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Il vino e i suoi personaggi, dalla tradizione all’innovazione di Sara D’Ambra

di Malinda Sassu
Bella, giovane e appassionata, della vita e del suo lavoro. Ha un cognome importante nel mondo del vino ma lo porta con disinvoltura, veste in jeans e non si dà arie. La storia di Sara D’Ambra non è una storia qualunque: conquista perché racconta di sfide e di passioni e di come la voglia di imparare abbia portato questa giovane enologaa lavorare lontano dalla

Andrea D'Ambra con le figlie Marina e sara
Andrea D’Ambra con Marina e Sara
sua Isola, prima in Toscana e poi in Australia. Una figlia d’arte con quattro generazioni di vino alle spalle eche, nonostante avesse potuto fare altro nella vita, dopo la laurea decide di spaziare dalle vigne ai clienti per conto dell’azienda di famiglia, insieme a sua sorella Marina. E non si ferma qui: contemporaneamente, prepara la valigia per la sua terza vendemmia oltreoceano, questa volta a 50 km da Canberra, tra pinot nero e shiraz. «Sono felicissima, perché oltre ad aver trovato un ambiente lavorativo che mi permette di crescere, ho trovato anche una seconda famiglia. Pensa che appena torno dal lavoro, ci sediamo in giardino e facciamo un aperitivo insieme…» magari parlando dei tramonti ischitani, o del papà Andrea che le ha trasmesso l’amore per la terra e per la magia del vino. Un grande patrimonio e una lunga storia di famiglia che non la spaventa affatto ma porta, al contrario, al miglioramento continuo. Perché, come dice lei stessa, «la tradizione è importantissima, ma bisogna reinventarsi continuamente».

– Sara come vivi il senso di appartenenza ad una famiglia così importante, un pezzo di storia della viticoltura italiana?
«In maniera molto positiva. Durante le visite aziendali spiego con orgoglio la storia dei D’Ambra. La gente ne resta affascinata! Sicuramente tutto ciò è molto impegnativo, richiede sforzi enormi, è una bella responsabilità, ma io e mia sorella siamo decise a portarla avanti. Bisogna tenere il passo sempre e comunque».

– Sei la quarta generazione della famiglia D’Ambra, un’eredità difficile e importante vista la tua giovane età. Quanto è difficile mantenere la propria specificità, non farsi tentare dal “gusto” di famiglia?
«Le esperienze all’estero incidono in modo molto positivo su questo perché mi permettono di conoscere realtà ben diverse da quella isolana e italiana in generale, di avere quindi un bagaglio tutto mio che per forza di cose, si confronta con un’azienda che va avanti da quasi 130 anni, da cui è invitabile ereditare un minimo del suo “gusto”»

– Dietro ogni vino c’è sempre una storia. Quale storia raccontano i vostri vini?
«Raccontano la storia di una famiglia sempre in prima fila nella ricerca e nel miglioramento dei vini, ma soprattutto della viticoltura ischitana. Tanti sono i cambiamenti che i D’Ambra hanno apportato dal 1888: gli studi sulle varietà dell’isola, la vinificazione dell’autoctono nel ’56, l’introduzione della doc Ischia nel ’66, la vinificazione di un cru …il continuo recupero dei vigneti che tutt’oggi facciamo. C’è davvero una storia interessante dietro i nostri vini, fatta di momenti di gloria e di momenti difficili, che tutt’ora continuano a rappresentarci.

– Preferisci stare più in vigna o in cantina?
«In cantina»

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E il tuo brindisi più emozionante?
«Non ne ricordo uno in particolare, ma sicuramente quelli in cui si brinda ad un traguardo raggiunto o all’inizio di un qualcosa di nuovo o un brindisi in famiglia».

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– Qual è il tuo vino del cuore?
«Dei nostri sicuramente il Frassitelli che ricorda anche tante cene, pranzi fatti proprio in vigna. Qualche anno fa assaggiai un IGT Venezia Giulia dell’azienda Plozner, Il “Quattroperuno” fatto con quattro diversi uvaggi (3 cloni diversi di Sauvignon Blanc e Viognier). Mi colpì molto per i suoi profumi fruttati. Anche il Verduno Pelaverga dei Fratelli Alessandria è un vino molto interessante, provato qualche anno fa in un breve week end tra cantine nelle Langhe. O anche i rossi sardi dell’azienda Fradiles. Troppi bei vini, troppi bei momenti da poterne avere solo uno che ti resta nel cuore».

– C’è qualcosa che cambieresti nella comunicazione del vino ischitano, fuori dell’isola?
«Sicuramente andrebbe fatto un lavoro di marketing che unisca tutte le aziende dell’isola (come credo debba essere fatto in tutti i settori di quest’isola, in particolare quello turistico), che miri appunto a richiamare l’attenzione di chi è interessato al vino, ai nostri paesaggi. Ci sono tante regioni in Italia che vivono di turismo enogastronomico (uno dei migliori credo, porta qualità e ti permette di lavorare 365 giorni l’anno) ma il lavoro parte dai viticoltori e produttori di vino e finisce con chi vende e pubblicizza il prodotto sul territorio. Un lavoro di squadra, insomma, che coinvolga tutti e che permetta di darti un’identità. Abbiamo tutto, del buon vino, del buon cibo e di sicuro delle bellezze invidiabili che però bisogna spingere nella giusta direzione».

– Cosa bolle nel tino di Sara D’Ambra?
«Sicuramente tanta voglia di fare e di imparare ancora».

– E a quando il tuo primo vino?
«Spero di fare almeno un tentativo nel giro di un paio d’anni. Sono davvero curiosa di sapere come giudicherò io stessa il mio vino.

– Concludo chiedendoti un commento generale sulla situazione del vino a Ischia e i progetti futuri di un’azienda così importante
«Attualmente i consumi sono buoni, ma quello che spesso manca, soprattutto tra noi giovani, è l’attenzione al prodotto che si consuma. Mia sorella ed io abbiamo sicuramente intenzione di avvicinare i nostri coetanei al mondo del vino, del vino di Ischia e di far conoscere quella che è la nostra realtà viticola e aziendale».

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