LE OPINIONI

Il porto d’Ischia doveva arrivare alle falde del montagnone

Il progetto originario di re Ferdinando di Borbone prevedeva la costruzione del Porto d’Ischia di dimensioni eccezionali. L’enorme costo e l’opposizione dell’ing. Quaranta fece sfumare l’opera grandiosa

Le ricerche storiche sulla nostra isola riservano sempre piacevoli sorprese, specie quando a “parlare” sono scartafacci autentici provenienti dall’archivio Borbonico di Pizzofalcone; un’istituzione napoletana preziosissima che nella sua missione filantropica e culturale pose in primo piano la raccolta di un vasto carteggio del Regno delle Due Sicilie, scongiurandone la dispersione e consentendo la ricostruzione storica di molti avvenimenti riguardanti anche la nostra isola.

Fra i faldoni che conservano i documenti di opere difensive, torri litorali, costruzioni di edifici civili, religiosi e militari dell’isola d’Ischia, abbiamo rinvenuto un prezioso progetto originario per la trasformazione del Lago d’Ischia in porto, ideato da re Ferdinando II nel 1852 ma mai realizzato per l’enorme costo dell’opera e per la decisa opposizione dell’ing. Camillo Quaranta, designato dal sovrano borbonico per la esecuzione del grandioso progetto marittimo.

Come più volte riferito da mons. Onofrio Buonocore, re Ferdinando trascorreva buona parte dell’estate nella “reggia” ischitana del protomedico delle Due Sicilie Francesco Buonocore. Quel mattino del 1852 il sovrano nel gettare uno sguardo distratto al sottostante lago, dove la Casa Regnante godeva privilegio di pesca e di caccia, ebbe una fulminea intuizione: perché non trasformare quella palude in un porto e consentire il comodo approdo dei vascelli evitando così fastidiosi traghettaggi con le barchette e, non ultimo, il pericolo di una improvvisa mareggiata molto insidiosa per la sicurezza dei velieri alla fonda?

Di queste idee –spesso un po’ balzane di re Ferdinando- erano ormai abituati i frequentatori della Corte, i progettisti reali, le maestranze napoletane e la stessa regina Maria Teresa d’Austria, che per quanto appartenente ad una delle più potenti Case Reali d’Europa, si manteneva terra, terra, forse per taccagneria, ma certamente per il fiero odio che covava nei confronti delle popolazioni meridionali . In realtà tutte le realizzazioni del marito –che tradivano una megalomania da guiness dei primati- non erano viste di buon occhio dalla regina, come ad esempio la grandiosa e celeberrima Reggia di Caserta, realizzata in una landa di pecorai, ma con la pretesa di gareggiare con il palazzo reale di Versaille!

Dunque il progetto del porto di Ischia, sulle prime, fu accolto da Maria Teresa con freddo scetticismo, come d’altra parte aveva avuto modo di palesare in occasione della costruzione dell’Acquedotto di Buceto e della strada “Borbonica” Casamicciola-Forio. Ma alla contrarietà della regina si erano aggiunti anche i dubbi dell’ingegnere Quaranta, designato dal re per condurre in…porto l’ardita realizzazione. In realtà il progettista aveva messo mano alle misurazioni, ai calcoli e ai disegni del novello porto e, dietro indicazioni del re, aveva perlustrato l’intero invaso del lago oltre all’area, a semicerchio, che si spingeva fino alle falde del Montagnone. Si trattava di superare un lievissimo dislivello degli orti retrostanti, demolire poche casette coloniche e dragare l’intero lago prima di tagliare l’isto sabbioso confinante con il mare.

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Un progetto faraonico che ad opera conclusa avrebbe portato il bacino portuale al doppio di quello attuale. Le idee di grandezza del re, ma anche la sua lungimiranza- considerato l’enorme sviluppo futuro dei traffici marittimi isolani- non si sarebbero rivelati effimeri e dannosi ma, al contrario, utilissimi per smaltire l’enorme carico commerciale e turistico dei tempi nostri ed evitare l’ignobile attacco della speculazione edilizia proprio nella piana della “Foce”, dove oggidì fanno “bella mostra” luride baracche e ferraglie varie sparse nel posto più incantevole del porto!

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A conti fatti, l’ingegnere Quaranta ebbe la meglio sulla volontà sovrana del megaporto. Milioni di ducati non poteva permetterselo nemmeno re Ferdinando, già alle prese con le enormi spese del Regno che gravavano sui poveri sudditi, torchiati a dovere con tasse e balzelli spaventosi!

Rinveniamo così il secondo progetto portuale, sempre a firma di Camillo Quaranta e con l’assenso regio, che si limita al dragaggio del solo perimetro acqueo del lago (“Pantanellum”), costruzione di banchine e taglio dell’imbocco del porto. Il progetto si divideva in tre fasi. Prima, il “cavamento” dell’intera area del lago vulcanico attraverso lo scavo subacqueo di migliaia di tonnellate di trachite mista a sabbia e sedimenti marini. Un lavoro titanico per quei tempi dove venivano utilizzati macchine manuali (escavatori) piazzate su zattere di legno. Centinaia di operai trasportavano a spalla i detriti meno pesanti, mentre i magli di ferro colpivano con forza i macigni più resistenti incastrati sui fondali del “Pantanellum”. Dalla contabilità e dalle note tecniche apprendiamo che furono asportate dal fondo del lago 16.300 canne cubiche di materiali sassosi, fanghiglia e sabbia. Un consistente macigno di roccia lavica resistette ai colpi di maglio e fu giocoforza lasciarlo affiorare dalle acque costruendovi un basamento, che oggi viene indicato come il “Tondo di Marc’Aurelio”.

La seconda fase era dedicata alla costruzione delle banchine. Enormi blocchi di piperno, sagomati e squadrati alla perfezione, partivano dal fondo dell’escavo e si “saldavano” insieme creando una cintura circolare che bordeggiava tutto il cratere ad eccezione dell’imbocco del porto che si presentava come una lingua sottile di sabbia mista a roccia vulcanica.

La terza fase, quella più importante, prevedeva il taglio dell’istmo che avrebbe consentito l’intrusione marina al giusto livello progettato. I lavori iniziarono il 25 luglio 1853 e in appena un anno l’opera fu portata a compimento. Gli ultimi interventi riguardarono la grande diga foranea messa a protezione dei marosi e dei venti del Ponente. Occorsero 646.755 canne cubiche di macigni per una spesa di 14.930 ducati. Successivamente fu installato il grande faro diottrico, costruito a Parigi dalle Industrie Lepante e costò 1356 ducati.

La grandiosa inaugurazione del porto fu celebrata alla presenza della famiglia reale e della nobiltà del Regno delle Due Sicilie il 17 settembre 1854. Tutta l’isola si radunò sul novello porto, dove centinaia di vascelli avevano fatto il loro ingresso trionfale al garrire dei gran pavesi e sotto le salve di poderosi colpi di cannone.

Ischia ebbe il suo momento di gloria grazie alla munificenza di re Ferdinando, ma non potè avvalersi di un porto più grande, che oggi avrebbe risolto non pochi problemi logistici e di spazio. In certe occasioni la “megalomania” non si rivela un difetto, ma un pregio. Con il senno del dopo, l’ing. Quaranta ebbe torto e re Ferdinando, come al solito, ragione.

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