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Il racconto: «Così ho vinto la battaglia contro l’anoressia»

Nella giornata dedicata ai disturbi alimentari Il Golfo propone l’inedita testimonianza di Francesco Scaccino, uscito da un tunnel che sembrava senza luce: «La malattia mi ha tolto tanto, non avevo più passioni né futuro, poi ho riassaggiato finalmente la vita»

Non dobbiamo guardare lontano, certe realtà si possono toccare con mano, e sono vicine più di quanto possiamo immaginare. È difficile “essere”, in una società come la nostra, troppo superficiale, di corsa, che premia più l’apparenza ed il superfluo. Spesso siamo soffocati da un malessere interiore che non sappiamo esternare e allora lo teniamo dentro e lentamente ci avvelena, togliendoci la fame per la vita, poco per volta, fino a perdere il controllo e non siamo più padroni di noi stessi. È la “strega” a comandare a non farci vedere più che il nostro cielo è ancora azzurro, ma tinto di grigio, come la nostra anima che lentamente sprofonda. E allora abbiamo bisogno che qualcuno la raccolga, con delicatezza, come una porcellana giapponese, mettendo insieme i cocci e sigillandoli con un filo d’oro, per renderla più preziosa nella sua seconda vita. “Due anni fa, lasciavo la mano dei miei genitori per firmare il mio contratto terapeutico, per siglare la battaglia più importante e difficile che abbia mai affrontato contro me stesso, contro la morte, contro l’anoressia. Non so per quanto tempo ancora il 19 novembre sarà un giorno particolare, ma ad oggi lo vivo come il mio secondo compleanno. È pur sempre il giorno in cui senza saperlo ho messo insieme tutte le briciole di coraggio rimaste per rinascere”. Letto da un post su Facebook di Francesco Scaccino, che ha accolto l’invito di condividere la sua esperienza. E lo fa oggi, 15 marzo, giornata nazionale dedicata ai disturbi alimentari.

Francesco hai vissuto sulla tua pelle quest’esperienza e ti accompagnerà nei tuoi ricordi per tutta la vita. Quando ti sei reso conto di aver bisogno di aiuto?

anoressia

«Mi sono ammalato di anoressia a soli 13 anni. Tutti i miei coetanei si godevano la spensieratezza della loro adolescenza: loro programmavano le uscite della settimana, io invece programmavo le calorie di ogni giorno, misuravo la circonferenza delle mie gambe, e pensavo a come poter smaltire o evitare il cibo. Non è stato facile rendersi conto di essere malato, non è stato semplice realizzare che quei comportamenti, o quel fisico, non fossero normali. “Anoressico io? Neanche per scherzo, sto benissimo”, mi ripetevo ogni giorno e ne diventavo sempre più convinto. Molti specialisti mi ripetevano che le mie condizioni fossero gravi, che la mia malattia avesse pieno controllo su di me, ma, come si suol dire, non c’è miglior cieco di chi non vuol vedere o miglior sordo di chi non vuol sentire, ed io stesso non davo assolutamente peso né ascolto alle parole di chi voleva soltanto aiutarmi in qualche modo».

«Mi sono ammalato di anoressia a soli 13 anni. Tutti i miei coetanei si godevano la spensieratezza della loro adolescenza: loro programmavano le uscite della settimana, io invece programmavo le calorie di ogni giorno, misuravo la circonferenza delle mie gambe, e pensavo a come poter smaltire o evitare il cibo. Non è stato facile rendersi conto di essere malato»

E cosa succedeva in quei momenti?

