IL COMMENTO Turismo e sviluppo senza progresso
Nei giorni scorsi, in occasione dell’ISCHIA INTERNATIONAL SCHOOL FESTIVAL 2023, ho avuto modo di scambiare alcune riflessioni con Maurizio Gabbana (fratello del Gabbana della moda, con Dolce, e fotografo della casa stilistica per 25 anni). Maurizio è stato chiamato da Giovanni D’Amico, animatore del Festival di Moda, Danza e Musica delle scuole di tali settori, per un book fotografico sulle sfilate di moda delle studentesse e studenti, con gli abiti da loro ideati e confezionati. Maurizio Gabbana sta facendo, in alta Italia, interessanti esperimenti, negli istituti scolastici, sulla fotografia e ha in mente, in particolare, una coniugazione tra poesia e fotografia. Con lui ho parlato di un libro che a Ischia pochi possiedono e meno ancora hanno letto e visto le foto in esso pubblicate, del grande fotografo francese, Philippe Séclier. Il libro è “La lunga strada di sabbia” e contiene la prima versione di un lungo reportage di viaggio lungo le coste italiane, con Fiat 1100, che Pier Paolo Pasolini fece nel 1959 per la rivista “Successo”. E tra le coste e le spiagge italiane visitate e commentate da Pasolini, c’era Ischia in bella evidenza. Scrive Séclier, nell’introduzione al libro: “A Ischia vado all’Albergo Savoia (2001 n.d.r.) dove Pasolini ha soggiornato. L’hotel è in abbandono. Al primo piano, quasi completamente distrutto, vedo una chiave ancora inserita nella serratura di una porta aperta su una stanzetta tutta sfasciata, con i mobili polverosi, dove una valigia e un mucchio di manoscritti sparsi sul pavimento sembrano aspettare me”. L’ex villa Mele, poi Albergo Savoia e poi ancora villa Notte, dopo che Séclier vi aveva fatto visita nel 2001, trovando la struttura in condizione di abbandono, quell’ex Albergo fu – qualche anno dopo – acquisito dalla proprietà del vicino Elma Park Hotel. “Il senso di pace, di avventura che mi dà l’essere in questo albergo nell’interno di Ischia, è una di quelle cose che ormai la vita dà così raramente. E’ un posto dove mi sembra di essere sempre stato. Mi sembra il Friuli, la Carnia, l’Emilia” scrisse nel reportage Pier Paolo Pasolini.
Non sapeva, all’epoca, che il Friuli avrebbe avuto il terremoto del 1976 (chiamato Orcolat e cioè Orcaccio in lingua friulana), che Casamicciola sarebbe stata devastata, tra il 2017 e il 2022, da terremoti e alluvioni e che l’Emilia Romagna, a maggio 2023,sarebbe stata invasa dalle acque straripate dai fiumi in piena, mietendo vittime e provocando danni enormi all’agricoltura e agli abitati. Lui cercava la pace e il senso di avventura e pensava di averli trovati in Friuli, in Emilia e a Casamicciola, nei pressi di piazza Bagni. Ma era, in questi luoghi, solo “la quiete prima della tempesta”. A Séclier, l’attrice e cugina di Pasolini, Graziella Chiarcossi, consegnò, nel 2005, il dattiloscritto originale di La lunga strada di sabbia, insieme a due pagine scritte a mano dal grande intellettuale, su fogli intestati dell’Albergo Savoia. Ciò premesso, cito un interessante articolo scritto, pochi giorni fa, dal saggista e critico cinematografico Goffredo Fofi, per il Corriere della Sera: “Turismo oggi: sviluppo privo di ogni traccia di progresso”, che – guarda caso – era il giudizio netto e preveggente di Pasolini. Fofi ci dà notizia di un interessante libro di Alex Giuzio, giornalista specializzato in economia turistica, di critica del turismo, che parte proprio da quel reportage di Pasolini. Giuzio analizza il fenomeno moderno del turismo massificato, delle ondate in branchi, per lo più organizzati, e di epidermica esplorazione del mondo. Napoli, ad esempio, è in questo periodo letteralmente invasa da un “turismo cavalletta”, che sta sicuramente portando ossigeno economico ma che, nel contempo, sta creando notevoli problemi alla città. Scrive Giuzio: “Non potendo più nascondere la deriva catastrofica del turismo di massa, i rappresentanti del potere politico-finanziario, legati a questo settore, hanno cominciato a rifugiarsi dietro la retorica degli investimenti verso un < turismo sostenibile> che è in realtà un concetto quanto mai ingannevole: se è forse vero che alcuni singoli progetti turistici possono essere sostenibili, uno sviluppo sostenibile globale, basato esclusivamente sul turismo, è semplicemente impossibile per la natura < mondofaga> di quella attività”.
Insomma, non c’è parte del mondo in cui – prima o poi – non arrivino le orde turistiche a turbare e sconvolgere gli equilibri naturali e, soprattutto, antropologici dei contesti sociali. Singole realtà si possono salvare, qua e là, o perché preventivamente hanno creato “dissuasori” del turismo di massa o perché, una volta “depredati” dal turismo massificato, si sono saputi riconvertire prontamente per un riscatto socio-culturale. Ischia non ha saputo vedere per tempo l’orda turistica in arrivo; le rimane la possibilità di riconvertirsi e riscattarsi, recuperando un residuale valore di coesione sociale, di sensibilità della cittadinanza verso il Bene Comune, di riconciliazione con il proprio patrimonio naturale, storico e architettonico. Abbiamo avuto batoste durissime, come terremoti, frane e alluvioni, la cosa peggiore che ci potrebbe capitare (e purtroppo le premesse ci sono) è di mettere la “polvere sotto il tappeto” e puntare tutto sulle campagne propagandistiche “camuflage” ovvero di copertura degli inestetismi. Quello di cui certamente non abbiamo bisogno è “ mentire”.
Una cosa è combattere la disinformazione (come ad esempio che l’abusivismo sia stato la causa prima dei morti nell’alluvione) altro è nascondere i nostri errori, i nostri abusi, i nostri egoismi e l’ingorda corsa ad un arricchimento privo di qualsiasi scrupolo etico. Pasolini, nel reportage su Ischia, cita un incontro, mentre aspettava il “pullmàn” ( come pronunciamo noi ischitani) con un giovane schiavo del lavoro, venuto a Sant’Angelo per lavorare in albergo in qualità di cameriere. L’albergo aveva bisogno di un demì-chef , mentre il giovane era commis. Lo fanno lavorare lo stesso per un’intera giornata e poi non gli danno nemmeno una lira. Alle proteste del lavoratore, gli offrono “’nu poco ‘e pesce”. Prima di prendere il “pulmàn” Pasolini gli regala un po’ di soldi. Nel salutare il poeta, il giovane alza le mani ed esclama: “ io nun saccio niente!”. Scrive Pasolini: “ Lui resta là, fermo, con le braccia al cielo, a isolarsi, a proclamarsi ignaro, innocente, inerme, muto, cieco: “io nun saccio niente!”. Ecco che cosa dobbiamo evitare: di dire “io nun saccio niente”, rimanendo inermi, muti e ciechi. E’ l’ora, per Ischia e per gli ischitani, di reagire e ribaltare tutto ciò che non è più tollerabile.