LE OPINIONI

IL COMMENTO Tangentopoli, la questione irrisolta

di Benedetto Valentino

Da cronista del Mattino e organizzatore del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo ricordo bene gli anni di Mani Pulite. La sbornia lassista degli anni Ottanta in pochi mesi lasciò ben presto il passo ad una ondata di giustizialismo senza precedenti. A distanza di vari decenni lo sguardo storico su quella fase così tormentata e confusa è chiaramente diverso dalla percezione che avevamo quando eravamo totalmente immersi nella cronaca di quel periodo. In pochi mesi andarono in fumo carriere politiche, imprese e imperi economici. Il più furbo e intelligente di tutti fu il politico di riferimento dell’isola d’Ischia: Alfredo Vito,democristiano da sempre, colonnello di Antonio Gava a Napoli, meglio noto come mister centomila voti per il suo exploit alle politiche che fiutò subito il vento che spirava. Si presentò spontaneamente dai pm Rosario Cantelmo e Nicola Quatrano e confessò: “Il sistema da noi funziona così: la dazione, la tangente, viene pagata al partito immediatamente dopo che l’impresa ha vinto l’appalto. Chi non sborsa i quattrini, è implicito, ha chiuso con i prossimi lavori. Chi paga, invece, mostra di non voler avere problemi nel futuro. Il denaro serviva per vari scopi: soprattutto per rinnovare il tesseramento del partito, con quei soldi pagavamo le tessere dei nostri vecchi affiliati e potevamo così dimostrare al partito di averne moltissime, di tessere. Ma quei soldi venivano anche spartiti per le altre correnti dc. A farlo, naturalmente, ero io, il collettore delle mazzette”. Riuscì a patteggiare e ottenne una pena a due anni di reclusione per varie corruzioni, restituendo cinque miliardi di lire al Comune di Napoli.

Per l’isola d’Ischia fu uno shock: da quel momento le inchieste che riguardarono tutti gli esponenti della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista, che reggevano da decenni la politica locale, non si contarono. Il maresciallo dei carabinieri Savino, spesso delegato alle indagini da parte dei pm napoletani, non riusciva a trovare il tempo necessario per raccogliere le confessioni di imprenditori, soprattutto edili, che spaventati facevano la fila davanti alla stazione per confessare reati, tangenti e malaffare. Sull’isola furono arrestati decine di persone tra sindaci, funzionari, imprenditori e l’intero vertice che aveva retto la politica isola fu decapitato. Nonostante però il carcere duro a cui furono sottoposti vari personaggi, furono pochi quelli che confessarono i reati e collaborarono con la magistratura inquirente.

Questo atteggiamento risultò poi vincente quando si celebrarono, dopo decenni, i processi. Sono stati infatti pochissimi quelli che, dopo il regolare processo, sono risultati colpevoli.

Pasquale Nonno, allora direttore de Il Mattino, fu tra i rari giornalisti italiani ad avere una linea controcorrente e garantista, in opposizione all’ondata giustizialista. Purtroppo fu anche uno dei pochi a pagare il conto: a seguito delle denunce e dei risarcimenti danni derivanti dai suoi editoriali fu costretto a vendere la sua casa di Forio, con gravi conseguenze anche sulla sua salute. Tra i numerosi articoli che scrissi in quel periodo, molti che riguardavano anche miei cari amici, ne ricordo uno in particolare: un’intervista al giudice di Ischia Mario Parente, il quale in pieno delirio giustizialista pronunciò parole che si rilevarono poi sagge e profetiche: “La rivoluzione non può essere giudiziaria e non possono farla i giudici”. Di quegli anni ricordo anche quella furbizia tipicamente italiana, che sfociava nell’ipocrisia e nel trasformismo. Quando parlai con qualcuno dei personaggi arrestati nessuno li aveva mai conosciuti e quando il vento della nuova politica spirava verso la destra storica di Alleanza Nazionale molti ricordavano le loro radici familiari: chi aveva un nonno che aveva fatto la marcia su Roma, chi confessava di aver votato sempre Msi. Tutti gridavano contro il malaffare, la corruzione e il sistema clientelare. E spesso quelli che gridavano di più erano proprio i maggiori beneficiari del “sistema”, essendo stati assunti o favoriti nelle loro attività.

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Uno degli episodi che più mi sono rimasti impressionati in mente è stata la cena del Premio Ischia a cui partecipava Corrado Ferlaino, costruttore ed ex Presidente del Napoli calcio. Proprio durante i giorni del premio giunse la notizia di un avviso di garanzia e quando entrò in sala nessuno volle accomodarsi al suo tavolo e rimase solo fino a quando l’amico Ciccio Bufi non mi chiese di accomodarci vicino a lui: “Sembra brutto. Qui non si siederà nessuno perché tutti lo evitano. Sediamoci noi.”Per me fu una delle serate più belle del premio perché Ferlaino raccontò tanti episodi di Maradona, lo scudetto, il Napoli calcio, ma quando si alzò per andare via nessuno gli diede la mano. Un altro episodio che mi è scolpito nella mente fu quando una ragazza, che non conoscevo, venne in ufficio, al giornale in Via Castanito, per fare dei lavori di grafica. Gli chiesi chi fosse, e lei, fiera ma un po’ intimorita mi disse che era la figlia di (…..), uno dei principali protagonisti della tangentopoli isolana. A quel punto l’accolsi con un sorriso e un abbraccio e lei sorrise felice, ma da suo sguardo, dalla sua timidezza, capii quanta sofferenza avevano vissuto i famigliari, e soprattutto i figli. Quel che resta di Tangentopoli, a distanza di 30 anni, è un paese ancora oggi diviso a metà tra giustizialisti e garantisti, che non potrà mai essere “normale” fino a quando non ci sarà una giustizia sana.

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