LE OPINIONI

IL COMMENTO Strategie per la riduzione dei rischi naturali

DI GIUSEPPE LUONGO

La riduzione del rischio è la presa di coscienza di un singolo o di una moltitudine di persone, basata sull’esperienza sensibile, che un evento nel quale si è coinvolti possa produrre loro un danno. Si tratta di un’elaborazione che consente di riconoscere l’esistenza oggettiva di una condizione di pericolo nell’ambiente nel quale vive. Questo processo si sviluppa nell’individuo sia da solo che insieme ad altre persone con le quali si hanno in comune rapporti sociali; nei due casi la percezione del rischio sarà diversa. L’esperienza collettiva può essere ispirata ad ottimismo o a pessimismo, rispetto alla valutazione oggettiva, quando, nell’affrontare l’evento pericoloso, emerge un comportamento solidale o prevale il panico. Nella prima condizione la comunità ha più strumenti per affrontare il pericolo che nel secondo caso. Sulla base di queste considerazioni ci si potrebbe chiedere quale possa essere stato il sistema comportamentale della primitiva società umana nell’affrontare il problema del rischio. Secondo J.G. Crowther (1967)” il sistema secondo il quale l’uomo acquista padronanza del suo ambiente” deve definirsi scienza. Se tale definizione risultasse corretta, allora si potrebbe affermare che non c’è mai stata una società umana priva di nozioni scientifiche elementari. Senza esplorare il tempo profondo possiamo ritenere che il primo filosofo-scienziato sia stato Talete. Una caratteristica della sua speculazione filosofica consiste nella “Scoperta della Natura” intesa come distinzione consapevole tra “naturale” e “soprannaturale”. Una posizione opposta è sostenuta da Omero ed Esiodo, i quali attribuiscono alla collera di Zeus, o di altro dio, il verificarsi di fenomeni naturali estremi. Mentre Omero descrive il singolo fenomeno, Talete indaga sull’universale.Secondo gli Epicurei e gli Stoici il motivo ispiratore dello studio dei fenomeni naturali era il conseguimento della tranquillità dell’animo. L’uomo, infatti, sarà tormentato da paure irrazionali fino a quando ignorerà le cause dei fenomeni naturali.

Un ambiente a rischio iconico è il Vesuvio, il disastro del 79 AD, registrato nelle pietre delle città cancellate dalle ceneri e dai lapilli e quello del 1631, descritto nelle cronache dei numerosi osservatori convenuti a Napoli, potrebbero ripetersi in futuro. Si fa allora strada il convincimento che i disastri possono essere compresi, controllati e contenuti solo con l’aiuto delle conoscenze scientifiche. L’insuccesso della difesa dai disastri naturali potrebbe nascere sia dalla mancanza di una conoscenza adeguata che dall’incapacità della società di accettare e applicare le implicazioni di ciò che è conosciuto. Una comunità che riconosce la supremazia del metodo scientifico come strumento di conoscenza e fornisce appoggi politici, economici e psicologici, all’attività scientifica di base, sarà anche pronta, nel lungo periodo, ad accettare ed applicare le conoscenze acquisite. Viceversa, una società che non riesce ad applicare ciò che conosce, alla fine non vorrà più conoscere e ripudierà la creazione del sapere, in base alla teoria dello struzzo che non vuole conoscere ciò che lo minaccia. I terremoti, gli tsunami, le inondazioni, le eruzioni, sono eventi che richiamano immagini catastrofiche. Quanti si sentono esposti a tali eventi pongono le proprie aspettative nella capacità degli scienziati di prevederli. Purtroppo, spesso negli scienziati si registra un’attenzione inadeguata a tali problemi; questi, chiusi nella loro nicchia specialistica, evadano dalla realtà e cancellano i problemi che non sanno o non vogliono affrontare. Nel caso della loro previsione si è andato costruendo il modello dei precursori in un’ottica riduzionista, inadeguata in quanto i sistemi naturali sono complessi che si evolvono e per i quali è possibile interpretare i fenomeni accaduti, ma non predire ciò che accadrà in futuro. La complessità è dovuta alla grande variabilità del sistema le cui componenti evolvono in uno stato critico nel quale una piccola perturbazione può produrre un cambiamento significativo nel sistema. Spesso tali cambiamenti avvengono con un processo catastrofico piuttosto che con variazioni graduali. Inoltre, la variabilità dei sistemi naturali preclude la possibilità che tutte le osservazioni possano essere condensate in un ristretto numero di equazioni matematiche.Ad esempio, per un terremoto possiamo conoscere la storia sismica della regione nella quale si libera l’energia elastica accumulata, la struttura geologica, il campo di sforzi agenti per azione delle forze tettoniche, il flusso di energia tettonica, il meccanismo, il contenuto spettrale, l’accelerazione di picco, l’amplificazione locale per la risposta delle rocce superficiali, ma per la previsione manca la conoscenza delle condizioni iniziali. Problemi analoghi emergono per i vulcani e i disastri idrogeologici.

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