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Il monito di Carmine Barile: «Ischia sta reggendo al virus, ma l’emergenza non è finita»

Il medico ischitano fa il punto sulla situazione isolana nella lotta di contenimento al covid19

Dottore, secondo Lei è da interpretare positivamente il fatto che finora sull’isola i casi di contagio siano sempre stati “circoscritti” e facilmente isolabili, e che dunque non siano nati veri e propri focolai?

«Il discorso è del tutto relativo, visto che all’inizio i tamponi non venivano effettuati. Una valutazione compiuta la potrebbero dare soltanto gli epidemiologi, mentre noi siamo medici “di frontiera”, che stiamo facendo da filtro in maniera tale che l’ospedale non si sovraccarichi. Il Covid19 sta comunque “viaggiando” anche se forse è meno aggressivo di quello che spesso sentiamo dire. Io ho alcuni pazienti anziani positivi al virus ma del tutto asintomatici, così come ho pazienti che da tempo sono guariti e per i quali il tampone risulta positivo. Pur trattandosi di una nuova metodologia di lavoro, e con una sola persona deceduta a causa del virus (stando a quel che si sa), va detto che da gennaio a oggi non si sono verificati sull’isola picchi di mortalità. Ho fatto una statistica sugli ultimi anni sui dati anagrafici dell’Ospedale, del comune di Ischia e del comune di Barano, e in un certo senso è un campanello d’allarme visto che stiamo trovando comunque tutti questi positivi, vuol dire che il virus “cammina”, ma si sta mantenendo sotto traccia. Se i tamponi fossero cominciati prima, oggi avremmo una mappatura molto più dettagliata, senza contare che per il momento i sistemi informatici non sono ancora del tutto “allineati”. In ogni caso direi di ringraziare Iddio per come l’emergenza si sta dipanando sull’isola».

A proposito di tamponi, in alcuni casi è emerso che il primo esito era sbagliato.

«Con alcuni colleghi avevamo ipotizzato il picco del contagio tra il 10 e il 15 aprile. Finora gli isolani si sono comportati bene, ma non dobbiamo abbassare la guardia»

«Beh, l’analisi dei tamponi non è una scienza esatta. Anche io li faccio fare due volte pure per una tonsillite. Quando il virus viene trovato, vuol dire che c’è, ma quando non lo si trova, non vuol dire che non ci sia. Inoltre la casistica è varia: un tampone può risultare negativo, ma dopo due giorni la mucosa può dilatarsi e la presenza del virus viene rilevata con un nuovo tampone. Bisogna rimanere a casa, evitare che i giovanissimi siano a contatto con i parenti anziani. Anche all’interno di abitazioni condominiali, i vicini di casa devono rispettare le distanze. Quindi ribadisco, ringraziando il Signore ma anche San Giovan Giuseppe della Croce patrono di Ischia, finora ci sta andando bene. Sempre se il virus qui al sud sia lo stesso che ha fatto tutti quei danni al Nord…».

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In che senso?

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«Il dubbio viene quando si guarda alla grandissima differenza degli effetti tra il nord e il sud: sono tanti i fattori e le variabili che dovranno essere debitamente studiate. Imprevedibilità, differente capacità di fronteggiarlo, inquinamento, clima diverso, o magari è un fatto di tipo genetico? Ecco che è necessario uno studio da parte di epidemiologi qualificati per interpretare tale diversità di effetti. A Ischia abbiamo l’ospedale vuoto, e in un certo senso l’emergenza è questa: ho pazienti con fratture che non vogliono andare in ospedale per timore del virus, e così vari altri. Eppure non si può sottostimare il pericolo di tante altre patologie, che vanno curate in ospedale, ma come ho detto molti pazienti non vogliono recarsi all’ospedale».

Le problematiche sono tante, connesse, oltre che complesse.

«Questa pandemia è una vera e propria lezione che ci farà fare un passo avanti enorme, avendo messo in luce le criticità della nostra sanità. E ci farà capire l’importanza della medicina territoriale, mentre anche l’eccessiva burocrazia dovrà essere messa in discussione»

«Proprio così. L’emergenza Covid19 sta mettendo a nudo la fragilità del sistema, che logicamente è legata alla cattiva gestione degli ultimi venti anni, e alla chiusura da parte dello Stato del Commissariamento. E questo lo dico anche da politico. Di conseguenza ci ritroviamo con personale insufficiente e sotto pressione, quindi meno male che non c’è un’emergenza come quella lombarda. E poi, mascherine introvabili, persino per i medici ospedalieri».

In una realtà circoscritta come l’isola, se e quando si potrà tornare a una sorta di normalità?

«Secondo i calcoli che ho fatto insieme ad amici e colleghi che hanno competenze di epidemiologia, il picco sarebbe dovuto arrivare tra il 10 e il 20 aprile. Probabilmente finora siamo stati bravi, intendo come popolazione isolana: siamo stati in casa, non sono arrivati visitatori dalla terraferma, e spero che per questo periodo le forze dell’ordine presidieranno i porti, per evitare che i “falsi” residenti arrivino in massa. Non dobbiamo abbassare la guardia».

Si parla molto di farmaci sperimentali. Crede che ve ne sia qualcuno che a breve abbia probabilità di essere utilizzato contro il Covid19?

«Diciamo innanzitutto che un po’ ovunque si stanno usando farmaci sperimentali. Per i miei pazienti che sono a casa con sintomatologia, io però non li sto trattando con i farmaci sperimentali, oppure li mando in ospedale chiamando personalmente il 118, assumendone la responsabilità, anche perché pur se volessi prescrivere tali farmaci, spesso non si trovano nelle farmacie, ma solo negli ospedali. Per quanto riguarda la possibilità che un determinato farmaco possa essere individuato a breve per una cura mirata contro il virus, ce ne sono, anche perché le Case farmaceutiche stanno lavorando senza sosta. Un’altra cosa importante credo sia l’individuazione precisa dell’Igg/igm, che fa capire se, quando e come il paziente è stato colpito dal virus, e quale titolo anticorpale ha il soggetto. Se riusciamo ad avere la disponibilità di test simili, potremo avere persone che sono state colpite in maniera asintomatica e che sono completamente guariti, magari con immunoglobuline alte, e che potrebbero essere utilizzate in ruoli a contatto col pubblico senza rischi, vista la loro immunità per almeno un anno».

Il dibattito sui test rapidi impazza. Secondo Lei si tratta di uno strumento valido?

«Sono ottimi per ottenere un primo screening. Naturalmente non sono affidabili al 100%,ma in attesa dell’esito dei tamponi (a proposito, pare che negli ultimi giorni si stiano velocizzando), possono essere utili per circoscrivere le aree di contagio, testando ad esempio le persone che sono state vicine a un soggetto poi risultato positivo. Naturalmente è sempre il medico che decide, che dispone, e che “legge” gli esiti: non si tratta certo di un test fai-da-te, anche se lo si può trovare in farmacia. In ogni caso, questa pandemia è una vera e propria lezione che ci farà fare un passo avanti enorme, avendo messo in luce le criticità della nostra sanità e della nostra medicina. E ci farà capire l’importanza della medicina territoriale, e in che misura abbia funzionato o meno nelle regioni settentrionali durante l’emergenza. E anche l’eccessiva burocrazia dovrà essere messa in discussione, con gli stucchevoli passaggi tra le varie autorità sanitarie e amministrative».

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