IL COMMENTO Un luogo non luogo

DI GIUSEPPE LUONGO
Un luogo non luogo è un sito senz’anima. Chi vive in questo luogo non lascia traccia della sua presenza; esiste o non esiste è lo stesso. Il luogo non ha più una funzione storica per la sua posizione geografica, la morfologia del sito, la natura delle rocce, il clima, il chiasso, il sole, l’ombra, i vicini, i visitatori, i ragazzi che giocano, le processioni, i funerali, domina il vuoto. Abbiamo reso tutti i luoghi uguali con filari di parallelepipedi mostruosi che sembrano tane per roditori e poi sogniamo spiagge e sole in lontani paradisi terrestri, quando ci abitavamo e li abbiamo distrutti. Bastava guardare verso occidente sul mare azzurro increspato da un vento teso che rallegrava gli appassionati di vela per poter prevedere se il giorno dopo sarebbe stato una bella giornata. Eravamo in equilibrio con le brezze di terra e di mare e organizzavamo i nostri tempi con questi ritmi e con la nostra capacità a resistere alla fatica del tempo libero. Sono venuti meno tanti attributi positivi della comunità, lentamente ma inesorabilmente, così è scomparsa la struttura sociale che ci teneva insieme nonostante le spiccate diversità dei componenti. Sono cresciute le conoscenze dei singoli ma è venuta meno la conoscenza collettiva della comunità che lascia traccia nella storia. Sono venuti meno i riferimenti forti e così sono mancati i contributi dei singoli per la crescita collettiva; in breve, si è svuotata la rappresentanza culturale della comunità.
Questa è la condizione ottimale per la gestione del potere da parte dei decisori politici, eletti democraticamente? Una comunità in crisi senza che i segni siano evidenti può collassare in un tempo brevissimo, spazzando via dal suo insediamento secolare gli abitanti con l’obiettivo mascherato della necessità di una collocazione più sicura, quando il territorio è squassato da terremoti, inondazioni, frane, eruzioni. La sicurezza non si raggiunge con la prevenzione, troppo costosa e vincolante per lo sviluppo, ma con lo svuotamento e la destinazione del sito ad una comunità forse più evoluta, ma economicamente meglio attrezzata. Questo è il modello perseguito per la sostituzione sociale nello sviluppo delle nostre città con l’espulsione dai centri storici e la collocazione in periferia. E quando mancano spazi in periferia il piano prevede le nuove città, come si affermava al tempo del recente terremoto dell’Aquila. Tra i grandi colpevoli vi sono gli urbanisti che spesso si sono impegnati nella realizzazione di progetti avveniristici, ma privi di quegli elementi che rendono organica ed equilibrata la vita nel nuovo insediamento. Ironia della storia, il nuovo sarà più vecchio dell’antico, a volte una vera e propria corte dei miracoli, dove il degrado e la violenza sono gli elementi emergenti. Quando abbiamo riflettuto sullo sviluppo delle città, e nel caso dei disastri naturali questo è un tema ricorrente, è venuta meno un’elaborazione approfondita sulle scelte urbanistiche. L’esperienza ha mostrato che la scelta di aggiungere alla città un nuovo insediamento alla sua periferia non può che produrre ulteriore caos ad un sistema urbano già caotico. Senza andare lontano, a Pozzuoli si ha un doppio esempio di delocalizzazione per le due crisi bradisismiche degli anni ’70 e ’80; la prima al Rione Toiano, la seconda a Monterusciello. La città che aveva il suo centro al Porto, si è sviluppata verso occidente e la città che ne è venuta fuori è complessa da un punto di vista della morfologia. Con modifiche così profonde nell’assetto urbanistico, dove non emerge l’anima della comunità che l’abita, vi è una separazione tra l’abitato e gli abitanti. In queste condizioni non si rileva quale possa essere la funzione di una tale città.
Se il Bradisismo ha creato problemi alla comunità flegrea in tempi recenti e continua con la crisi attuale, nell’isola d’Ischia in questi anni il dissesto idrogeologico e il terremoto del 21 agosto 2017 hanno messo a dura prova una parte della comunità dell’Isola, dove si dibatte sul Piano di Ricostruzione preparato dall’Assessorato competente della Regione,dove l’Assessore è un affermato professore del Dipartimento di Architettura della Università Federico II, e sul Piano Paesaggistico. Il tempo non è un parametro insignificante nella realizzazione della ricostruzione, come potrebbe apparire nel verificare la presenza nella parte alta di Casamicciola dei segnali dell’abbandono dell’area terremotata, senza una significativa traccia della ripresa. Non sottovalutiamo la complessità degli interventi per la ricostruzione come ci ricorda il Commissario Straordinario On. Legnini, ma il tempo trascorso ad oggi dall’evento sismico e dalla disastrosa colata di fango, erode la resilienza anche di una comunità come quella di Ischia, preparata dalla storia ai disastri naturali.