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«“Non hai toccato il fondo”, “non sei malato”, “non sei grave”, urlava la voce spregevole, ed io mi fidavo: come avrei potuto contraddirla ? Qualsiasi sua parola era un’arida legge a cui dover obbedire senza alcuna obiezione. Ad oggi ho imparato che questa negazione fosse solo una fase della malattia. Per rispondere alla domanda, mi sono reso conto di avere una malattia durante il ricovero, in un gruppo intitolato “narrativa”. Lo psicologo chiese a noi pazienti di scrivere una lista di tutto ciò che il disturbo (nel mio caso l’anoressia, ma lo stesso esercizio valeva anche per bulimia e binge) urlasse nella nostra assediata mente. Io scrissi una lista di ben 18 punti. Per citarne qualcuno di essi: “Non mangiare, cammina, fai attività fisica, brucia calorie, sei enorme, sei grasso, stai mangiando troppo, non hai toccato il fondo, non è abbastanza, non sei abbastanza, fidati di me, non hai nessun disturbo, tagliati, fai schifo, mantieni il controllo, sei un fallimento».

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Ma qual era la finalità?

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«Lo scopo di questo gruppo fu quello di far notare a noi ricoverati che la malattia, bene o male, ci imponeva le stesse azioni, ci urlava le stesse bugie: ascoltando le parole dei fogli degli altri, mi resi conto che ero malato anche io, e mi resi conto di aver bisogno di essere aiutato».

Chi ti ha aiutato a capire che avevi un problema?

«Senza dubbio, in tutto il mio percorso è stata fondamentale la mia famiglia, la quale non mi ha mai fatto mancare il proprio sostegno e il proprio amore. Mi ha tenuto la mano in ogni mio passo, e mi è stata accanto anche quando ero dall’altro lato dell’Italia, per il ricovero. Ha raccolto ogni mia lacrima per trasformarla in forza, e di questo gliene sarò eternamente grato. Mi hanno aiutato a capire che avevo un problema, inoltre, la mia equipe medica. Ero arrivato ad un punto in cui non digiunavo più solo dal cibo, ma dalla vita. Non avevo più passioni, non avevo più interessi, non avevo più obiettivi e non riuscivo più neanche ad immaginare il mio futuro».

«Senza dubbio, in tutto il mio percorso è stata fondamentale la mia famiglia, la quale non mi ha mai fatto mancare il proprio sostegno e il proprio amore. Mi ha tenuto la mano in ogni mio passo, e mi è stata accanto anche quando ero dall’altro lato dell’Italia, per il ricovero. Ha raccolto ogni mia lacrima per trasformarla in forza, e di questo gliene sarò eternamente grato»

Poi qual è stata l’evoluzione degli eventi?

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«Dopo l’ennesima crisi, in struttura, lo psicologo mi disse: “Nelle tue condizioni la richiesta di aiuto è vitale”, e il medico aggiunse: “Non sappiamo neanche se il tuo fisico riuscirà a sostenere un viaggio così lungo”. Credo che con quelle parole mi abbiano fatto toccare con mano la triste quanto pericolosa realtà».

Quanto una società che è votata all’apparenza e all’estetica, può contribuire a far sì che un ragazzo o una ragazza abbiano una percezione del proprio corpo?

«Sicuramente la nostra società non è di aiuto pubblicizzando corpi sempre più magri e sottili. Attenendomi alla mia esperienza, non nascondo che molte volte ho confrontato il mio corpo anche con questi: l’anoressia porta a confrontarsi con chiunque, distorcendo la percezione la realtà. Nel mio caso, mi succedeva anche con un semplice manichino di legno. Considerando che tali disturbi si stanno diffondendo sempre più, sarebbe bene quindi iniziare a pubblicizzare la normalità. Invece di essere sempre alla ricerca di un’illusoria quanto inesistente perfezione, bisognerebbe promuovere la bellezza di essere imperfetti, unici. Tuttavia, credo che i disturbi alimentari vadano oltre l’apparenza o gli ideali della società: si nutrono di dolori interiori che riversano successivamente sul corpo. Quindi la società contribuisce, ma le vere cause solitamente vanno cercate dentro se stessi».

«Dopo l’ennesima crisi, in struttura, lo psicologo mi disse: “Nelle tue condizioni la richiesta di aiuto è vitale”, e il medico aggiunse: “Non sappiamo neanche se il tuo fisico riuscirà a sostenere un viaggio così lungo”. Credo che con quelle parole mi abbiano fatto toccare con mano la triste quanto pericolosa realtà»

Cosa ti ha tolto l’anoressia?

