappano, dirigere orchestre prestigiose straniere, come l’orchestra Sinfonica di Chicago o l’orchestra Sinfonica di Londra. C’è poco da fare, siamo Giano bifronte, siamo tutti Pulcinella dal doppio volto, nostalgici e futuristi, localisti e globalisti, ma in questa ambiguità rimaniamo in mezzo al guado. Ben venga il riconoscimento Unesco a Pulcinella, ma io preferisco l’interpretazione che ne ha dato Eduardo de Filippo: Pulcinella ribelle. Vogliamo, come Eduardo in Napoli Milionaria, raccontare la guerra a quelli che non hanno fatto la guerra e si sono “ arrangiati”. Vogliamo sperare, come Gennaro Iovine di Napoli Milionaria, in un riscatto morale e culturale che le guerre ( vere o figurate) distruggono. Adda passà ‘a nuttata!

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