LE OPINIONI

IL COMMENTO Smetterla di “parlare a”

DI ANNA DI MEGLIO COPERTINO

L’articolo di Raffaele Mirelli “Quel paese delle domeniche del senso civico”, pubblicato da Il Golfo, adotta il tono e il linguaggio giusti per rivolgersi a tutti, un tempo si sarebbe detto “all’uomo della strada”, quello “alla pari”, non posto su gradini gerarchici di ordine politico, economico o intellettuale, non appartenente a caste, che si credevano ottimisticamente ridotte e che invece si ricostituiscono oggi e ovunque più che mai. Il parlare piano e schietto dell’autore, privo della retorica e dell’aggressività ormai di prassi, come pure di imperativi cattedratici, spiega il significato di alcune iniziative, quali le domeniche ecologiche di Settembre o le campagne di sensibilizzazione create da ragazzi e ragazze delle nostre scuole. Le viviamo, in tanti, in troppi, con superficialità tali azioni. Con fastidio per qualche limitazione subita e con indifferenza e apatia, convinti che non siano a esse a cambiare ciò che non va nel nostro quotidiano vivere l’ambiente. Il tono è quello giusto, perché ciò che davvero ostacola i miglioramenti è la nostra (di massa) passività, il nostro miope tirare avanti, barcamenandoci tra fiumi malsani di stress – traffico, comportamenti indisciplinati, aggressivi, scorretti – che contribuiamo ad alimentare oppure non contrastiamo in maniera efficace. Certo la politica ha le sue pesanti responsabilità, mancando quanto meno di coraggio, per ragioni prevalentemente clientelari, ma anche per colpevole incapacità di pianificazione. Mirelli, filosofo, vola alto quanto a idee, ma sente di dover procedere poi come viandante fra i tanti, per coinvolgere.

Qui sta il punto, infatti. Mesi fa, dialogando con un colto amico e creativo e brillante, gli confessai il mio apprezzamento per gli articoli di un nostro conterraneo. Mi rispose con una domanda: “Sì, ma a chi parla?”. Come coinvolgere fattivamente i più, tutti noi, è la vera domanda, la vera sfida. Il distacco fra politica operativa – nel bene e soprattutto nel male – e le masse è evidente. Il senso civico non si forma più in famiglia né a scuola, le storture onnipresenti generano impotenza o senso di impunità. Conferenze e discorsi e scritti e iniziative culturali, in una platea sempre più abituata a considerarsi mera spettatrice, sembrano onde splendenti contro lidi rocciosi, a costituire più uno spettacolo momentaneo di bellezza che un durevole mutamento di paesaggio. Bisogna costringere la gente (costringerci un po’ tutti) a confrontarsi in prima persona con i “portatori sani” di idee e intenti, o a proporne a propria volta, affinché tali contenuti, dibattuti, e verificati e confrontati e magari aggrediti e dilaniati, ma infine condivisi e arricchiti, diventino patrimonio di tutti, apparendo, A TUTTI, necessari e oggetto di irrinunciabile rivendicazione. Bisogna entrare in seno alle famiglie, costituendo di nuovo una sorta di comitati di zona (dal lat. “comes”, compagni, di percorso e di esigenze e, finalmente, di ideali), magari anche tramite le scuole. Ascoltare le esigenze del territorio – il nostro, così piccolo, in fondo, da poter esser rivoltato in meglio come un calzino – aiutarsi reciprocamente a epurarle da piccole sacche di sterile egoismo, per individuare un superiore e qualificante interesse comune. Imparare a confrontarsi su temi concreti, noti, comprensibili, senza voler immediatamente e a tutti i costi discettare di massimi sistemi. Temi del quotidiano: la strada, il traffico, la manutenzione, la pulizia, l’estetica cittadina, i presidi sanitari, l’aiuto alle famiglie e agli individui isolati e privi di sostegno …

Raffaele Mirelli

Senza guardare in faccia i vari “noi–privi–di–volto–pubblico”, senza imbastire un botta e risposta, spesso sgradevole e apparentemente insormontabile, niente cambierà in termini di crescita e senso civico diffusi. La fatica di costruire insieme, non al di sopra delle nostre teste, una realtà diversa e migliore, rispettosa di individui e ambiente, non può essere elusa all’infinito. Non possiamo restare eternamente connessi solo in maniera telematica, eiaculando sui social un vacuo solipsismo di sterili querelanti. Chi vuol essere propositivo smetta di “parlare a” – come invece sta facendo la sciocca scrivente in questa occasione – e si riprometta una buona volta di “parlare con”.

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