Il martirio di Vito non è una festa come le altre

DI DON CRISTIAN SOLMONESE
Per qualcuno potrà essere un’occasione come un’altra per mettere in scena qualche buona sagra, con magari l’aggiunta di una processione con banda e fuochi. Ma sarebbe bello se ci fermassimo un istante a dirci ad alta voce: «si può far festa in un giorno in cui si fa memoria di un morto ammazzato?». Il cristianesimo ci ha abituati a guardare con occhi diversi il martirio fino a dimenticarci quanto possa essere paradossale mettere la parola “festa” accanto a un omicidio violento. Eppure è una festa, e lo è perché quando capitano certe tragedie ci sembra che i vincitori siano gli uccisori e i vinti gli uccisi, ma con il tempo ci si accorge che i veri vincitori sono quelli che sembra abbiano perso, e le vere vittime (di loro stessi innanzitutto) sono proprio gli assassini. Che fine avranno fatto Diocleziano, suo padre Ila? Saranno stati felici dopo la morte di Vito? È facile fomentare un fragile perché compia stragi, ma è difficile dare la propria vita perché gli altri vivano. Gesù lo ha fatto, e con lui una schiera immensa di altri martiri. Ritorna la festa di un ragazzo così. Ritorna la festa di un morto ammazzato che rimane più vivo dei suoi persecutori sopravvissuti. Ritorna la festa di un testimone che continua a predicare con un Vangelo fatto dono. Ritorna la festa di un santo che ha perso la testa per Dio.
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