LE OPINIONI

IL COMMENTO Un paese debole che cammina sul filo del rasoio

L’Italia cammina sul filo del rasoio rischiando da tempo la propria sicurezza economica e sociale, incurante della salute della propria economia, vivendo al di fuori di regole e cognizioni che necessariamente un paese tradizionalmente presente nell’agone della competizione di mercato deve assolutamente considerare. Ma bisogna ammetterlo, sinora tutto va avanti come se nulla fosse. Nel paese si parla d’altro. Bastano poche informazioni false provenienti da piattaforme digitali occulte autoctone o straniere, e il depistaggio rispetto alla consapevolezza della condizione economica esplosiva in cui ci troviamo viene messa in second’ordine. Fa male constatarlo, ma questa situazione si trascina da molto tempo, e non viene corretta dalla politica, intenta com’è alla continua ricerca del consenso offrendo all’elettorato l’esatto contrario di quello che occorre. Tutti i fattori economici sono in rosso fuoco da molti anni, ed anziché curarli con politiche virtuose per crescere il reddito nazionale, sul fuoco, generalmente, si continua a buttare la benzina con sprechi dello Stato, delle Regioni, dei comuni, con relative baracche e burattini. Fatto sta che il rapporto debito pubblico/Pil ha raggiunto la punta record del 160%, mentre la produzione industriale si è progressivamente indebolita a causa di condizioni dei fattori di sistema in gran parte sottosopra, a partire da tasse incompatibili per un paese Impegnato nel regime di concorrenza internazionale, di costo per unità di prodotto al di fuori di ogni parametro di paese Ocse, di spesa pubblica pressoché piegata alla improduttività.

Insomma se l’Italia non avesse ancora un apparato industriale e di servizi importanti e fino a qualche tempo fa un avanzo primario positivo, ci avrebbero già da tempo imposto la ‘ristrutturazione’ del nostro debito. In questo momento però ci troviamo nell’occhio del ciclone: la pandemia ci ha indeboliti ancor più di come lo eravamo, ed in alcuni ambienti finanziari internazionali e cancellerie europee c’è la preoccupazione di un possibile terremoto italiano e delle sue ricadute sulle altre economie. Per questa ragione in più d’uno, sostiene la necessità di ristrutturare il drasticamente il debito italico, sancito magari da una conferenza internazionale, per arginare il più possibile le rovine che ne potrebbero derivare. Una soluzione del genere, seppur giustificabile sul piano della scuola economica, scatenerebbe, ad esempio una tempesta distruttrice del sistema bancario nazionale, il quale detiene nella propria pancia almeno 700 miliardi di titoli del debito. Dunque l’effetto che ne deriverebbe rischiererebbe di diventare l’equivalente di una cura molto potente, ma con effetti pericolosamente debilitanti sul corpo economico e produttivo italiano, già fortemente devastato, e peraltro senza avere la certezza di riuscire ad ottenere il risultato sperato. Ecco perché la migliore soluzione non può che essere quella di concorrere tutti a promuovere un nuovo clima culturale e morale, orientato a prendere coscienza collettiva della nostra condizione, utile a decidere efficaci politiche economiche virtuose di sviluppo.

Infatti senza riforme immediate la sorte d’Italia è segnata; basterà che nei prossimi giorni e mesi, le scelte siano orientate ancora una volta alle solite politiche stravaganti, e ci ritroveremo ben presto come è accaduto alla Grecia con l’obbligo della ristrutturazione del debito pubblico, con guai annessi e connessi. Arrivati a questo punto, se potenzialmente le condizioni del cambiamento di mentalità sono in atto, lo capiremo dal linguaggio e dalle indicazioni che si daranno già agli Stati Generali che il governo sta tenendo in questi giorni. In quel importante consesso, dove la classe dirigente si esprimerà sul da farsi, si capirà subito che clima avremo. Gli analisti economici e politici infatti lo capiranno se ci dovessero essere idee chiare su come qualificare la spesa pubblica, su quali settori si intenderà investire, se si dovesse annunciare che le tasse per gli investimenti potranno essere ridotti sensibilmente. Un vecchio adagio dice: “Il bel giorno si vede di mattina presto”. Gli Stati Generali che si tennero a Versailles nel 1789, voluti da Luigi XVI aveva il proposito di sanare la condizione di potenziale bancarotta in cui versava la Francia, ma mentre l’economista più autorevole dell’epoca il ginevrino Necker, reclutato dal “Capeto”, raccomandava di cessare gli sprechi e di ridurre le tasse, il re propugnava l’aumento delle tasse, rovinando ancor più il regno. Sappiamo come andò a finire. Gli Stati Generali italiani potrebbero spingere alcuni poteri economici forti internazionali a voler imporre la ristrutturazione del debito, oppure se si dovessero annunciare riforme concrete e chiare, a dare ancora fiducia nel “calabrone” Italia.

* GIA’ SEGRETARIO GENERALE DELLA CISL

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