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Nessuna tentata estorsione, assolti gli affittuari di un albergo foriano

Si è chiuso con una completa assoluzione il processo per tentata estorsione celebrato nei confronti di due coniugi, gestori di una struttura alberghiera di Forio. Una vicenda durata un decennio, e per la quale era stata addirittura chiesta una pena di un anno e sei mesi di reclusione per i due imputati, oltre a tremila euro di multa. Tuttavia, dopo la discussione finale delle parti, il giudice Alberto Capuano ha dato lettura del dispositivo applicando l’articolo 530 del codice di procedura penale, mandando assolti i due “perché il fatto non sussiste”. Anzi, il quadro accusatorio è stato in un certo senso addirittura ribaltato, perché il magistrato ha disposto l’invio degli atti all’ufficio del pubblico ministero per valutare eventuali ipotesi di reato a carico di colui che accusò i due coniugi di tentata estorsione. Questi ultimi, rappresentati e difesi dall’avvocato Michelangelo Morgera, hanno visto riconosciuta la propria innocenza rispetto a un capo d’imputazione molto pesante.

Claudia Mignoli nel 2006 aveva sottoscritto un contratto d’affitto d’azienda per un complesso immobiliare adibito ad albergo, l’Hotel Punto Azzurro, di proprietà del signor Sebastiano Balestriere. Per circa due anni le cose filarono abbastanza lisce, finché nel 2008 cominciarono i problemi tra i firmatari dell’accordo: lucchetti e serrature modificate ad impedire l’accesso alla struttura, ritrovamenti di impianti danneggiati, accuse reciproche, fino alla denuncia del proprietario nei confronti della signora Mignoli e del marito Luciano Iaccarino. Il titolare sosteneva di aver inviato la disdetta del contratto prima della scadenza che avrebbe provocato il tacito rinnovo dell’accordo per un altro anno, senza però ottenere il rilascio della struttura alberghiera. Proposto il ricorso  in sede giudiziaria per vedersi rilasciare l’azienda, parallelamente il proprietario come già accennato sporse denuncia contro i due coniugi, sostenendo di essere stato molestato nel possesso di quelle unità immobiliari che non erano state ricomprese nel fitto d’azienda. I presunti episodi di molestie sarebbero poi culminati nella circostanza che diede origine alla denuncia: dopo l’ennesimo cambio di serrature, il signor Balestriere riferì di essere stato minacciato dal signor Iaccarino, con frasi del tipo “Te ne devi andare altrimenti ti getto nella cava”, “Siete gentaglia”, mentre la moglie avrebbe detto: “Se volete che ce ne andiamo, ci dovete dare 70mila euro”.

Proprio in relazione a quest’ultima espressione si è basato il processo, con l’ accusa di tentata estorsione. Durante il non breve procedimento, durato oltre sei anni, la difesa sostenuta dall’avvocato Morgera ha cercato di dimostrare la completa estraneità degli imputati alle durissime accuse. In particolare, come emerso dalle deposizioni delle parti sostanziali e dalla copiosa documentazione prodotta dalla difesa, lo sfratto per morosità invocato dal proprietario della struttura non aveva ragion d’essere, in quanto la signora Mignoli pagava annualmente il canone di 15mila euro (circostanza provata documentalmente in giudizio con la consegna dei relativi assegni) mentre altri 55mila euro venivano versati a parte, in virtù di una scrittura privata voluta dal proprietario.

Secondo i coniugi, la fragile armonia venne a cadere quando il proprietario dell’immobile subì un pignoramento presso terzi presso il Tribunale da parte del signor Giuseppe Maddalena. Costui intendeva dunque pignorare il canone “formale” (quello da 15mila euro) che la signora Mignoli avrebbe dovuto versare al titolare. Quest’ultimo, pur di non pagare il proprio creditore, avrebbe dunque inviato la lettera di disdetta del contratto di fitto. La signora Mignoli impugnò l’atto, oltre ad aver dovuto versare al terzo creditori il canone annuo relativo al 2009. Sorse  un contenzioso civile, durante il quale le relazioni tra affittuari e proprietario si esacerbarono in maniera sempre maggiore: oltre ai citati episodi dei lucchetti sostituiti, i coniugi lamentarono anche la sostituzione delle serrature delle camere dell’albergo oltre al danneggiamento delle unità esterne degli impianti di aria condizionata.

Questi e altri episodi sono stati illustrati durante il dibattimento, fino alla discussione finale delle parti svoltasi ieri mattina al cospetto del giudice Capuano. Alla richiesta di condanna a un anno e sei mesi avanzata dall’accusa, l’avvocato Michelangelo Morgera ha risposto ricordando le contraddizioni più volte emerse durante l’esame testimoniale del proprietario dell’immobile. Secondo il penalista, la denuncia che ha dato origine al processo era un atto puramente strumentale, mentre gli imputati avevano reso una versione dei fatti ben più convincente e verosimile, ma soprattutto ampiamente supportata dalla copiosa documentazione depositata durante tutto l’arco del dibattimento, tra cui ben cinque denunce querele sporte contro il titolare della struttura, ma anche il contratto di fitto d’azienda, i già citati assegni con i quali la signora Mignoli aveva regolarmente versato i canoni annui, e il pignoramento presso terzi a favore del creditore Maddalena. La decisione del giudice ha evidentemente accolto in pieno la prospettazione della linea difensiva, considerando anche l’ordine di inviare gli atti al pm affinché sia valutata l’esistenza di eventuali profili di reato da parte del denunciante. Per conoscere nel dettaglio le motivazioni della sentenza occorrerà invece attendere alcune settimane.

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Francesco Ferrandino

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