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«L’anoressia mi ha tolto tanto. Si ha la convinzione che l’anoressia sia il solo rifiuto del cibo, quando in realtà ciò che si rifiuta, e ciò da cui si digiuna, è la vita. Prima di tutto il disturbo mi ha tolto la libertà e le emozioni; inoltre, si è cibata di tutti i miei talenti: la mia mente mi vietava anche solo di avvicinarmi al pianoforte, ha trasformato la mia passione per lo sport in ossessione, e non solo, ancor peggio ha rapito la mia sensibilità, rendendomi un ragazzo costantemente nervoso e irascibile. Sbagliando, ero convinto di non poter riempire più i miei giorni con le stesse azioni che mi rendevano felice, ma invece, oggi sono libero di sedermi al pianoforte, sono libero di nuotare al mare in costume, e sono libero di essere allegro, altruista, generoso. Sono anche libero di essere me stesso. Finalmente».

Che consiglio ti sentiresti di fare a chi ha disturbi alimentari?

«Il principale consiglio che sento di dare è quello di chiedere aiuto. Vorrei rivolgermi direttamente a loro per dire: smettete di cercare il fondo, è una ricerca vana, deludente e senza meta, lo confermo io che non ho fatto altro che impegnarmi in essa per tanti lunghi anni, perdendo momenti e giorni che nessuno mi ridarà indietro. Iniziate piuttosto a cercare voi stessi, ritrovando e stringendo nuovamente tra le vostre mani la vostra vita. E vi garantisco che quando assaggerete nuovamente la vita, in ogni suo aspetto, vi piacerà così tanto che non potrete più farne a meno. Posso capire come vi sentiate, così come posso capire che risulta difficile credermi: durante la malattia mi sentivo perso, o meglio, smarrito, ma vi assicuro che lasciandovi aiutare, afferrando la mano dei vostri cari, terapeuti e medici, e lasciando quella del disturbo, vi ritroverete e ricomincerete a costruire il vostro corpo e la vostra anima. Unite tutte le briciole di coraggio e forza di volontà che avete nascosto dentro di voi, e iniziate a curarvi, prima che sia troppo tardi. Quando avevo 13 anni, ero solo un bambino e non potevo sapere tutti i danni che mi stavo arrecando e con cui ho dovuto fare i conti nel tempo. Dopo l’anoressia, vi aspetta la vita. Non sarà perfetta, ci sarà bisogno di continuare a lavorare, conoscersi, e imparare a gestire le tante emozioni che siamo capaci di provare, ma nonostante qualche volta possa essere un percorso doloroso, ne vale la pena. La luce è pronta ad accogliervi di vi sta aspettando».

«Il principale consiglio che sento di dare è quello di chiedere aiuto. Vorrei rivolgermi direttamente a loro per dire: smettete di cercare il fondo, è una ricerca vana, deludente e senza meta, lo confermo io che non ho fatto altro che impegnarmi in essa per tanti lunghi anni, perdendo momenti e giorni che nessuno mi ridarà indietro»

Dopo la tua esperienza partecipi a qualche progetto a sostegno di chi soffre di anoressia?

«Non partecipo a nessun progetto in particolare. Qualche volta sono stato chiamato a testimoniare tramite interviste, e spesso racconto la mia esperienza sui miei social. Mon per essere considerato un esempio, non mi sento tale, ma solo una testimonianza: come sono guarito io, può guarire chiunque. Non bisogna mai perdere la speranza».

Non è stato facile ma Francesco ha vinto, si è fidato, si è lasciato prendere per mano e ha combattuto la sua guerra verso un nemico invisibile, ma ne è uscito vittorioso. Il cielo è di nuovo tinto di azzurro, si è lasciato conquistare dall’infinita bellezza che è la vita.

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