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Il lavoro da casa frenerà l’emigrazione dei talenti?

di Franco Borgogna

 

C’è una tendenza generalizzata a drammatizzare la fuga da Ischia dei giovani diplomati e laureati verso il centro-nord Italia, verso l’Europa o – addirittura – gli Stati Uniti o l’Australia. Al contrario, considero questa forma di emigrazione un fenomeno abbastanza logico, atteso che nell’isola è difficile un incrocio di mercato tra la forte offerta di laureati e una scarsa domanda di essi. Non è detto, naturalmente, che i giovani, dopo aver maturato importanti esperienze fuori dell’isola, non possano farvi ritorno, apportando idee nuove per attività imprenditoriali, per nuove professioni o servizi innovativi. Certo, resta il rammarico della famiglia di origine del “ distacco”; resta il rammarico, da parte dei giovani, di dover rinunciare alle bellezze, al clima, al mare dell’isola. Ma il mondo globalizzato, a fronte dell’apertura di nuovi orizzonti e nuove opportunità, richiede qualche sacrificio. E devo dire che, tranne inevitabili eccezioni, i nostri giovani stanno affrontando il “ distacco” con sufficiente piglio e coraggio. C’è però da porsi un interrogativo, in un mondo lavorativo in evoluzione, che non richiede più, necessariamente, la presenza fisica sul posto di lavoro: un isolano può sperare di lavorare “ fuori” restando “ dentro” l’isola? In America ci sono casi di lavoratori che stanno stabilmente fuori della propria azienda e ricorrono al telelavoro. Può essere così anche in Europa, in Italia? Non siamo ancora all’America, tuttavia, citiamo il caso di Telecom che ha dato a 18mila dipendenti delle città di Milano,Torino, Roma, Bologna e Palermo la possibilità di lavorare da casa per un paio di giorni alla settimana. Telecom stima, in tal modo, di aumentare la produttività del 5-6% e di risparmiare circa 200 milioni di euro. Si tenga presente che il “lavoro agile” o smart working è una novità che il Governo Renzi vuole disciplinare con un apposito disegno di legge. E’ una versione leggera del telelavoro. Si ipotizza, comunque, una postazione fissa e controllabile, fuori sede. In Emilia Romagna, regione che conosco bene, non solo grandi banche e grandi industrie praticano già lo smart working, ma anche alcune piccole e medie imprese, dalla vista lunga. Intesa S.Paolo consente a buona parte dei suoi dipendenti di lavorare fino a 8 giorni mensili fuori sede e, quando si vuole, di andare a lavorare in appositi hub regionali, creati all’uopo e basati sul coworking. Anche le Università di Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ferrara, Parma consentono ad alcune figure aziendali di lavorare da lontano, controllati da una sorta di marcatempo online. Anche Credem, Alstom, Unicredit, Barilla, Tetra Pak, Prati Group ed altre ritengono che una restituzione di libertà ai lavoratori contribuisca a migliorare la qualità della vita e di conseguenza il rendimento. Secondo un censimento del Politecnico di Milano, il 5% delle piccole e medie imprese in Italia pratica lo smart working e ben il 17% delle grandi imprese. Per riassumere, i vantaggi di una diffusione del lavoro leggero, sono: aumento della produttività, riduzione dell’assenteismo, riduzione dell’assenteismo, riduzione dei costi immobiliari e spazi fisici, riduzione delle emissioni di CO2 e del traffico per minori spostamenti. Tornando ai giovani isolani, al momento appare irrealistico ipotizzare un ricorso al lavoro leggero, se legato a datori extra isolani, se non per qualche banca. Il motivo è semplice, per la debolezza del tessuto industriale di Napoli e della Campania e per le distanze notevoli dell’isola dai maggiori distretti industriali del centro-nord. Impensabile che un giovane isolano che abbia trovato lavoro a Milano, possa ritornare per qualche giorno al mese ad Ischia per poi riprendere in sede il ritmo normale. Se si ha la fortuna di trovare un’occupazione a breve-medio raggio (per esempio un ministero o ente pubblico a Roma) allora sì che diventa possibile un’ipotesi di  lavoro leggero con frequenti interventi da casa e dall’isola. Per non parlare delle possibilità che offrirebbe una metropoli come Napoli nell’ipotesi di uno sviluppo dei servizi nel terziario avanzato, come meriterebbe la città partenopea, o dell’industria leggera, come fu la gloriosa Olivetti di Pozzuoli. Questi sono gli svantaggi di un’isola che, per giunta, è Napoli-dipendente. Intanto è paradossale che ai giovani isolani occupati nel centro-nord Italia e che per aspetti logistici e pratici prendono la residenza altrove, non venga riconosciuto nemmeno il diritto alla riduzione del biglietto di trasporto marittimo, in quanto nativi isolani aventi la famiglia di origine residente ad Ischia. Li vogliamo vicini i nostri figli e i nostri nipoti, ma tutto contribuisce e trama per tenerli lontani.

 

 

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