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Licenziato dall’Eav, la Corte d’Appello conferma la “mazzata”

Il provvedimento è stato emesso a carico di G.C., che adesso dovrà ricorrere in Cassazione per giocarsi l’ultima carta per il reintegro. Decisivo l’utilizzo improprio di una serie di permessi legati ai benefici della ex legge 104. L’azienda utilizzò anche investigatori privati per monitorare i spostamenti di tre lavoratori

Una sola certezza arriva da una decisione dell’autorità giudiziaria: servirà la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione per scrivere la parola fine a una vicenda che vede interessati tre dipendenti dell’Eav che erano stati licenziati dall’azienda per una serie di presunte irregolarità. Questo perché, come spiegheremo a breve, sono arrivate pronunce diverse per quanto la contestazione e l’addebito mosso sia praticamente lo stesso. La Corte di Appello di Napoliin funzione di Giudice del Lavoro, andando a ribaltare quella che era stata la decisione del Tribunale di Napoli sullo stesso caso, ha confermato la legittimità del licenziamento di un dipendente che prestava servizio all’interno del deposito di via Michele Mazzella. Si tratta di G.C., a dare notizia del pronunciamento dei giudici è stata la stessa azienda per il tramite di una nota diffusa e firmata dal presidente del consiglio d’amministrazione Umberto De Gregorio. Secondo quanto riporta il comunicato in questione, G.C. – nonostante fosse in permesso e non al lavoro per i benefici previsti dalla ex legge 104 – non si era recato presso la casa della persona anziana che avrebbe dovuto assistere, venendo così meno agli obblighi “di correttezza, diligenza e lealtà”.

Sempre nella nota griffate De Gregorio si legge che “La Corte di Appello con una importante decisione, ha ritenuto di dover disapplicare, al caso concreto, le disposizioni del Regio Decreto 148 del 1931, concepite durante il regime fascista, osservando che per quanto riguarda gli autoferrotranvieri, le garanzie procedimentali previste dallo Statuto dei Lavoratori e pienamente rispettate dall’Azienda, che aveva offerto al lavoratore ben tre diverse occasioni per giustificare il proprio comportamento, fossero sufficienti ad evitare la preventiva valutazione di un Consiglio di Disciplina, previsto appunto dalla norme, ormai ampiamente superate, del 1931”. Lo stesso De Gregorio ha poi dichiarato alla stampa: “Siamo estremamente soddisfatti perché a fronte delle non semplici scelte effettuate dall’Azienda nell’ambito della gestione e riorganizzazione del personale, volta a contrastare fenomeni negativi quali l’assenteismo ovvero la repressione di gravissimi fenomeni di malcostume a danno dei cittadini e degli utenti dei servizio pubblico, la Corte di Appello ha sancito l’inapplicabilità della disciplina, ormai vetusta e ampiamente superata, del Regio Decreto del 1931, per riaffermare la legittimità del comportamento aziendale che aveva già doverosamente riconosciuto al lavoratore tutte le garanzie previste dallo Statuto dei diritti dei lavoratori».

«Con questa sentenza – ha detto l’avvocato difensore dell’Ente Autonomo Vonturno, il professore Marcello D’Aponte – si fa definitivamente chiarezza in ordine al superamento delle norme disciplinari del R.D. 148/1931, che non hanno più, in concreto, alcun senso, in quanto rappresentavano uno strumento di anacronistico privilegio dei lavoratori del settore autoferrotranviario a fronte delle altre categorie dei lavoratori, in palese dispregio e violazione della Costituzione e della normativa di carattere generale in materia disciplinare, sancita dall’art. 7 della l. 300 del 1970, che costituisce la disposizione generale di riferimento in materia per tutte le categorie di lavoratori, senza eccezioni di sorta».

Dicevamo che toccherà alla Cassazione fare definitivamente chiarezza e proviamo a spiegare il perché. Il provvedimento di licenziamento, come i più attenti lettori e osservatori dei fatti di casa nostra ricorderanno, era stato elevato a carico di tre dipendenti della società Eav. Addirittura, per riuscire a dimostrare in maniera incontestabile che i lavoratori utilizzavano i permessi per finalità diverse da quelle consentite dalla legge, assoldarono degli investigatori privati, veri e propri detective che documentarono con una serie di riscontri le ragioni dell’azienda che per questo motivo decise di interrompere il rapporto di lavoro. Ebbene, mentre per due unità la Corte di Appello ha deciso il reintegro, per il terzo tale soluzione è stata negata. Quindi la Suprema Corte dovrà dirimere il contrasto tra i giudicati. Nello specifico motivo principale del ricorso fu costituito dall’asserita nullità del licenziamento in quanto l’azienda aveva violato le regole del procedimento disciplinare. In sostanza non era mai stata comunicata al lavoratore alcuna relazione o nota che documentasse la presunta infrazione. Gli altri motivi riguardavano invece il merito della vicenda: la difesa contestava la conduzione delle investigazioni private e la validità di ciò che era emerso. Insomma, una linea difensiva che era servita a garantire nuovamente il posto di lavoro a due lavoratori, ma che non ha funzionato per il terzo. Ecco perché l’ardua sentenza, o se preferite l’ultima parola, spetterà alla Suprema Corte. Ma nel frattempo, per un dipendente Eav la mazzata è di quelle davvero difficili da assorbire.

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