IL COMMENTO Sono dazi amari per il turismo

Tra i guasti che possono derivare dalla scellerata decisione di Trump di applicare dazi a diversi Paesi del mondo, compresa l’Europa e quindi l’Italia, mi pare che l’informazione e la politica italiana non abbiano posto la necessaria attenzione alle conseguenze che deriveranno sul turismo, che ci riguarda molto da vicino. Esaminiamole:1) probabile calo dei flussi turistici negli USA, provenienti da Paesi colpiti dai dazi su loro prodotti e possibili azioni di tali paesi di disincentivazione a viaggiare in America. Conseguente calo della capacità degli americani, falcidiati da un lato dall’inflazione interna derivante dall’aumento dei prezzi di prodotti esteri colpiti da dazi e, d’altro lato, per la diminuzione di introiti da turismo internazionale in America.2) Moral dissuasion degli Stati colpiti da dazi verso i connazionali che intendono viaggiare, dirottandoli verso mete alternative agli Stati Uniti, anche perché troverebbero in quel Paese un grave rincaro dei prezzi interni. Ma quel che è più grave, i dazi avrebbero importanti conseguenze sul turismo outbound (turismo in uscita dagli USA): come già detto, l’inflazione interna statunitense ridurrebbe la capacità di spesa degli americani all’estero. E sappiamo quanto amino l’Italia e quanto conti, anche per Ischia, il turismo americano che, soprattutto negli ultimi tempi, avvantaggiato anche da un cambio favorevole, si stava incrementando, con particolare riguardo al turismo americano di ritorno (dei discendenti degli emigrati). Anche il cambio dollaro-euro potrebbe modificarsi al rialzo per il dollaro, rendendo più caro il turismo verso gli USA e la borsa americana potrebbe continuare una tendenza al ribasso, contraendo la capacità di risparmio e di spesa degli americani. 3) Difficoltà per le compagnie aeree per rincari di materiali e carburante, con conseguente aumento dei prezzi, rendendo più difficile scegliere voli intercontinentali dagli USA verso l’Italia.
Anche il turismo interno italiano potrebbe avere una contrazione, conseguente alle difficoltà di esportazione di alcuni prodotti del made in Italy negli USA e quindi una minore propensione e capacità di spesa per vacanze della classe industriale e artigianale colpita. Come si sa, è fallita ogni illusione di ripensamento di Trump; è già partito il dazio del 25% sulle auto non prodotte negli USA e dal 2 aprile partirà la raffica di dazi generalizzati (compreso medicinali) a cui (non il 2 aprile ma il 12, per consentire spazi di contrattazione) partiranno i controdazi europei su prodotti americani per un ammontare intorno ai 26 miliardi di euro. Questo dovrebbe, per tempo, suggerire all’Europa, all’Italia e a Ischia di puntare sul turismo inbound proveniente dall’Europa innanzi tutto, ma anche da paesi nuovi e alternativi che si stanno affacciando sul mercato turistico internazionale. Secondo Tourism Economics, società di Oxford Economics, una delle più grandi compagnie al mondo di proiezioni economiche, nel 2025 si registrerà negli USA un calo del 9% degli arrivi, quando fino a gennaio si parlava di un aumento del 5%. Per esempio, a febbraio, dal Canada c’è stato un calo del 23%. Si calcola che nel 2025 il settore turistico americano potrebbe perdere 64 miliardi di dollari. A fronte di questa situazione, mentre il Presidente Mattarella condanna apertamente la follia di dazi internazionali, che non fanno bene a nessuno, la prima ministra Meloni suggerisce all’Europa la via di non rispondere a dazi con dazi e (più velatamente) di sperare in un trattamento di favore per l’Italia. Senza ipotizzare la soluzione estrema di dazi al turismo in entrata o in uscita verso gli USA, gli italiani farebbero bene a scegliere, con maggiore oculatezza, le mete turistiche verso cui dirigersi. Più Europa, meno destinazioni in Paesi autocrati e soggetti a pericoli; più viaggi nei Paesi che difendono la loro autonomia, indipendenza, come per esempio i Paesi baltici; più Asia, più Africa, più Canada.


Fra pochi giorni, in occasione del mio anniversario di nozze (come faccio ogni anno da 50 anni) farò un viaggio. E questa volta ho scelto Bruxelles e Bruges. Non a caso. Ho fatto questa scelta per un valore simbolico, perché Bruxelles è istituzionalmente l’ombelico d’Europa, oltre che offrire la bellezza della Grand Place, della Galeries Sainr.Hubert o della Cathedral des Saint Michel e Godule (per non dire della splendida Cattedrale di Bruges). Ho fatto questa scelta per sentirmi più vicino all’Europa, questa Europa, che è la mia Europa, anche se incompiuta, anche se non è ancora Stati Uniti d’Europa, anche se troppo burocratica e mancante di grandi figure di statisti. Al netto di tutto ciò, è l’Europa che piace ai giovani (come è statisticamente emerso); che connette i giovani con l’Erasmus; che per 80 anni non ha praticato guerre. Certo, non mi convince e non mi entusiasma il “riarmo”. Sono d’accordo con Gustavo Zagrebelsky quando scrive: “L’equilibrio del terrore non è pace. E’, come diceva Spinoza, solo una guerra rinviata”. Tuttavia non dirò mai.” Questa Europa non è la mia Europa, intendendo di volere solo un’Europa di nazionalismi. Ma non è importante solo selezionare bene il turism outgoing; ancora più importante è sapere puntare al giusto turismo incoming: avremo meno americani, russi non ne vedremo, ma potremo incrementare il turismo dal nord Europa, dalla Spagna, dalla Francia, dal Regno Unito, da alcuni paesi dell’est. Complessivamente, Visit Italy, nel Report “Il turismo del futuro 2025” prevede che l’Italia dovrebbe registrare un + 1,4% di turisti stranieri, rispetto ai 448,7 milioni del 2024. L’Italia si posiziona al terzo posto in Europa con una fetta del 15,2% delle presenze turistiche europee. Per concludere, dobbiamo rivedere tutti i piani e tutte le previsioni antecedenti alle elezioni americane. La rivoluzione del posizionamento degli USA sullo scacchiere internazionale (mondo tripolare USA,Russia,Cina), col conseguente abbandono e dileggio dell’Europa da parte del governo statunitense, ci impone di studiare nuove strategie turistiche. Niente è più come prima. Studiamo e agiamo, dimostrando che non siamo un popolo di parassiti come qualche plutocrate americano ci ha definito.